Che strana questa guerra tra Putin e Zelensky. E’ molto diversa rispetto a quelle a cui eravamo stati abituati negli scorsi anni. Ce l’avevano annunciata come la Terza Guerra Mondiale, come qualcosa che avrebbe attivato un’escalation di reazioni senza fine e, per fortuna, è in corso da settimane e la sensazione che si avverte è di stallo. Non perché i russi abbiano incontrato la grande resistenza ucraina, che i media partigiani vanno raccontando dall’inizio, ma perché la strategia scelta da Putin è quella del danno minore (poi sempre di una guerra di tratta), di una guerra mirata verso obiettivi precisi. Putin ha parlato di demilitarizzazione e denazificazione non a caso. Sul territorio ucraino da tempo erano nati nuclei di combattenti riconducibili al battaglione Azov, un reparto militare ucraino neonazista, istituito con lo scopo principale di contrastare le crescenti attività di guerriglia dei separatisti filo-russi del Donbass durante la guerra del 2014 che ha provocato circa 14 mila morti ma che i media mainstream non raccontano.
E’ una strana guerra perché da quando le guerre sono diventate televisive (la prima fu quella del Golfo nel 1990) siamo stati abituati ai bombardamenti americani in diretta che arrivano dal cielo, simili a quelli dei videogiochi, e invece qui non ne vediamo (ci siamo dovuti accontentare finora di un razzo di segnalazione spacciato per un missile che aveva colpito una centrale nucleare, poi risultata per fortuna una delle tante bufale). Perchè l’obiettivo non è distruggere l’Ucraina (i russi non avrebbero impiegato così tanto se avessero voluto) ma rimuovere il suo presidente e le organizzazioni naziste che lo sostengono come il battaglione Aidar, irreggimentato nelle forze di terra ucraine e il reggimento Dnipro-1 divenuto un corpo speciale della polizia e non avere ai confini la NATO. Si tratta, quindi, più di una guerriglia che di una guerra vera e propria e i giornalisti(?) si sforzano di farci credere che il cattivo Putin colpisce le scuole (vi risulta che i bambini continuino a recarsi a scuola durante una guerra?) e i civili. Devono giocare con la parola “civili” per attribuire al cattivo del momento le intenzioni che non ha. Quel poco di esercito ucraino che c’era all’inizio della guerra non esiste più, è stato annientato dalle forze russe, sono rimasti a combattere i civili (spesso forzatamente arruolati da Zelensky) e le milizie naziste facenti capo ad Azov, più tutta una serie di mercenari al soldo di qualcuno, provenienti da mezza Europa che da anni si stavano allenando per l’occasione. Combattono nascondendosi nei palazzi, nelle scuole, in qualsiasi struttura “civile”, è normale quindi che vengano colpiti i “civili” dentro strutture “civili” perché i “civili”, armati dai paesi (civili??) della Nato, Italia compresa, sono quelli rimasti a combattere.
Che strana questa guerra. E’ strano che, mentre un paese e sotto attacco il suo presidente (l’aggredito), trascorra più tempo in videoconferenza a tenere discorsi in tv, preparati da qualche consulente di comunicazione, che sul campo di battaglia o nascosto in qualche bunker. Lo si vede tranquillamente andare in giro per il paese a girare video e, quasi sempre, si collega dallo stesso posto. Questo aggressore è così cattivo che lo lascia andare in tour virtuale per mezza Europa da settimane. Solo da Fazio non lo abbiamo ancora visto (martedì si collegherà col parlamento italiano). Saddam Hussein e Gheddafi si dovettero nascondere come topi per sfuggire ai mastini americani. La follia non sta nel paventato attacco nucleare, utile più agli occidentali per rendere l’aggressore più cattivo di quello che sembra, ma dall’occupazione di tv e parlamenti da parte di improbabili esponenti politici ucraini che hanno un solo obiettivo: trascinare la parte di Occidente ingenua e senza strategia in una guerra globale e, contemporaneamente, mettersi al servizio degli interessi della parte furba dell’Occidente, sperando di raccoglierne dei vantaggi di carattere politico sul lungo periodo.
Che strana questa guerra. Non vi è traccia di raid aerei e il presidente Zelensky insiste sul chiudere lo spazio aereo di una guerra condotta con i carri armati. E’ chiaro che l’intento è solo quello di allargare il conflitto, chi lo segue è solo un pazzo o il complice di un disegno più ampio e perverso. Che strana questa guerra, l’aggressore non bombarda le vie di comunicazione (gli ucraini continuano a spostarsi in treno) e numerosi cessate il fuoco sono stati concessi per consentire ai civili di lasciare il paese. Non abbiamo mai conosciuto un criminale di guerra così disponibile, costantemente aperto anche a raggiungere un accordo di pace.
Che strana questa guerra, i giornalisti possono documentare sul campo minuto per minuto le sofferenze di questa popolazione, intervistare i “civili-militari” in mezzo alle trincee (purchè parlino male del nemico russo) mentre della sofferenza delle popolazioni irachene, afgane, libiche nelle guerre scatenate dagli occidentali negli scorsi decenni non abbiamo mai saputo nulla, del loro esodo non abbiamo visto nessuna immagine, in quelle popolazioni non c’erano donne e bambini. Abbiamo dovuto attendere che un giornalista (questo si) Julian Assange pubblicasse dei cablo (a costo della propria incolumità) e alzasse il velo dell’ipocrisia sulle democrazie occidentali per scoprire che esisteva (ed esiste) un deep state responsabile delle torture nei confronti dei civili di quelle nazioni. Uno stato profondo che esiste anche in questa vicenda, ovviamente. Come riporta l’Indipendente: “Nel 2019 Zelensky si recò a Zolote per incontrare Denys Yantar, allora capo della sezione Mykolaiv del Corpo Nazionale, il ramo politico del battaglione Azov, in un duro faccia a faccia, con l’intento di fermare le ostilità e far rispettare gli accordi di Minsk… Le reazioni furono feroci il presidente ucraino ha dovuto capitolare di fronte al volere e allo strapotere acquisito dalle formazioni neonaziste, chiaramente rispondenti allo “stato profondo” ucraino, cooptate e infiltrate negli apparati statali e finanziate dagli oligarchi del Paese.
E’ questo il vero pericolo che stiamo correndo, stiamo dando credito, visibilità, soldi ed armi a un burattino manovrato da occulti e loschi poteri che stanno condizionando l’agenda politica internazionale e trasformando contrapposizioni locali in una guerra mondiale.

