La Calabria, come tanti altri territori italiani, è una regione piena di problemi. Molti di questi rappresentano delle vere e proprie zavorre che si appesantiscono sempre di più, trascinate da tempo (e nel tempo), che affondano le loro radici in un passato difficile e controverso. All’origine di tutto ciò vi sono due atteggiamenti che hanno caratterizzato da sempre le popolazioni che hanno abitato la regione: diffidenza e campanilismo.

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Sono andato a trovare i ragazzi del Comitato “7 agosto” di San Ferdinando che, nelle scorse settimane, si sono resi protagonisti di una vibrante protesta a causa dell’inquinamento da idrocarburi che ha interessato un canalone prospiciente il lungomare della medesima cittadina e ho visto cose che voi umani non potreste immaginare.

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Nei giorni scorsi la dott.ssa Roccisano, Assessore al Lavoro, Formazione e Politiche Sociali della Regione Calabria, commentando un mio post su FB, mi ha chiesto di esplicitare nel merito le critiche che ho avanzato riguardo il bando della Regione Calabria che prevede lo stanziamento di 1,5 milioni di euro per assumere disoccupati. Di seguito le ragioni del mio dissenso.

Lo scopo di questo bando, esplicitato nella premessa, ovvero quello di “rispondere in maniera strutturata ed efficace alle urgenze poste dall’attuale crisi occupazionale e creare le condizioni di ripresa e di rilancio dell’economia regionale“, rappresenta una pura velleità poichè: 1) non si tratta del primo provvedimento che la Regione mette in campo in tal senso; 2) il fatto che se ne renda necessario ancora uno significa, come minimo, che quelli messi in campo fino ad oggi (simili a questo) non sono serviti a raggiungere lo scopo (dimostrando la loro inefficacia), ma solo a prolungare l’agonia dei senza lavoro a spese della collettività. Per ovvi motivi.
L’occupazione non si crea allettando gli imprenditori con un incentivo economico, che spesso serve solo a ridurre momentaneamente (perchè il bando obbliga il beneficiario a mantenere il lavoratore al massimo per 18 mesi) il costo del lavoro, ma riducendo le tasse e annullando tutte le forme di assistenzialismo, regionale e non, che hanno contribuito ad annientare lo spirito di iniziativa in questa regione.
Se i calabresi, allevati da generazioni in cattività, alla sottomissione, ad aspettare l’aiuto del partitico di turno, avessero la capacità e l’autonomia di vedere e trasformare in valore le infinite risorse che li circondano, non solo non avrebbero bisogno di misure come queste ma dovrebbero chiedere aiuto a qualcuno da fuori regione per far fronte alla quantità di lavoro che si creerebbe.
Ci sono, poi, due pregiudizi di fondo che caratterizzano le azioni delle istituzioni locali e nazionali di questo Paese.
Uno motiva provvedimenti, come quello in oggetto, nei confronti dell’imprenditore e l’altro nei confronti del lavoratore. Nei confronti dell’imprenditore (attenzione, quando parlo di imprenditori mi riferisco a quelli veri, che rischiano con capitali propri) sussiste la convinzione che non sia propenso ad assumere o che cerchi sempre in qualche modo di eludere questa possibilità. La verità è un’altra e cioè che l’imprenditore (soprattutto quello piccolo-medio) non può assumere (nonostante ne abbia tanto bisogno) perchè la tassazione applicata sul lavoro, che ne conseguirebbe, raggiungerebbe livelli insostenibili che rischierebbero di rendere l’impresa non competitiva sul mercato e, di conseguenza, di non far quadrare i conti a chiusura bilancio. Sono le tasse, dunque, il primo disincentivo all’aumento dell’occupazione. Una società che continua a considerare il lavoro come un costo, e non come una risorsa, è una società destinata a farlo scomparire il lavoro. Sarebbe, quindi, sufficiente ridurre il costo del lavoro e delle tasse e gli imprenditori, come per magia, comincerebbero ad assumere e ad investire. Ma questo è un provvedimento che compete in minima parte al governo regionale, di più a quello nazionale.
L’altro pregiudizio riguarda il disoccupato che ambirebbe a diventare lavoratore. Il disoccupato (escludo dalla categoria ovviamente gli ammalati e i diversamente abili) solitamente resta tale per due ragioni: o perchè non ha voglia/bisogno di lavorare o perchè non ha le competenze/qualifiche adeguate alle richieste provenienti dal mercato del lavoro. In Calabria “lo status” di disoccupato è sempre stato molto ambito, poichè chi lo acquisisce diventa destinatario di molte attenzioni, come il panda del WWF, da parte della partitica. Più il disoccupato resta tale e più la partitica può mettere in campo “soluzioni tampone”, da riproporre periodicamente, destinate a prolungare da un lato l’agonia lavorativa del disoccupato e, dall’altro, a garantirsi il consenso elettorale. Inoltre, il disoccupato è considerato un uomo senza qualità, senza alcuna competenza specifica, per cui nei bandi l’unico requisito necessario per essere considerato assumibile è sempre e solo il possesso di questo status. Un imprenditore serio necessita, invece, per rendere competitiva la propria impresa, di gente qualificata, di talento, non di disoccupati e le persone di valore raramente restano senza lavoro per molto tempo.
Infine, agevolazioni di questo genere convengono alle grandi imprese con molti dipendenti, che spesso riescono a restare sul mercato perchè vivono di frequentazioni (leggi scambio di favori) partitiche, mentre la maggior parte delle piccole e medie imprese, costrette a confrontarsi con la flessibilità del libero mercato sempre più instabile e mutevole, non può garantire assunzioni a tempo indeterminato, tipologia di contratto assolutamente rigida, anacronistica e inadeguata a fronteggiare le sfide di un mercato del lavoro in continua trasformazione.
A tutto questo si aggiunge: 1) l’assoluta assenza di servizi alle imprese e ai cittadini (circola infatti da troppo tempo una leggenda metropolitana in Italia che riguarda le tasse, secondo la quale queste servirebbero a sostenere il welfare, ovvero l’istruzione, la sanità, la giustizia etc, quando in realtà servono a mantenere le cosiddette “istituzioni” e le relative sovrastrutture, in primis i partiti, inefficienti, inette e corrotte); 2) un apparato burocratico governato da dirigenti, ai quali la legge consente di poter agire da veri e propri monarchi, in grado di sopravvivere a qualsiasi gestione partitica e di sperperare (senza dover dare conto a nessuno) il frutto del sudore della parte produttiva del Paese.
E’ facile comprendere, quindi, come provvedimenti come quello in oggetto agiscano come l’aspirina agisce sul tumore. Qui si tratta di ridefinire cosa siano le tasse, a cosa servono, che valore diamo all’iniziativa privata, cos’è il lavoro, come si crea economia e occupazione, perchè siamo tutti precari finchè non decidiamo di prendere in mano la nostra vita.
Se consideriamo, infine, il fatto che spesso chi mette mano alle normative e si fa promotore di riforme in questo settore, quasi sempre non ha mai lavorato un giorno in vita sua, comprendiamo di essere tutti passeggeri di un autobus guidato da un non vedente nel cuore della notte.

Massimiliano Capalbo