Ho deciso di non produrre più contenuti direttamente sui social ma di utilizzare esclusivamente i miei siti reali e virtuali per diffondere opnioni, notizie, contenuti e iniziative. Era una decisione che mi ronzava nella testa da tempo e che, a seguito delle sempre più frequenti restrizioni alla libertà di espressione che il social più famoso (FB) sta attuando, ritengo doveroso prendere. I social non sono (e diventeranno sempre meno) spazi di libertà, è ora di crearne di nuovi.
Da oggi in poi chi è interessato a sapere come la penso o a partecipare a qualche iniziativa potrà farlo visitando questo sito o leggendo i miei libri o seguendo la mia rubrica radiofonica su Radio CRT e chi vorrà partecipare alle iniziative che programmo potrà incontrarmi di persona nel Giardino Epicureo. Questi sono gli unici spazi dove la mia libertà può essere garantita, dove le mie responsabilità saranno chiare e le iniziative saranno concrete. Ma, soprattutto, dove le interazioni saranno reali e senza filtri.
Non ho bisogno di contare i like per sentirmi più o meno apprezzato e stimato da perfetti sconosciuti. Non ho bisogno di intraprendere discussioni sterili per dimostrare a qualcuno di avere la verità in tasca. Non ho intenzione di invadere lo spazio altrui con i miei commenti non richiesti o lanciare frasi ad effetto in attesa che producano reazioni. Non ho più intenzione di “reagire” a quello che mi accade attorno, ho scelto già da tempo di “agire” e il Giardino Epicureo è il laboratorio dove questa azione diventa concreta e reale ogni giorno, dove compio e compirò le uniche cose che è giusto e necessario compiere in quest’epoca distopica. Non ho bisogno di attendere l’ennesimo disastro, come quello che registriamo in questi giorni, per essere costretto ad accorgermi che posso collaborare con i miei vicini di casa.
Non ho bisogno di essere seguito da migliaia di voyeur che stanno alla finestra a osservare cosa dico e faccio per attuare un cambiamento, al contrario mi bastano poche decine di persone reali e capaci assieme alle quali compiere l’unica rivoluzione possibile. Se sei tra questi ci incontreremo di persona prima o poi e da questo incontro nasceranno idee di salvezza. Il tempo stringe e l’unico che ci è dato vivere è quello presente, qui ed ora.

Massimiliano Capalbo

Lo avevo già verificato nel mio piccolo e ne ho avuto la conferma più in grande ieri sera, nel corso della prima puntata del Festival di Sanremo. Se togli i social agli influencer o anche semplicemente alle migliaia di aspiranti tali che popolano il Web, svaniscono come neve al sole. Mi è capitato in questi anni di contattare persone che sui social erano sembrate intraprendenti, che sembravano volersi mangiare il mondo, brillanti e piene di voglia di fare, e che poi messe alla prova nella realtà si erano rivelate incapaci anche di svolgere banali mansioni. O quantomeno ridimensionate rispetto alle aspettative create sul piccolo schermo.
Credevo, però, che di fronte alla scelta di mostrarsi a milioni di telespettatori e consigliata da uno staff, che immagino la supporti per salvaguardare quella parvenza di straordinarietà che si è costruita, la Ferragni avrebbe evitato e invece no. Ieri sera ha osato materializzarsi nella realtà e co-condurre il festival, mostrandosi in tutta la sua inconsistenza. Un avatar sarebbe stato più empatico, avrebbe trasmesso più emozioni. Forse si è trattato di un esperimento per introdurli nelle prossime edizioni visto che stiamo andando verso il transumanesimo. Ma tant’è. Ho l’impressione che, così come è avvenuto con la bolla della new economy alla fine degli anni ’90, anche l’economy dei social esploderà, prossimamente, rivelandosi in tutta la sua inconsistenza.
La Ferragni ha esordito indossando un abito con la scritta “pensati libera”, smentita da lei stessa qualche minuto più tardi con la lettura di un testo di una banalità sconcertante. Mi è sembrata schiava, invece, come la maggior parte degli artisti e degli influencer, dell’industria economica e finanziaria che ha contribuito a creare e del successo. Le persone veramente libere non ricercano spasmodicamente visibilità e consenso, le persone libere stanno bene innanzitutto con se stesse, sono libere interiormente, non fanno una piega di fronte ad una critica spiacevole e si oppongono ai diktat del sistema quando è il caso. E, soprattutto, non hanno bisogno di raccontarlo agli altri.
Un tempo chi aveva problemi esistenziali si recava dallo psicologo. Oggi, nonostante il bonus del governo, partecipa a trasmissioni televisive. Da “Ballando con le stelle” a “The Voice”, da “Tali e quali” a “X factor” è un continuo confessarsi sul lettino del conduttore. Altro che successo, altro che esempi. Si crede che coprendo le fragilità col rumore dello spettacolo e abbagliandole con le luci dei riflettori si possano mettere a tacere. E’ vero l’esatto contrario. Per capirsi occorre ascoltarsi e per ascoltarsi occorre fare silenzio e stare da soli e in ombra. Una cosa che, al solo pensiero, terrorizza la stragrande maggioranza dei nostri contemporanei.
Dalla nascita dei social ad oggi abbiamo assistito al passaggio dai leader agli influencer, un passaggio determinato dalla progressiva inconsistenza dei protagonisti e soprattutto dal progressivo allontanamento dalla realtà. I leader un tempo erano tali perché si sporcavano le mani, diventavano leader dopo essersi resi protagonisti di azioni concrete che avevano modificato la realtà e i cui effetti avevano avuto ricadute concrete sui loro seguaci. Attraverso il loro esempio erano di ispirazione per altri ad agire concretamente per cambiare le cose. Con l’avvento della tv prima e del cyberspazio poi, tutto ha cominciato ad assumere la loro stessa inconsistenza. Tutto è partito dal mondo della politica. Ad un certo punto non è stato più necessario dimostrare particolari capacità per diventare leader, è stato sufficiente essere funzionali al sistema, anzi più incapaci si è e più si è funzionali, più si può essere manovrati a piacimento. Se non hai risolto il tuo problema di vivere puoi dichiarare, senza timore di smentite, che risolverai quelli degli altri, a pagamento ovviamente. Non è importante se sei Antonio o Angela, se sei realizzato o meno, l’importante è che la tua immagine sia vendibile e manipolabile, che generi consenso, che tu dia la parvenza di un cambiamento o di una rivoluzione. Poi se diventi premier e scateni una guerra mondiale perché sei incapace di interpretare la comunicazione verbale o non verbale di un tuo omologo non importa.
La maggior parte delle persone di spettacolo, soprattutto se emergenti, vive come i gladiatori nelle arene al tempo dei Romani. Le performance di primo piano celano un restroscena meno piacevole, fatto di obblighi contrattuali e di schiavitù che nessuno ci racconta, di continua competizione, elemento costitutivo della nostra società. La tensione è così alta che poi esplode, come è avvenuto ieri sera nella rabbia distruttiva di Blanco, unico momento di verità di tutta la serata.

