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Basta dare un’occhiata al mappamondo per accorgersi che l’Europa è una propaggine, una penisoletta, del grande aggregato di terre che prende il nome di Eurasia. L’Europa senza l’Asia alle spalle non è niente, l’Asia senza l’Europa resta invece inalterata nei suoi caratteri fondamentali. E’ autonoma. In mezzo la Russia.
La guerra economica totale che oggi UE e USA pensano di condurre contro la Russia ha un chiaro destino, indipendentemente dal corso e dagli esiti della guerra militare. India, Cina, Russia sommano una popolazione totale di circa tre miliardi di esseri umani. Se si aggiungono gli altri paesi del gruppo BRICS che rifiutano le sanzioni contro la Russia (Brasile e Sud Africa) e anche Pakistan e Turchia (anche essi rifiutano le sanzioni) si supera la metà dell’attuale popolazione mondiale.
Il tentativo di isolare la Russia dall’economia mondiale con una forma di guerra totale di tipo economico-finanziario e persino culturale la costringerà a superare ogni incertezza in merito al versante geografico a cui volgersi, andrà definitivamente verso Oriente come alcune cerchie di intellettuali russi da tempo vanno suggerendo ai capi del Cremlino.
C’è persino chi propone di spostare la capitale russa dall’Europa all’estremo Oriente e di fare della Siberia il nuovo mondo del nuovo millennio. L’enorme serbatoio di materie prime e di energia racchiuse nel suolo russo sarà allacciato con l’Oriente.
E’ di oggi la notizia che Russia e India non useranno più il dollaro nei loro scambi commerciali, accordo analogo è stato realizzato settimane fa con la Cina. Si delinea insomma un blocco euroasiatico che diventerà, se non lo è già, il blocco economico dominante nel mondo. Il passaggio decisivo è la de-dollarizzazione degli scambi mondiali ed è ora in corso.
E l’Europa? Senza materie prime, senza energia a buon prezzo, senza nuove terre coltivabili, senza più colonie da sfruttare, senza nuovi mercati promettenti, senza nuove generazioni audaci, resterà a consolarsi con il proprio passato, incapace di uscire dalle proprie catene, in primis il pensiero di essere ancora la dominatrice del mondo… mentre il mondo si rinnova.

