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ll destino politico ed economico dell’Europa in mano alla Grecia

E’ incredibile come una delle caratteristiche della società post-moderna sia quella di non riuscire a centrare (e conseguentemente a risolvere) i problemi, di focalizzare l’attenzione sempre sul contorno e mai sul nocciolo della questione. Vale per molti temi e dunque anche per le drammatiche vicende economiche e sociali che stanno travolgendo in questi giorni non solo una nazione come la Grecia ma l’intera Europa.
Un’altra caratteristica è quella che vede le persone schierarsi da una parte o dall’altra della contesa, spesso senza conoscere veramente i fatti e i protagonisti coinvolti, ma captando attraverso i media spezzoni di verità o di falsità. La tendenza a tifare come gli ultras per uno o l’altro personaggio (protagonista) indicato (quando non creato) dai media, piuttosto che a ragionare come esseri umani dotati di intelletto separando le emozioni dai fatti e concentrandosi sui temi piuttosto che sulle persone. Questo atteggiamento non consente di isolare gli errori e di imparare dagli stessi, non consente di fare passi in avanti ma di nascondere ogni volta la polvere sotto il tappeto nell’attesa che il prossimo evento, la prossima folata di vento, la risollevi.
Quello a cui stiamo assistendo non è il fallimento della Grecia ma l’inizio del fallimento dell’Europa così come è stata pensata e attualizzata fino ad oggi. Le ragioni sono principalmente due: 1) il primato della finanza (e non dell’economia) sulla politica; 2) l’appiattimento delle differenze e degli indicatori tra gli stati membri.
In relazione al primo punto occorre smettere di trattare l’argomento come se fosse un problema di cattiva gestione delle finanze da parte dei governi (che comunque c’è stata ed ha contribuito al raggiungimento del risultato) ma dire chiaramente che oggi in Europa (e non solo) non comandano i governi (e dunque la politica) i cui rappresentanti sono ridotti a comparse televisive, che si vedono entrare e uscire da stanze dove non sono in grado di decidere nulla, ma l’alta finanza e le borse che non sono in quelle stanze ma sono in grado di far decollare o fallire una nazione semplicemente premendo un pulsante. L’unico loro interesse è speculare e produrre denaro giocando (è proprio il termine esatto) con i destini delle nazioni senza alcuno scrupolo. Il basso livello di leadership registrabile in politica consente a questi speculatori di agire indisturbati e di manovrare come marionette i vari rappresentanti. L’unico elemento di disturbo, al momento, appare Tsipras una variabile impazzita, non prevista, espressione della nazione che più di altre ha contributo nella storia a diffondere il concetto di democrazia nel mondo.
E’ la Grecia ad avere in mano il destino politico ed economico dell’Europa oggi e non viceversa come vogliono farci credere. E’ la Grecia che può decidere se arrendersi alla finanza o ristabilire il primato della politica, ma per farlo non deve semplicemente mettere una X su un pezzo di carta, per farlo deve cambiare i meccanismi che l’hanno condotta al fallimento e questo significherà duri sacrifici, certamente maggiori di quelli che farebbe se si arrendesse alle condizioni poste dai creditori. Se ci riuscisse sarebbe il miglior modo per ripagare il proprio debito col resto dell’Europa e forse anche del mondo.
Il primato della finanza non è solo sulla politica ma anche sull’economia reale, è il primato della virtualità, delle previsioni fantastiche che ci regalano grandi illusionisti al riparo dalla realtà. Anche il più accanito sostenitore del libero mercato inorridirebbe di fronte all’aleatorietà della bolla economica che l’Europa sta producendo. La crisi, infatti, è il frutto dell’assenza di un vero libero mercato (quello sbandierato e strumentalizzato fino ad oggi è stato una finzione ad uso e consumo della partitica), dove non si compete effettivamente sul reale valore del prodotto/servizio, dove non vige un vero criterio meritocratico; dall’incapacità di valutare il reale valore dei progetti (per esempio da parte delle banche) che hanno concesso prestiti e finanziamenti avendo come unico criterio l’immobile in garanzia (o l’amicizia politica) invece della reale capacità delle imprese di produrre valore; dall’inefficacia della maggior parte dei progetti finanziati dall’Unione Europea che si risolvono nell’organizzazione di convegni, nella stampa di locandine, nella costruzione di siti web, nelle spese di viaggio dei partner e che non hanno alcuna ricaduta effettiva sul territorio; dalla scarsa propensione da parte degli abitanti di molti paesi dell’Unione di riuscire a fare impresa e creare valore sul serio. Le uniche vere imprese che esistono faticano sotto il peso eccessivo di una tassazione che serve a finanziare la partitica spacciata per welfare. Se a questo aggiungiamo un alto livello di evasione fiscale e di corruzione, dovremmo soltanto meravigliarci di come tutto ciò non sia avvenuto molto prima.
Il secondo punto è strettamente legato al primo. L’UE fino ad oggi ha agito nella direzione di appiattire le differenze tra gli stati invece di esaltarle. I parametri non possono essere gli stessi per tutti. C’è chi eccelle in arte, chi in industria, chi in agricoltura, chi in cultura, chi in turismo e così via. La forza dell’Unione Europea dovrebbe essere racchiusa nella sua straordinaria diversità. La prima regola del marketing è differenziarsi rispetto ai concorrenti, riuscire a ritagliarsi fette di mercato sempre nuove e innovative, e invece dall’Europa riceviamo solo inviti al conformismo non soltanto legislativo ma anche culturale. In questo Franco Cassano, nel suo “Il pensiero meridiano”, era stato profetico: “Il rapporto tra culture è collocato su un piano inclinato perchè si assume che ci siano imperativi universali, mentre in realtà si tratta dell’imposizione del modello culturale di pochi a tutti, di un rapporto in cui una cultura detta a tutte le altre il loro dover essere… chi non corre al passo dei più veloci non solo rimane indietro ma vede aumentare il proprio distacco. Tra tutti quelli che risultano più sradicati e perdenti una parte reagisce prostituendosi e l’altra scegliendo la lotta fondamentalista contro lo stile di vita e la cultura dei paesi ricchi. Nei primi aumentano il loro peso i poteri criminali, l’economia illegale come via d’accesso al mercato mondiale, i fenomeni di disgregazione sociale… nei secondi la custodia della propria identità si salda ad una repressione capillare, ad una chiusura delle frontiere culturali e ad una demonizzazione caricaturale dell’Altro.

Massimiliano Capalbo

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