E’ un sabato mattina ventoso quando decido di partecipare alla manifestazione #salviamocapocolonna, promossa tramite Facebook da alcune associazioni di Crotone e dal M5S. L’appuntamento è alle 11.00 presso l’area archeologica dove sorge la famosa colonna del tempio di Hera Lacinia. L’obiettivo dell’iniziativa, come recita l’hashtag è salvare Capo Colonna. Ma la domanda che sorge spontanea all’arrivo è: da cosa?
Dialogando con gli attivisti e ascoltando i commenti dei partecipanti alla manifestazione si ha la sensazione che, come spesso avviene in Calabria, l’attenzione sia concentrata più sui dettagli e sulle procedure burocratiche e istituzionali riguardanti i dettagli che alla sostanza delle cose, e che il rischio sia quello di perdere di vista il cuore del problema. Le proteste di questi giorni sono volte a bloccare (giustamente) la realizzazione di un parcheggio antistante la chiesa e ad impedire la costruzione di una tettoia per riparare dagli agenti atmosferici un’importante porzione di scavi, quella delle terme romane, per realizzare la quale dovranno conficcare dei pali profondi 8 metri, che certamente arrecheranno ulteriori danni all’area, per proteggere dei mosaici che non sono visibili e tali resteranno perchè non sono stati stanziati i soldi per riportarli alla luce.
Ma la domanda che si pone chi arriva per la prima volta in quest’area è un’altra: cos’altro più bisogna fare per sfregiarla? Non sono stati compiuti già sufficienti scempi? Se sul più vecchio testimone di tutto ciò, l’unica colonna rimasta in piedi del tempio di Hera Lacina, un artista contemporaneo issasse una bandiera bianca, questa installazione sarebbe la più eloquente e riassuntiva della situazione in cui versa quest’area che implora di non essere sottoposta ad ulteriori violenze.
Immaginiamo di essere un malcapitato turista che, ingannato da una brochure promozionale della regione, si decida a visitarla quest’area con la sua macchina, ovviamente, o con una presa a noleggio perchè non esiste altro modo per raggiungerla.
Per chi proviene da Catanzaro le prime indicazioni stradali si trovano lungo la SS 106, al termine del rettilineo che lambisce l’aeroporto “S. Anna”. Lasciata la statale si ha subito l’impressione di essere stati catapultati in un territorio allergico alle regole. Il manto stradale somiglia ad una gruviera (il rischio di forare una gomma e spaccare i cerchioni è elevatissimo, specialmente di notte) a causa delle numerose strade poderali che la intersecano e dalle quali quotidianamente sbucano trattori che danneggiano in continuazione l’asfalto. Il disordine e l’abusivismo edilizio regnano sovrani.
Ogni angolo di strada è ricettacolo di rifiuti (anche pericolosi come l’amianto) in mezzo ai quali non è difficile veder pascolare le pecore con cui si produce il rinomato pecorino crotonese. Ad un certo punto le indicazioni scompaiono e il numero di bivi aumenta, riuscire a raggiungere l’area dunque diventa una vera e propria caccia al tesoro, in questo dedalo di strade che sembrano condurre alla fine del mondo. Prima di arrivarci è possibile ammirare alcuni panorami imperdibili: un parco eolico, una centrale gas dell’Eni e un cumulo di rifiuti con panorama su Crotone.
Se questi orrori iniziali non sono sufficienti a far desistere dall’impresa e si decide di andare oltre, finalmente si inizia a scorgere il mare con il promontorio di Hera Lacinia e il panorama migliora leggermente.
Dopo aver superato tutti questi ostacoli ci si aspetterebbe una ricompensa all’arrivo e invece la frustrazione aumenta. Ci si accorge immediatamente della mancanza di cura degli spazi antistanti il museo (che a dire il vero ha un’architettura piacevole perchè ha un impatto minimo alla vista) come aiuole, parcheggi etc. e dell’assenza di punti ristoro, negozi di souvenir, punti di informazione turistica e quant’altro solitamente si trova nelle aree di interesse turistico e dà l’indice di quanta economia sia capace di generare l’area. Nessuna cartellonistica indica l’ingresso dell’area, si va a intuito e seguendo la strada principale si arriva sul promontorio dove sorge ciò che resta dell’area archeologica, contornata da edifici orrendi, pubblici e privati, costruiti dentro l’area archeologica che, per larga parte, non è visibile perchè non è stata riportata alla luce.