Giuliano Buselli

La maggior parte delle persone è convinta di trovarsi di fronte a una guerra. Perché ognuno la guarda dal proprio punto di vista e perché la narrazione (almeno in Occidente) è univoca. Invece le guerre a cui stiamo assistendo, per il momento, sono cinque, una per ogni protagonista e più i tempi per la risoluzione diplomatica della vicenda si allungano, più rischiamo di accrescerne i protagonisti e i possibili risvolti. La Cina, per esempio, ha cominciato a muoversi.
La prima guerra è quella personale di Putin (e non della Russia) perché è stato lui a dare il via alle operazioni militari. Il capo del Cremlino non vuole colpire gli ucraini, vuole farla pagare a Zelensky, perché il leader ucraino vuole aderire alla Nato e sottrarsi, così, all’influenza di Mosca. Dal suo punto di vista l’atteggiamento che l’Europa e l’Ucraina hanno tenuto in questi ultimi 8 anni è stato provocatorio, e non ha tutti i torti. Putin in questi anni non ha perso occasione per sottolinearlo e per minacciare conseguenze che poi ha concretizzato con questa operazione militare. In questa vicenda è l’unico, nel male, coerente e conseguente. Vogliono farlo passare per pazzo ma è l’unico lucido. Freddamente lucido. Quella che viene definita dai commentatori occidentali come una difficoltà da parte della Russia ad attaccare gli Ucraini in realtà è una tattica. I russi non stanno facendo una guerra all’americana, non bombardano a tappeto distruggendo tutto quello che si trovano davanti, non torturano i civili come hanno fatto gli USA in Iraq, in Libia, in Siria, in Afghanistan, stanno mirando verso precisi obiettivi militari e strategici. Si tratta sempre di una guerra ovviamente ma il numero di morti, in quasi una settimana di guerra è, fortunatamente, molto contenuto, qualche centinaio. Quando incontrano una resistenza ucraina si ritirano, si limitano a circondare le città. E dopo averle circondate? Basta attendere che si arrendano. L’obiettivo è Zelensky non l’Ucraina, gli obiettivi sono militari non civili, ma la propaganda occidentale vuole farla passare come una guerra tra nazioni e si sforza di andare alla ricerca di immagini di incendi o esplosioni nonostante il bottino sia sempre molto scarso, i giornalisti cercano invano, da giorni, di esasperare le proprie telecronache. La prudenza dei russi viene venduta al pubblico come grande resistenza da parte degli ucraini. I russi non hanno alcun interesse a distruggere un paese che ritengono casa loro. Putin vuole sostituire la leadership di Zelensky con un’altra a lui fedele per ovvi motivi di sicurezza nazionale. Non vuole neanche governarla, sarebbe troppo impegnativo. Giusto? Sbagliato? Non mi esprimo, ogni considerazione va fatta considerando nel complesso i rapporti di forza in campo e gli obiettivi di ciascuno.
La seconda guerra è quella degli ucraini, guidati da un leader che si illude che passerà indenne da una dittatura (quella di Putin) a un’altra (quella dell’Europa). Per desiderare di aderire all’UE bisogna essere o distratti o ingenui. L’onda emotiva del momento certamente non aiuta nè l’una nè l’altra parte. Zelensky chiama alle armi gli ucraini per difendere il territorio ma in realtà l’unico in pericolo è lui. E l’unico modo per salvarsi è far passare questo regolamento di conti con Putin come un problema nazionale. Arruolare giovani civili alle prime armi (è il caso di dire) da mandare in battaglia contro un esercito di professionisti a cosa può servire se non a creare dei martiri da utilizzare come prova della cattiveria del nemico e a invocare l’intervento di altri paesi nel conflitto? Armare civili significa costringere i russi a spostarsi dagli obiettivi militari a quelli civili.
La terza guerra è quella dell’Europa, un’accozzaglia di paesi incapaci di adottare una strategia comune anche su uno solo dei temi presenti sul tavolo, che sembrano essersi improvvisamente ricompattati di fronte al nuovo nemico comune e che sono i veri responsabili dell’escalation del conflitto. Nonostante i numerosi allarmi lanciati nel corso di questi anni sono apparsi sordi e hanno continuato con una politica ambigua, a fare i finti tonti di fronte alle minacce del leader russo. Non solo non hanno previsto l’escalation ma non si sono neanche premuniti per far fronte alle eventuali ritorsioni di carattere energetico e alimentare che una possibile guerra con la Russia avrebbe prodotto. Di Maio che corre a stringere accordi in Algeria per il gas certifica un’imbarazzante sottovalutazione oltre che un’assoluta incapacità strategica e tattica. La corsa agli armamenti è cominciata e anche l’Italia si sta facendo trascinare in questa idiozia che non può produrre altro effetto che quello di mettere ancora di più in pericolo la popolazione ucraina e il resto del mondo. Fornire armi agli ucraini significa mandarli al massacro, lo spazio aereo è in mano ai russi e a meno di un intervento militare diretto della Nato, che però scatenerebbe una terza guerra mondiale, la superiorità dei russi è schiacciante. Tanto per non buttare benzina sul fuoco l’UE ha fatto firmare la richiesta di adesione dell’Ucraina a Zelensky. I pazzi, come si può notare, stanno da un’altra parte. Pensare di poter allargare la Nato è qualcosa che non sta né in cielo e né in terra. Ne fanno già parte 30 paesi che non riescono a mettersi d’accordo, figuriamoci aggiungendone altri. Tra i suoi scopi ci sarebbe quello di prevenire i conflitti, mi pare che bastino la cronache di questi giorni a certificarne il fallimento. Ammettiamo per assurdo che tutti i paesi del mondo entrassero a farne parte, secondo voi cosa succederebbe dopo? Finirebbero le guerre o comincerebbero le fuoriuscite dei delusi per la creazione di un altro soggetto da contrapporvi? Bisogna proprio essere idioti per perseguire certe finalità.
La quarta guerra è quella degli Stati Uniti che hanno contribuito a provocare Putin in mille modi in questi anni, attraverso l’UE e anche direttamente, per allargare l’influenza della Nato ma che non hanno alcun interesse ad intervenire, l’opinione pubblica americana è fermamente contraria a un’intervento. Sono stati i primi a capire che Putin faceva sul serio, già a dicembre, hanno pubblicamente lanciato l’allarme ma l’Europa ha continuato a fare finta di nulla. Nessun tentativo di mediazione è stato messo in campo per evitare il peggio anche perché gli americani hanno lavorato per raggiungere l’escalation militare in Ucraina avendo come obiettivo il ridimensionamento della Federazione russa e il ri-orientamento degli interessi europei (in particolare per il gas) lontano dalla Russia. Loro per il momento si limitano a fare propaganda, a recitare il ruolo di paladini delle libertà, attendono l’occasione che consenta a Biden di recuperare consensi.
La quinta guerra è silenziosa e dura da decenni, è quella combattuta dal popolo russo da un lato contro il loro leader, anche se viene repressa puntualmente sul nascere, dall’altro contro un Occidente che non li ha mai compresi e ascoltati. D’altronde un Occidente che non si sentisse superiore ad altre civiltà sarebbe irriconoscibile. Sperare che gli oligarchi, in seguito alle sansioni comminate dall’Europa, possano rivoltarsi contro Putin non è realistico e nemmeno auspicabile. Si tratterebbe solo di sostituire un oligarca con un altro. Una leadership seria non si costruisce in preda all’emotività. Putin, al contrario di ciò che si pensa, è il garante degli equilibri di quell’area del mondo, dopo l’Iraq, l’Afghanistan e la Siria c’è chi vorrebbe destabilizzare anche quella. Con Putin occorre dialogare non guerreggiare, quello che si è sempre rifiutato di fare l’Europa, potenziale ago della bilancia ma anche principale responsabile di questo disastro.