Massimiliano Capalbo

Che strano popolo che siamo. Per due anni ci siamo rapportati con Sars-Cov2 come se fossimo in guerra e lui il nemico da sconfiggere, abbiamo usato un linguaggio militare, abbiamo perfino messo un generale a gestire le misure per il contenimento e il contrasto dell’emergenza Covid-19, per rendere palese che si trattasse proprio di una guerra, abbiamo inferto molte ferite a tante persone che avranno bisogno di molto tempo per rimarginarsi e messo in ginocchio un’economia, e adesso di fronte ad una vera operazione militare condotta con armi, quella in Ucraina, inorridiamo e sventoliamo ramoscelli d’ulivo.
Abbiamo un governo guidato da un premier che, in quanto a ego, non ha nulla da invidiare a Putin e che nell’ultimo anno ha espresso provvedimenti restrittivi che nulla hanno a che fare con la scienza e la salute, ma semplicemente con l’intenzione di punire una minoranza che non ha ubbidito al diktat della vaccinazione, un premier che è stato capace di spaccare in due il paese, creando una categoria ed etichettandola come no-vax e additandola come responsabile della propagazione del virus, che adesso condanna l’atto di prepotenza del suo omologo russo.
Non ci rendiamo conto che la guerra prima di essere agita viene evocata attraverso il linguaggio. Che le parole che utilizziamo per definire e regolare i rapporti con gli altri e con gli eventi che accadono attorno a noi sono intrise di violenza e ostilità. La comunicazione non ostile non appartiene alla nostra cultura, non si insegna a scuola e non rappresenta lo strumento principale per dirimere le controversie in Occidente.
La nostra società è organizzata in maniera verticistica, militare. In cima alle piramidi che abbiamo costruito ci sono i capi, che esercitano il potere, e via via che scendiamo di gradino i sottoposti, i soldati, che devono eseguire e ubbidire. Mi ha fatto specie ieri sera, seguire lo speciale di una nota redazione giornalistica della Rai sulla guerra in Ucraina, condotta da una giornalista che non perdeva occasione per ossequiare il direttore del Tg che le sedeva accanto, un atteggiamento non molto diverso da quello che gli oligarchi russi hanno assunto fino ad oggi nei confronti del capo del Cremlino. Nello stesso momento, su un altro canale pubblico, una famiglia (marito e moglie) conduceva una delle trasmissioni televisive più seguite, come nei migliori regimi oligarchici. Eppure non ce ne rendiamo conto.
Non abbiamo ancora capito, dopo millenni di guerre, che quando il potere è una risorsa scarsa e quando viene concentrato in poche mani da un lato (da parte di chi lo detiene) genera dispotismo o, nella migliore delle ipotesi, familismo amorale e dall’altro (da parte di chi lo desidera) ambizione, avidità, paura, risentimento. Questo conduce ad una lotta per il suo accaparramento che non può che passare attraverso una guerra.
L’iniqua distribuzione del potere è all’origine di tutte le contrapposizioni a cui assistiamo nel mondo. Superare questo problema è la principale sfida alla quale il mondo è chiamato. Cedere potere equivale, da parte di chi lo detiene, a dare fiducia mentre, da parte di chi lo riceve, ad assumersi responsabilità. E’ un atto di maturità e di evoluzione personale. Fiducia e responsabilità sono le due parole chiave che possono dare una svolta all’umanità ma che sono evitate come la peste da tutti noi. Invocare la pace senza prima agire nella propria personale esistenza dando fiducia agli altri e pretendendo in cambio responsabilità non serve a nulla. Siamo tutti pronti a condannare i comportamenti altrui e ad invocare la pace quando non siamo toccati personalmente ma, come dimostra la cronaca quotidiana, non esitiamo ad imbracciare le armi quando ci sono da difendere le nostre piccole o grandi posizioni di potere.