L’ultima operazione, in ordine di tempo, volta a “valorizzare” l’area è una colata di cemento fresca fresca che in questi giorni è stata riversata sui resti di alcune colonne romane per realizzare un parcheggio antistante la chiesetta, perchè qui si celebrano matrimoni e il matrimonio in Calabria è una cosa seria, mica quelle quattro pietre, anche perchè quello dei matrimoni è un settore che non conosce crisi (economica). Il guaio è che a Crotone all’età del matrimonio si rischia di non arrivare a causa dell’epidemia di tumori che sta decimando, nel silenzio più totale, intere famiglie, in prospettiva non sembra dunque un grande business, almeno in quest’area.
Appare subito chiaro, dunque, che non ci troviamo nè in un’area archeologica, nè in un’area turistica (a dire il vero neanche ideale per matrimoni visto che ha tutto l’aspetto di un cantiere, ma i fotografi sanno fare miracoli con Photoshop, se no perchè pagarli?). Dunque cosa rimane da salvare?
Decenni di disinteresse hanno provocato molti più danni di quelli che si vorrebbero evitare oggi. Cosa cambierebbe nella vita dei crotonesi se quell’area venisse cancellata per sempre? Cambierebbero le loro abitudini? Perderebbero la loro identità? Entrerebbe in crisi l’economia della provincia? Si perderebbero posti di lavoro? Non potrebbero più disquisire di filosofia mentre passeggiano sul lungomare la domenica mattina?
Non accadrebbe nulla di tutto ciò, perchè nulla di tutto ciò è mai esistito, perchè su nulla di tutto ciò hanno mai pensato e creduto di poter costruire alcunchè. Al contrario, impedire di realizzare quel parcheggio danneggerebbe l’economia (minima? ma che esiste) che ruota intorno all’organizzazione di matrimoni. Se per i crotonesi è più importante organizzare matrimoni che elevarsi culturalmente o trarre ricchezza dalla cultura e dal turismo perchè non abbandonarli al loro triste destino?
A queste domande, e non ad altro, le associazioni che in questi giorni, con un’iniziativa che non ha precedenti nella storia della regione (non ho mai visto calabresi presidiare giorno e notte un’area archeologica, segno che qualcosa sta cambiando), devono dare risposta. Solo trovando queste risposte potranno immaginare un’altra Crotone e non solo un’altra Capo Colonna, solo prendendosi cura giorno e notte di questo tesoro, come hanno cominciato a fare adesso, potranno pensare di poter salvare il salvabile e magari avviare un processo inverso. L’impresa è ardua e dunque anche le soluzioni devono essere ardue, le battaglie per conto terzi non funzionano. Le interrogazioni parlamentari servono solo a far litigare i partitici tra di loro, come sta avvenendo in questi giorni. La quasi totalità della partitica preferisce i matrimoni, le famiglie rappresentano da sempre un bacino di voti, e ha intrapreso da tempo le vie legali per divorziare dalla cultura.

Massimiliano Capalbo

[portfolio_slideshow id=5786]

 

Commenti

Lascia un commento

2 commenti

Trackbacks & Pingbacks

  1. […] unica occasione per assurgere agli onori della cronaca la trovò lo scorso anno, quando decise di coprire di cemento l’area archeologica di Capo Colonnna, nell’occasione non riuscì a trattenere l’entusiasmo: “La città sta vivendo […]

  2. […] tornato sul luogo del delitto, a distanza di sei mesi, e ho avuto la conferma di ciò che avevo scritto su questo blog sei mesi fa. Mercoledi 29 luglio, alle ore 15.40, nel piazzale dell’area archeologica di Capo […]

Lascia un Commento

Vuoi partecipare alla discussione?
Sentitevi liberi di contribuire!

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *