Lo spread è scomparso, non se ne hanno più notizie, appena tre anni fa ossessionava giornali, tv, politici, economisti, finanzieri, istituzioni nazionali e internazionali. Se lo spread cresce, il paese va in fallimento, si diceva.
Era così potente lo spread che il Presidente della Repubblica, caso unico nella storia repubblicana, fece naufragare la formazione di un governo perché era stato indicato a ministro un economista di orientamento keynesiano e quindi favorevole alla spesa e all’aumento del debito pubblico. Erano tempi, tre anni fa, in cui se il debito pubblico aumentava appena di un punto tutti si allarmavano e gridavano: il mercato ci affosserà!
Oggi il debito è aumentato di 40 punti (quaranta!!!) e lo spread tace, chi ieri si stracciava le vesti per un punto oggi approva 40 punti, giornalisti, politici, economisti, finanzieri, opinione pubblica. Tutti.
Cos’è successo? Semplicemente che lo spread dipende dalla soggettività e non dall’oggettività. Un parlamentare di maggioranza, nel proprio intervento al Senato sul Recovery pochi giorni fa, ha detto che tutte le argomentazioni che venivano addotte in passato per giustificare il divieto di crescere la spesa pubblica erano menzogne, gli altri parlamentari hanno tutti taciuto, riconoscendo implicitamente di aver mentito in passato. Ma se hanno mentito in passato cosa autorizza a credere che non mentano anche oggi? Che non mentiranno ancora in futuro?
A me piacciono i cambiamenti, le conversioni, le crisi di coscienza, tutti quei percorsi con i quali l’uomo come singolo individuo o come collettività cambia nel tempo il proprio orientamento e matura convinzioni diverse da quelle del passato (a me è successo), allora si dice apertamente a se stessi e agli altri che le convinzioni in cui abbiamo creduto nel passato sono state superate, che si è percorsa tanta strada e si sono individuati nuovi obiettivi, in questi casi io resto ammirato.
Un uomo simile era Umberto Veronesi il quale, pochi mesi prima della morte, tenne un discorso davanti a un congresso di medici al Quirinale e affermò, testualmente, “colleghi, abbiamo sbagliato a privilegiare la conoscenza del corpo, dobbiamo tornare a Platone“, il più famoso oncologo italiano dichiarò di aver sbagliato.
“Abbiamo sbagliato” è un’affermazione che non ho mai sentito dai parlamentari attuali e neppure da quel Draghi che, quando era alla BCE, teorizzava che non si poteva in alcun modo spendere neppure un punto in più. E’ avvenuta una conversione? Perché non dire allora apertamente il proprio cambiamento? E se il cambiamento non è avvenuto, di che si tratta allora?
E’ un atteggiamento che mi ricorda la transizione dal fascismo alla Repubblica quando tanti italiani da fascisti che erano stati divennero antifascisti; così tanti sessantottini che da supercritici si sono poi comodamente accomodati in tutte le strutture di potere; così i comunisti che divennero improvvisamente, crollata l’URSS, da statalisti che erano degli accesi iperliberisti e, giunti al governo, si misero a privatizzare tutto, persino le strade; così i cinquestelle che appena al governo hanno scoperto la necessità di “mediare”; così tutta quella parte di opinione pubblica che ferocemente prima sbraitava per il debito pubblico e oggi lo esalta. Sono brutti segni, indicano che, sì, i tempi sono cambiati ma le attitudini di fondo sono rimaste le stesse, in questo modo il passato non scompare mai, perché se ne vada occorre dirsi “abbiamo sbagliato!”, altrimenti è solo l’opportunismo e il servilismo di sempre.

Giuliano Buselli

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