Massimiliano Capalbo

L’istituto Mario Negri, importante centro italiano di ricerca farmacologica, ha pubblicato sulla Rivista “Lancet” (una delle più autorevoli riviste scientifiche a livello internazionale) i risultati di una ricerca sui malati di Covid: la conclusione è che il Covid è curabile con dei semplici antinfiammatori, a casa e ai primi sintomi, solo così è possibile ridurre del 90% (novanta!) le ospedalizzazioni e accorciare la sintomatologia dell’80%.
Ne esce a pezzi il protocollo ministeriale della “tachipirina e vigile attesa”, anzi si può dire che quel protocollo, strenuamente difeso contro ogni evidenza da ministro e ISS, ha portato al decesso decine di migliaia di pazienti. E’ una delle tante notizie di questi ultimi mesi che stanno demolendo la narrazione ufficiale e mediatica della pandemia, tutta incentrata sulla drammatizzazione e sul vaccino come unica soluzione.
Non sorprende che il ceto politico abbia cavalcato la drammatizzazione per ricavarne un rafforzamento del potere esecutivo (tendenza presente in ogni paese europeo) nè sorprende il gioco degli interessi economici delle case farmaceutiche, in un mondo dominato dal denaro è ovvio che penetri anche nella ricerca scientifica e nell’esercizio della professione medica.
Ciò che sorprende è che la stragrande maggioranza dei cittadini abbia creduto alla narrazione ufficiale e mediatica nonostante tante voci autorevoli avanzassero opinioni diverse, nel caso specifico il direttore dell’istituto Negri, prof. Remuzzi, aveva comunicato la sua terapia già un anno fa, nessuno lo ha ascoltato.
Perchè tanta credulità in una società che si considera avanzata? E’ come se la forte scolarizzazione della nostra società non abbia prodotto alcuna autonomia di pensiero, come se la maggioranza dei cittadini e persino delle persone colte (ad es. il mondo universitario) preferisse credere a qualcuno invece che pensare autonomamente.
La società ipertecnologica è piena di creduloni. Parrebbe una contraddizione, forse invece c’è un rapporto di causa ed effetto.
Forse è proprio la pervasività della tecnologia che conduce alla massificazione della credulità. La pigrizia che tanti dispositivi tecnici, sostitutivi delle attività umane, induce nei corpi si estende alla mente e diventa pigrizia mentale. Il credulone è chi cessa di cercare, di chiedere, di porre domande, di avanzare dubbi. Lui segue solo la voce dominante, ha un bisogno interiore di dar credito a qualcuno e sceglie sempre chi è più forte perchè lui è, mentalmente, debole, tanto debole.
Chiedete, diceva Gesù ai discepoli, non aspettate che parli il Maestro. “Chiedete, se avete intenzione di ricevere. Quando la terra ha sete tocca a lei chiamare la pioggia“. (Dal Vangelo apocrifo di Maria Maddalena)

Giuliano Buselli