,

L’ultima ideologia

Avevo circa una ventina d’anni quando acquisii la consapevolezza che continuare ad interessarmi al calcio, ed in particolare continuare a tifare per la mia squadra del cuore, la Juventus, sarebbe stata solamente una perdita di tempo. Una consapevolezza maturata non in seguito ad un periodo di crisi della mia squadra, stiamo parlando degli anni tra il ’95 ed il ’98, in cui il Milan e la Juventus si contendevano la maggior parte dei trofei, ma di un sentimento di pura disaffezione.
Quella squadra di cui in passato riuscivo a ricordare per anni la formazione, quei giocatori ai quali potevo affezionarmi e per assistere alle cui gesta atletiche ero disposto al sacrificio, potevano essere ceduti già a gennaio ad altre società, potevano iniziare il campionato con una squadra e finirlo con un’altra, non c’era più gusto. Di lì a qualche anno le società sportive si sarebbero trasformate in società per azioni, il gioco si sarebbe trasformato in business, in seguito sarebbe scoppiato lo scandalo chiamato “Calciopoli” ma a me era bastato molto meno per defilarmi.
Ero un maniaco, registravo le partite col videoregistratore, dal primo turno alle finali di coppa fino ai servizi del campionato, girone di andata e ritorno, ritagliavo e conservavo gli articoli di tutti i giornali sportivi.
Di colpo smisi. Fu un pò come smettere di fumare (anche se non avendo mai fumato non saprei paragonare adeguatamente le due dipendenze) cominciai nuovamente a respirare. Non ero più schiavo degli orari, dei processi in tv, del rito dello sfottò con gli amici il giorno dopo, non avrei speso più soldi in videocassette e giornali inutili e colmi di idiozie. Mi sentivo libero di gestire il mio tempo, di poter attingere ad altri e nuovi interessi.
L’ultima ideologia, il calcio, ancora sopravvive. Dopo il crollo di quelle politiche avvenuto nei primi anni Novanta, travolte dai cambiamenti sociali e culturali, l’unico spazio in cui ancora si esprime l’appartenenza (al posto della partecipazione) regge e va oltre i ruoli, le classi sociali, la cultura. Basta osservare le tribune dei vip per rendersi conto della trasversalità della dipendenza.
C’è una certa differenza, infatti, tra appartenere e partecipare.
Scegliere l’appartenenza significa accettare un dogma che non può essere messo in discussione, (o si è per qualcuno o qualcosa o non si è), è un atto di fede, un atteggiamento infantile tipico degli ultrà, di chi si rifiuta di analizzare le cose con raziocinio, di chi non osa mai rimproverare il proprio campione anche quando si macchia di gravi scorrettezze. Scegliere di partecipare, invece, significa scegliere un atteggiamento più maturo, tipico di chi è ancora in grado di discernere, di valutare obiettivamente le cose, di rimproverare il proprio campione quando sbaglia e di decidere di tornare a respirare quando sente che comincia a mancare l’aria.

Massimiliano Capalbo

Commenti

Lascia un commento

6 commenti
  1. giuliano
    giuliano dice:

    Interessante, chi l'avrebbe detto che Max era un "maniaco"…; come sei guarito di colpo? che cosa ha scatenato la reazione di rifiuto? se si riuscisse a mettere a fuoco questo passaggio avremmo a disposizione un primo antidoto per un manuale di guarigione

    Rispondi
  2. Alessandro
    Alessandro dice:

    Massimo, ho camminato sullo stesso identico percorso di disaffezione da un'attività, quella del tifo sportivo, che sarebbe godibile se affrontata con quel pizzico di raziocinio di base.

    Condividiamo anche l'accostamento del tifo moderno ai culti religiosi e ai loro dogmi che annullano totalmente qualunque capacità di analisi obbiettiva.

    Ulteriori riflessioni vorrei farle su altri aspetti della nostra società che traspaiono analizzando il calcio in italia.

    La prima è che, esattamente come succedeva 2000 anni fa nelle provincie romane, anche oggi il popolo viene distratto con delle grandi arene dove dei guerrieri si danno battaglia senza esclusione di colpi. Ed esattamente come allora il popolo, teoricamente maturato da 2000 anni di sviluppo culturale e sociale, spreca buona parte del proprio tempo settimanale a discutere (quando va bene) del fuorigioco, dello sgambetto o della vendita di Kaka.

    La seconda è su quanto quell'arena sia una perfetta trasposizione della società in cui viviamo. Si gioca solo per danaro e si è disposti alle peggiori scorrettezze per questo.

    L'ultima riflessione è di tipo politico. Un'idea di quanto superficiale sia oggi l'italia, la da proprio la quantità di voti che è stata spostata durante una delle scorse elezioni politiche dalla vendita di un giocatore del milan, Kaka.

    Rispondi
  3. Max
    Max dice:

    Caro Giuliano,

    per mettere a fuoco il passaggio direi che il mio allontanarmi dalla dipendenza ha coinciso con la frequentazione universitaria, ha coinciso cioè con l'entrata in contatto con altre realtà, altre situazioni. Avevo fatto esperienze nuove, avevo scoperto che c'erano molti altri interessi di cui occuparmi nella vita e che il tempo che avrei dedicato a l'uno l'avrei sottratto all'altro. Allora ho scelto ciò che mi appassionava di più.

    Le forme di dipendenza, credo, nascano dall'impossibilità o incapacità a seconda dei casi di aprirsi al nuovo, al diverso.

    Adesso non vorrei sembrare classista o snob o discriminante ma se dovessi fare un identikit del "tifoso" (in senso lato) direi che nell'80% dei casi trattasi di una persona poco curiosa, poco incline all'apertura e al confronto e a mettersi in discussione.

    Rispondi
  4. giuliano
    giuliano dice:

    Stavo cercando qualcosa sul pensiero meridiano da mettere sul volantino di "Tarantella di idee" quando mi sono imbattuto in una fulminante affermazione di Albert Camus:

    "Tutto quello che so della vita l'ho imparato dal calcio"

    e mi è parso di capire: il gioco del calcio affascina e attira i ragazzi perché è il gioco della vita, ma occorre giocarlo in prima persona questo gioco, nei campetti e nella terra battuta; se lo si guarda si altera tutto e si entra in una degenerazione del vivere,credo che ben lo sappiano coloro che hanno il potere di ridurre il calcio a uno spettacolo da guardare

    Rispondi
  5. favius
    favius dice:

    In effetti da quando è caduto il fascio, i vari governi che si sono susseguiti nel corso di questi 50 anni, hanno fatto di tutto per non far risvegliare l'amor Patrio, per paura di un ritorno di fiamma… E siccome ognuno deve credre in qualcosa nella vita, ci si è attaccati prima alle ideologie, poi al calcio. Tanti per non sentirsi smarriti hanno bisogno di esprimere un senso di appartenenza, poi caduta la politica rivelatasi un enorme inganno, all'italiano medio è rimasto il calcio, che se non altro a differenza della politica almeno fa divertire. Tornando all'amor Patrio, ora stiamo pagando lo scotto di ciò che non è stato fatto. (vedi lega e secessione)

    Rispondi
  6. massimo delù
    massimo delù dice:

    Concordo su tutto, anch'io ero un patito, ma ora provo solo schifo, vedere montagne di soldi buttati via così, senza arte ne parte mi disgusta, è immorale, inoltre il calcio è un'arma di distrazione di massa !

    Rispondi

Lascia un Commento

Vuoi partecipare alla discussione?
Sentitevi liberi di contribuire!

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *