Campi senza braccia
In Italia, secondo i dati raccolti negli ultimi anni, ci sono oltre mezzo milione di lavoratori stagionali. Oltre un milione in Europa più un numero indefinito di altre braccia che non vengono mai conteggiate che vanno e vengono dai campi coltivati in un silenzio assordante. Gli schiavi degli schiavi. Le braccia che non contano più nulla. Eppure l’articolo principe, l’articolo uno della Costituzione Italiana, deliberato in un giorno di primavera del 1947, dalle mani sapienti delle nostre madri e dei nostri padri fondatori della Repubblica, afferma e sostiene che l’Italia è un paese fondato sul lavoro.
Queste braccia, sacre come tutte le altre, seminano e raccolgono la maggior parte della frutta e della verdura che noi consumiamo ogni giorno in un mondo che, se girasse per il verso giusto, dovrebbe riservare tutta l’attenzione che necessita ad un settore così fondamentale per la nostra sopravvivenza. Si tratta infatti delle prime braccia di una filiera articolata che nutre dai nostri nonni a noi, ai nostri figli. Purtroppo di questa catena di braccia che lavorano tutti i giorni non conosciamo quasi nulla, il “prodottocibo” è sempre lì presente sugli scaffali e tra i banchi dei mercati perché qualcuno/a lo ha raccolto/portato/collocato ma non reputiamo interessante e necessario sapere chi è quel qualcuno/a che lo ha prodotto. Andiamo sempre così di fretta e siamo sempre così impegnati, che cosa può fregarcene a noi chi sono questi anonimi lavoratori della terra? Non siamo più in grado di riconoscere quello che mangiamo, di prestare attenzione a come nutriamo noi e i nostri figli, figuriamoci se possiamo essere in grado di sapere che da decenni, dietro quello che mangiamo e che ci mantiene in vita, si cela uno sfruttamento sistematico di migliaia di braccia come le nostre o quelle dei nostri genitori e dei nostri figli.
Con l’arrivo della pandemia da Coronavirus la situazione, in questi ambienti lavorativi, si è esarcebata. Il blocco degli spostamenti delle persone, nello specifico dei lavoratori stagionali, e le chiusure delle frontiere in tutta Europa hanno fatto esplodere un sistema fragile, con l’inevitabile aumento dei prezzi di frutta, verdura e generi di largo consumo. Il balletto scoordinato degli annunci e delle smentite dei politici, delle associazioni di settore e degli imprenditori agricoli ha gonfiato le pagine dei giornali, gli schermi televisivi e i nuovi mezzi di comunicazione digitale. Incertezze e speculazioni che hanno sgonfiato, ancora una volta, le nostre tasche e le nostre speranze.
La maggioranza di questi lavoratori atipici, con pochi diritti e molti doveri, arriva dagli stati dell’est Europa e dal nord Africa. Lavoratori senza fissa dimora che per quasi tutta la primavera, l’estate e parte dell’autunno mettono a disposizione le loro braccia e le loro schiene, per coltivare i campi e tenere in piedi il settore, senza i quali imploderebbe. Questa “flessibilità” che il mercato ha generato, permette di lavorare tre settimane in Italia e magari quattro in Germania. Un tipo di lavoro, non legale ma accettato, retribuito a pochi euro all’ora per 10 o più ore di lavoro al giorno se si è fortunati. Sempre se non si finisce nelle braccia delle mafie, dei caporalati che da secoli infestano i territori agricoli europei. In questo caso la possibilità che una giornata di lavoro finisca in tragedia è assicurata e i libri e i racconti di Alessandro Leogrande, un grande autore e osservatore meridionale, lo testimoniano. Un lavoro che nei casi più estremi è capace solo di confinare, oltre il confine dell’umano i lavoratori stessi e le loro famiglie in un mondo fatto di segregazione e lamiere accatastate alla bell’e meglio.
È stata la stessa ministra dell’agricoltura, Teresa Bellanova, ad ammettere che la situazione è sempre più fuori controllo e che quindi se lo Stato italiano non si farà carico di dare dignità ai braccianti, la criminalità organizzata ancora una volta sfrutterà questo vuoto istituzionale. La ministra, in un comunicato ufficiale, ha aggiunto che: “si parla di circa 600mila lavoratori irregolari che vivono in insediamenti informali, sottopagati e sfruttati dai caporali. Sono invisibili ai più ma contribuiscono di fatto a raccogliere i tanti prodotti dalle campagne che arrivano alle nostre tavole. Oggi la loro situazione è ancora più complicata e fragile, sono ancora più esposti a rischio sanitario e fame.” Per chi l’avesse dimenticato l’agricoltura in Italia è uno dei pilastri portanti che tiene in piedi il sistema paese. Lasciarlo in “gestione” nelle mani sbagliate e senza legalità può significare generare un disastro senza precedenti.
Molto chiare, in questo senso, le dichiarazioni del procuratore nazionale antimafia, Federico Cafiero de Raho rilasciate al giornale Avvenire. Il magistrato ha affermato che regolarizzare gli immigrati che lavorano nel nostro Paese sarebbe veramente il raggiungimento di un grande risultato.
Se in Italia la situazione è questa, in Europa non se la passano meglio, il modello di lavoro da moderno servo della gleba ha attecchito ovunque nel vecchio continente. Da decenni gli autoctoni non vogliono più avere a che fare con la terra, troppo duro e poco pagato il lavoro in agricoltura, ragion per cui si è deciso, senza prendere nessuna decisione legale, di farlo diventare appannaggio degli stranieri. La formazione dell’Unione Europea e l’apertura delle frontiere tra i paesi comunitari ha facilitato e amplificato l’attecchirsi di questo epifenomeno. La Scozia e gli imprenditori agricoli scozzesi sono stati i primi, e i più veloci, a comprendere che la situazione si sarebbe complicata con le chiusure delle frontiere a causa del Covid-19. Le agenzie d’impiego online e offline hanno cercato di recrutare migliaia di residenti tra studenti, lavoratori di altri settori e disoccupati per sopperire al mancato arrivo dei lavoratori stagionali che ogni anno giungono con voli low-cost dai paesi dell’est Europa. Anche gli altri paesi della comunità europea, come Francia, Spagna e Germania stanno cercando di risolvere il problema, visto l’imminente inizio della stagione della raccolta di frutta e ortaggi. Oltre al recrutamento di nuove forze lavoro locali di altri settori in affanno in questo momento, l’idea che circola in questi giorni è quella di creare dei corridoi verdi per far arrivare questi lavoratori dall’est Europa con dei voli speciali e con dei controlli sanitari snelli alle frontiere. È notizia di ieri che, al confine con la Romania, 1800 lavoratori stagionali sono pronti per sbarcare in Germania per la raccolta degli asparagi. Si, proprio la Germania che negli ultimi due anni ha visto una crescita enorme dei partiti di ultra destra che hanno basato la loro campagna elettorale contro “l’invasione degli immigrati”.
L’idea del corridoio verde sembra avere sempre più peso anche in Inghilterra, dove molte delle migliaia d’inglesi che si erano offerti, in un primo momento, online per questo tipo di lavoro stagionale, ora hanno cambiato idea. Molti di questi, spinti più da un impeto nazionalista e populista che da una necessità lavorativa vera e propria. Una buona parte di chi si era proposto ha rifiutato perché il guadagno è basso, il lavoro è lontano dalle città dove vivono, senza possibilità di vitto e alloggio in alcuni casi e i turni di lavoro lunghi e con poche pause. Insomma, il “gioco” non vale la candela. Sembra che i locali, forse, abbiano iniziato a capire cosa c’è dietro questo lavoro, con poche garanzie attuali e future anche a livello previdenziale, che invece gli stranieri fanno per molti mesi all’anno e per molti anni della loro vita. Lavoro che resta fondamentale per tutti. Strumento che permette ai supermercati e mercati delle nostre città una continuità di generi alimentari per soddisfare le richieste giornaliere di cibo.
Abbi cura di te
Anam
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