Osservando le persone che cantano e suonano dai balconi, in questi giorni di quarantena forzata, mi sono tornate in mente le sagge parole di Jean Giono, scrittore francese che, nel suo bellissimo libro “Lettera ai contadini sulla povertà e la pace“, scritto nel 1938, aveva tentato di metterci in guardia dal consegnarci mani e piedi alla schiavitù derivante dalla rincorsa alla ricchezza illusoria.
Scriveva Giono: “La seduzione del facile attirò verso le grandi città la popolazione delle campagne dove rimasero solo gli uomini avvezzi al difficile… In città si ammassarono gli uni sopra gli altri nei luoghi del desiderio… Le grandi compagnie d’uomini distribuiti uniformemente come sementi in tutta la rotondità del globo, dediti a un lavoro di collaborazione con la natura, si precipitarono verso l’artificio (le città) abbandonando il naturale; avide di facilità e di profitto… In quel momento s’è compiuta la separazione tra quelli che volevano vivere in modo naturale e quelli che desideravano una vita artificiale… L’altezza delle case venne aumentata di piano in piano, sovrapponendo strati di umanità su strati di umanità, gli uni sopra gli altri, e misurando per ognuno lo spazio per dormire, per mangiare, delimitando tra delle pareti diritti di vivere (a pagamento).
Non c’è nulla di allegro o di positivo in queste scene di reazione collettiva alla quarantena, come invece tentano di raccontarci i media. C’è, semmai, la fotografia plastica della prigionia nella quale abbiamo volontariamente scelto di recluderci, in nome del dio denaro, e che il Coronavirus ci ha semplicemente permesso di scattare. Cartoline dalla prigionia potremmo titolare.
In passato – continua Giono – tutti possedevano tutto a sufficienza. E quindi tutti erano disposti a dare. La proprietà del contadino è soggetta ai suoi bisogni; è quindi soggetto alla sua misura… Pensate ancora che esser ricchi significhi avere molti di quei pezzetti di carta con dei numeri stampati sopra? Pensate che è povero colui che, privo di denaro, ha una cantina piena di buon vino, un granaio pieno di frumento, una dispensa piena di verdure, il mondo intorno a sé e del tempo libero a disposizione? E’ tutta una questione di vero e di artificiale… L’agiatezza che vi promettono i vostri mistici politici è artificiale. Quelle che avete perduto erano genuine.
Non è un caso se oggi l’unica quarantena vera è quella che è costretto a fare chi vive nelle grandi città, prigioniero in un condominio di cemento armato. Niente di paragonabile ai privilegi di chi vive in campagna o in montagna. Abbiamo scelto di costruire le nostre vite attorno al lavoro e questo è il risultato. Avremmo dovuto scegliere prima la vita. Il virus ci sta dimostrando che ci siamo dati la zappa sui piedi. Abbiamo creato ammassi di gente, stipata una sopra l’altra, che sono per definizione ingovernabili. Mi hanno sempre fatto ridere le critiche ai sindaci delle metropoli, come si può pensare (ammesso che se ne abbiano le capacità) di governare agglomerati urbani di milioni di persone? Se invece di ammassarci nelle grandi città come delle pecore ci fossimo distribuiti con saggezza e consapevolezza nelle centinaia di centri storici abbandonati che stanno crollando a pezzi in tutta Italia o nelle aree rurali non più coltivate, che generano a valle i disastri che registriamo dopo le alluvioni, ad esempio, oggi non avremmo paura del Coronavirus, sarebbe liquidato come una banale influenza. Siamo andati dietro agli economisti, depositari dell’unica disciplina che non ha alcun contatto con la realtà, li abbiamo consultati più frequentemente dei medici e questo è il risultato.
E’ caratteristico della metodologia della scienza economica ignorare il fatto che l’uomo dipende dalla natura” scriveva uno dei pochi veri economisti mai esistiti, Ernst Friedrich Schumacher, e aggiungeva: “se il pensiero economico non riesce ad andare al di là delle sue grandi astrazioni e a prendere contatto con le realtà umane, allora gettiamo via la scienza economica e incominciamo da capo.
Oggi le parole di Giono appaiono più che mai profetiche e ci indicano una strada che in molti hanno cominciato da tempo a percorrere mentre altri ne stanno prendendo atto in questi giorni: “Quel che fate lo fate a dismisura; perché stupirvi, dopo, dell’insensatezza e del disordine che ne sono le logiche conseguenze? La forza dello Stato è il denaro. Il denaro dà allo Stato la forza dei diritti sulla vostra vita. Ma siete voi a dare forza al denaro accettando di servirvene… Voi contadini siete umanamente liberi di non servirvene, il vostro lavoro produce tutto quel che è direttamente necessario alla vita. Vi basta dunque un atto di volontà per diventare padroni dello Stato. Quel che il sociale chiama povertà per voi è misura.

Massimiliano Capalbo

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