Io non partecipo alla ricerca del capro espiatorio che in queste ore si sta attuando a Civita, perché è troppo comodo. Per quanto la nostra società si consideri matura ed evoluta in realtà è, e resta, una società di irresponsabili. E non mi riferisco a chi ha accompagnato quei cittadini nelle gole del Raganello, gli unici ad essersi assunti delle responsabilità fino ad oggi, mi riferisco a tutti quelli che non hanno fatto nulla per regolamentare, organizzare, tutelare, aiutare, collaborare e che oggi sono alla ricerca del capro espiatorio: le cosiddette istituzioni.
Fino ad una quindicina di anni fa Civita non era conosciuta neanche dai calabresi, se oggi è diventata meta di turisti e appassionati di natura provenienti da tutto il mondo, se sono nati ristoranti, b&b, associazioni di escursionisti, se ci lavorano guide, se ha rappresentato e rappresenta un fiore all’occhiello del turismo (più sostenibile di molti altri modelli) calabrese lo dobbiamo a dei privati cittadini, dei giovani che si sono mossi per prima e che hanno riconosciuto il valore che quelle risorse potevano rappresentare per l’economia del borgo e si sono assunti la responsabilità di creare tutto ciò. Se sindaci, assessori, presidenti e compagnia bella si possono riempire la bocca nei convegni di parole come turismo sostenibile, canyoning, rafting, ferrate (spesso senza sapere di cosa si tratti) è perché c’è qualcuno sul territorio che ha saputo creare tutto questo.
Se fossero stati fermi, se avessero chiesto forme di assistenzialismo, se avessero lasciato campo libero alle istituzioni oggi gli abitanti di Civita si troverebbero qualche discarica, qualche centrale turbogas, qualche industria chimica, sarebbero morti a norma di legge e nessuno avrebbe invocato giustizia.
Invece hanno intrapreso, si sono rimboccati le maniche e hanno provato (riuscendoci) a cambiare l’immagine del loro paese. Un esempio per tanti altri borghi calabresi che ancora attendono la manna dal cielo. Io ho un profondo rispetto per chi agisce e si assume le proprie responsabilità.
Potrei elencare numerosissimi esempi di giovani che in Calabria si stanno dando da fare in solitudine, senza l’aiuto di nessuno per trasformare il proprio territorio, spesso avendo contro le istituzioni, che si assumono dei rischi importanti per inseguire un ideale e uscire dal pantano che le istituzioni calabresi hanno creato attorno a loro per decenni. Lottano, combattono, si sacrificano e poi se le cose vanno bene i loro meriti vengono diluiti tra i tanti cani all’osso, se va male vengono additati come gli unici responsabili.
Anche i visitatori che hanno deciso di entrare in quel Canyon si sono assunti un rischio, hanno sfidato a loro modo la natura. La tragedia è che chi ama la natura a volte ne viene travolto, ha scritto ieri il mio amico Giuliano Buselli. Perché condannare? Perché ergersi a giudici? Quanti di noi lo hanno fatto prima di loro e sono stati più fortunati (il sottoscritto ad esempio) uscendone vivi? Io ho un grande rispetto per tutti i morti di questa vicenda. Queste morti ci raccontano di un bisogno di natura, di scoperta, insita nell’uomo. Un bisogno che andrebbe soddisfatto con maggiore informazione, educazione. Non è impedendo l’accesso alle gole che si risolve il problema, non sono le uniche gole esistenti in Calabria per fortuna. Cosa facciamo? Mettiamo i cancelli alla natura perché la gente non la conosce? O facciamo l’esatto opposto: supportiamo chi guida alla conoscenza e alla scoperta della natura per evitare che questa venga danneggiata, ad esempio, o che succedano tragedie come quella di lunedì?
Le istituzioni invece di mediare tra i vari interessi che si sovrappongono sul territorio, invece di collaborare, organizzare, coordinare, supportare, regolamentare, sostenere, prendono partito, fanno sfoggio dei meriti degli altri facendoli propri quando conviene, se ne liberano quando non conviene più, nella migliore delle ipotesi si disinteressano completamente, lasciando che i fenomeni si autodeterminino e sfocino poi in tragedie come quelle che siamo costretti a commentare. Poi si affrettano a fare dichiarazioni perentorie ai microfoni per rassicurare dei cittadini in cerca di una giustizia emotiva.
La vita è fatta di imprevisti, di difficoltà, di rischi. Solo stando fermi non succede nulla. Chiunque agisce si assume dei rischi, la vità è per definizione rischio. Ci illudiamo che una polizza assicurativa possa metterci al riparo dai rischi, può soltanto tamponare i danni a valle ma non può impedire che il peggio accada. Gli unici che hanno pagato e che pagheranno in questa tragica vicenda sono stati e saranno quelli che hanno agito, su questo non v’è alcun dubbio. Il messaggio conclusivo sarà devastante, tombale, quello che ci ripetiamo ogni giorno da secoli in Calabria e che mantiene questa regione in coma profondo: ma chi te la fa fare?

Massimiliano Capalbo

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3 commenti
  1. Graziella
    Graziella dice:

    Nei giorni successivi alla tragedia ho cercato di difendere “l’organizzazione”di cui lei parla con tantissimi amici e conoscenti che avevo coinvolto per quella che credo sia un’attività meravigliosa : la scoperta della mia Calabria in un percorso unico !

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  2. Rosa
    Rosa dice:

    Qualunque cosa si intraprenda pone dei rischi, fa parte del vivere, fa parte di quel ricercare situazioni dove l’uomo vuole vivere a fianco dell’imprevisto, si muore sulle montagne, si può morire in spiaggia colpiti da fulmini…. ognuno ne deve essere consapevole…. la Calabria ha potenzialità….. Civita ha sfruttato ciò che la natura le ha concesso…. e ben venga….

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  3. Felix
    Felix dice:

    Si devono seguire le regole scritte.. se non ci sono si copia dove hanno già esperienza..nell’improvvisazione si deve mettere in conto anche tragedie come queste..

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