Massimiliano Capalbo

Un uomo si da fuoco davanti ad una caserma dei Carabinieri, in Calabria, e gli italiani scoprono improvvisamente il pudore e la strumentalizzazione. Come per il 99,9% delle notizie che ci raggiungono quotidianamente anche in questo caso ognuno ha cercato di dare una spiegazione al gesto scegliendo la versione dei fatti più vicina alle proprie convinzioni. Ma quelli che strumentalizzano sono sempre gli altri. Trascorriamo le giornate a vedere e a condividere video che riprendono pestaggi, violenze, atti di bullismo, atti di esibizionismo, che la maggior parte dei media che oggi ostentano pudore diffondono per catturare la nostra attenzione e guadagnare con la pubblicità, e di fronte alle immagini dell’uomo avvolto dalle fiamme siamo improvvisamente diventati discreti e rispettosi.
Come giustamente ha fatto notare Giuliano Buselli in un commento su FB: “quando un uomo decide di darsi la morte in modo così plateale (il termine qui significa pubblico, all’aperto, platea è la piazza) significa che cerca l’attenzione generale, che intende chiamare a sè tutti gli esseri viventi.
Il protagonista del gesto, infatti, ha deciso di catturare la nostra attenzione, quella risorsa sempre più scarsa in un mondo sempre più distratto caratterizzato, ormai, da un rumore di sottofondo che impedisce a chiunque di accorgersi di qualcosa e di prestarvi attenzione. Quel rumore che risucchia le nostre voci, le nostre richieste di aiuto. Se avesse voluto farla finita senza disturbare avrebbe scelto modalità diverse, meno appariscenti e cruenti. E’ per questo che ne scrivo, per assecondare e rispettare la sua scelta. Nel rumore di fondo ci siamo voltati e ci siamo accorti di lui, ha catturato la nostra attenzione e adesso che siamo in ascolto vogliamo sapere il vero perché di questo gesto. Darsi fuoco è un atto di comunicazione, estremo certamente, ma lo è. Comunicare significa entrare in relazione e se lui ha scelto questa modalità limite per farlo, che lo ha condotto al limite dell’esistenza, voltarci dall’altra parte, tacerne, sarebbe più doloroso delle ustioni che adesso segnano il suo corpo.
Nonostante il sottoscritto si sia fermato di fronte al mistero (attendo da giorni di capirne di più) la maggior parte dei commenti sulla vicenda, come sempre, si è concentrata sul dito invece che su quello che il dito indicava. E’ morto, non è morto, era no-vax, non era no-vax, era normale, era depresso, il giornale è serio, il giornale non è serio e così via. Come se queste ragioni giustificassero o mutassero la sofferenza che si cela dietro il gesto, come se servissero a tranquillizzarci e mantenerci con la coscienza a posto. Quell’uomo ha voluto scuoterci e non ci sono appigli ai quali aggrapparci, al di là delle ragioni che lo hanno mosso c’è riuscito.
Quello che è grave è che non emergano chiarimenti, che a distanza di due giorni non ci sia certezza ma solo un rincorrersi continuo di conferme e di smentite, in perfetto stile giornalistico italiano, che hanno come unico risultato quello di creare ulteriore confusione. E quando mancano le notizie certe si lascia spazio alle fake news, alle supposizioni, alle narrazioni fantasiose, alle strumentalizzazioni. Nascondere queste motivazioni, celarle, tacerle va contro la sua volontà, questo gesto interroga e ci costringe a farlo con estrema attenzione “ed è solo dopo essersi interrogati – conclude Buselli – che viene il silenzio“.

Massimiliano Capalbo