Massimiliano Capalbo

Che strano popolo che siamo. Per due anni ci siamo rapportati con Sars-Cov2 come se fossimo in guerra e lui il nemico da sconfiggere, abbiamo usato un linguaggio militare, abbiamo perfino messo un generale a gestire le misure per il contenimento e il contrasto dell’emergenza Covid-19, per rendere palese che si trattasse proprio di una guerra, abbiamo inferto molte ferite a tante persone che avranno bisogno di molto tempo per rimarginarsi e messo in ginocchio un’economia, e adesso di fronte ad una vera operazione militare condotta con armi, quella in Ucraina, inorridiamo e sventoliamo ramoscelli d’ulivo.
Abbiamo un governo guidato da un premier che, in quanto a ego, non ha nulla da invidiare a Putin e che nell’ultimo anno ha espresso provvedimenti restrittivi che nulla hanno a che fare con la scienza e la salute, ma semplicemente con l’intenzione di punire una minoranza che non ha ubbidito al diktat della vaccinazione, un premier che è stato capace di spaccare in due il paese, creando una categoria ed etichettandola come no-vax e additandola come responsabile della propagazione del virus, che adesso condanna l’atto di prepotenza del suo omologo russo.
Non ci rendiamo conto che la guerra prima di essere agita viene evocata attraverso il linguaggio. Che le parole che utilizziamo per definire e regolare i rapporti con gli altri e con gli eventi che accadono attorno a noi sono intrise di violenza e ostilità. La comunicazione non ostile non appartiene alla nostra cultura, non si insegna a scuola e non rappresenta lo strumento principale per dirimere le controversie in Occidente.
La nostra società è organizzata in maniera verticistica, militare. In cima alle piramidi che abbiamo costruito ci sono i capi, che esercitano il potere, e via via che scendiamo di gradino i sottoposti, i soldati, che devono eseguire e ubbidire. Mi ha fatto specie ieri sera, seguire lo speciale di una nota redazione giornalistica della Rai sulla guerra in Ucraina, condotta da una giornalista che non perdeva occasione per ossequiare il direttore del Tg che le sedeva accanto, un atteggiamento non molto diverso da quello che gli oligarchi russi hanno assunto fino ad oggi nei confronti del capo del Cremlino. Nello stesso momento, su un altro canale pubblico, una famiglia (marito e moglie) conduceva una delle trasmissioni televisive più seguite, come nei migliori regimi oligarchici. Eppure non ce ne rendiamo conto.
Non abbiamo ancora capito, dopo millenni di guerre, che quando il potere è una risorsa scarsa e quando viene concentrato in poche mani da un lato (da parte di chi lo detiene) genera dispotismo o, nella migliore delle ipotesi, familismo amorale e dall’altro (da parte di chi lo desidera) ambizione, avidità, paura, risentimento. Questo conduce ad una lotta per il suo accaparramento che non può che passare attraverso una guerra.
L’iniqua distribuzione del potere è all’origine di tutte le contrapposizioni a cui assistiamo nel mondo. Superare questo problema è la principale sfida alla quale il mondo è chiamato. Cedere potere equivale, da parte di chi lo detiene, a dare fiducia mentre, da parte di chi lo riceve, ad assumersi responsabilità. E’ un atto di maturità e di evoluzione personale. Fiducia e responsabilità sono le due parole chiave che possono dare una svolta all’umanità ma che sono evitate come la peste da tutti noi. Invocare la pace senza prima agire nella propria personale esistenza dando fiducia agli altri e pretendendo in cambio responsabilità non serve a nulla. Siamo tutti pronti a condannare i comportamenti altrui e ad invocare la pace quando non siamo toccati personalmente ma, come dimostra la cronaca quotidiana, non esitiamo ad imbracciare le armi quando ci sono da difendere le nostre piccole o grandi posizioni di potere.

Massimiliano Capalbo