Premesso che i vaccini anti-Covid-19 sono chiamati così per suggerire un’analogia che non c’è con i vaccini tradizionali, si tratta di farmaci di nuova concezione che non erano mai stati utilizzati su niente che si avvicinasse a questa scala. Come ha spiegato in un brillante intervento Peter Doshi del BMJ, si è arrivati a far cambiare all’inizio del 2021 (tra il 18 e il 26 gennaio) la voce “vaccine” in uno dei più famosi dizionari della lingua inglese (il Merriam-Webster) per perfezionare questo trucco da imbonitore. Nel contesto Covid-19 bisognerebbe quindi scrivere sempre “vaccini” (e derivati) con le virgolette, se non lo faccio è solo per non appesantire la scrittura.
Ma come si fa per capire se una campagna vaccinale è riuscita o ha fallito? Innanzitutto, prima di promuoverla si sarebbe dovuto definire sotto quali condizioni la si sarebbe giudicata fallita. Non è un paradosso, ma un requisito minimale per poter presentare come scientificamente fondata una tale campagna. Un celebre epistemologo, Karl Popper, sostenne che una teoria è scientifica solo se nella sua formulazione sono indicate condizioni sotto le quali dovrebbe essere considerata in disaccordo con fatti osservabili (o falsificata), e quindi da scartare. Spostare o modificare arbitrariamente il traguardo via via che l’esperienza si incarica di mostrare il mancato raggiungimento di quello prefissato significa agire da pseudoscienziati.
Benché sulle posizioni di Popper si sia sviluppato un ampio dibattito nell’ultimo mezzo secolo, questa sua intuizione circa la natura della scienza empirica – peraltro anticipata in termini sostanzialmente identici da diversi grandi pensatori, compreso Einstein – si può considerare corretta, e tanto più corretta quanto più delimitato è il campo di indagine di cui si occupa la teoria in esame.
Facciamo un esempio. Dire: “il vaccino Pfizer-Biontech (o Astra-Zeneca ecc.) funziona” non configura, come tale, una tesi scientifica, perché non specifica sotto quali condizioni la considereremmo confutata dai fatti. Non si tratta di ambire alla “purezza metodologica”, ma di poter considerare affidabile quella opinione, ovvero:
1) in primo luogo, quale tipo e livello di protezione il vaccino conferirebbe all’individuo vaccinato?
2) quale sarebbe la percentuale di vaccinati e a quali classi (sesso, fasce d’età, professioni ecc.) apparterrebbe – raggiunta la quale si considererebbe “protetta”, e in che senso, la popolazione?
3) entro quanto tempo dal raggiungimento della fissata copertura vaccinale si realizzerebbe la suddetta protezione della popolazione?
Se non si precisano questi parametri non si sta facendo scienza, ma solo gettando fumo negli occhi e alimentando illusioni nella cittadinanza – e basta questo a far sorgere nel cittadino consapevole sospetti del tutto giustificati di finalità non sanitarie.
Per esempio, il 4 ottobre 2020 il prof. Crisanti dichiara: «L’immunità di gregge si raggiunge tra il 63 e 70% della popolazione». Il 25 dicembre 2021, però, lo stesso scienziato polemizza duramente: «Se fossi stato lì presente, gli [a Draghi] avrei chiesto che fine ha fatto l’immunità di gregge, con la quale hanno veramente confuso gli italiani fino a pochi mesi fa».
Con maestri di pensiero di tale limpidezza penso che la confusione degli italiani non sia straordinariamente difficile da spiegare. In ogni caso, il «Piano vaccinale anticovid» della Presidenza del Consiglio dei Ministri, in data 13 marzo 2021, poneva come obiettivo la «vaccinazione di massa (almeno l’80% della popolazione [vaccinabile, cioè dai 16 anni in su] vaccinata) entro il mese di settembre». Ecco come descrive la situazione l’11 dicembre il sito del Sole24Ore sotto il significativo titolo “Quando raggiungeremo il 90% di vaccinati?”: «L’80% della popolazione vaccinabile è stato raggiunto il 9 ottobre 2021, in linea con le previsioni del governo per fine settembre. Per arrivare al 90%, nuovo target per poter alleggerire l’obbligo di green pass, a questo ritmo ci vorrebbero 2 mesi e 9 giorni
Veniamo così a sapere che l’obiettivo logistico prefissato (cioè quante persone vaccinare entro quando) era stato raggiunto. Invece il traguardo sostanziale (o “bersaglio”, target) è stato nel frattempo modificato. Cioè è cambiata l’ipotesi sull’effetto che ci si aspettava dalla campagna vaccinale e sul raggiungimento della immunità di gregge. O, per essere ancora più chiari, si ammette, anche se solo implicitamente, che l’ipotesi originaria è stata falsificata. Dai grafici sottostanti si vede che i casi hanno ricominciato a partire da poco dopo il raggiungimento del traguardo originario. Un grafico ancora più chiaro è quello che confronta il 2021 con il 2020. La linea scura è quella corrispondente al 2021. Come si faccia a considerare un successo una campagna vaccinale il cui effetto sui “contagi” è quello rappresentato dai due grafici qui riprodotti (i numeri si possono trovare muovendo il mouse sui grafici originali che si trovano su questo sito) costituisce un problema più difficile da risolvere di quello circa le origini del SARS-CoV-2.

Prof. Marco Mamone Capria
PhD Università di Perugia

L’articolo è tratto dalle “Considerazioni sul primo anno di una strana campagna vaccinale” pubblicate dal prof. Mamone Capria.

 

La prova che la scienza è ben diversa dalla propaganda che ci sta inondando da quasi due anni, e di cui la maggioranza dei cittadini è vittima, è che il dibattito, anima del progresso scientifico, è stato sistematicamente censurato.
I medici sono stati sottoposti a procedimenti disciplinari e addirittura radiati, se hanno espresso opinioni su come affrontare la “pandemia” in disaccordo con le raccomandazioni del Ministero della salute. Qualcuno dice: è giusto, visto che, disobbedendo, facevano rischiare la vita ai loro pazienti. No, nella fattispecie è proprio il contrario: li guarivano. Le loro opinioni si sono dimostrate di gran lunga più corrette, sul piano dell’efficacia clinica, di quelle ministeriali! In altre parole, è stato punito il medico che guariva i suoi pazienti contro le direttive ministeriali, invece di avviarli, con la benedizione del Ministro e del Presidente del consiglio, ai reparti ospedalieri di urgenza e/o al cimitero. Ippocrate redivivo sarebbe sicuramente rimasto stupito.
Il fatto che la professione medica sia governata da Ordini dei medici che trattano i medici come caporali o soldati semplici dovrebbe far protestare tutti i medici degni di esercitarla – intendo protestare apertamente e visibilmente, non nella forma di sfoghi privati o anonimi. Se lo facessero in numero sufficiente potrebbero rendere inevitabile una radicale riforma di Ordini che stanno da anni screditando, esautorando e snaturando la professione. Che una protesta di vaste dimensioni sia in corso tra i medici di tutto il mondo è attestato da dichiarazioni come questa.
La stessa università pubblica è ammutolita – con relativamente poche eccezioni, che ammontano a qualcosa come il 2% della classe docente e ricercatrice – in un momento in cui sarebbe stato suo dovere mostrare ai cittadini che finanziare la ricerca e l’istruzione superiore non significa alimentare forme di artificioso parassitismo, ma garantire la presenza di una coscienza critica istituzionalizzata, pronta a intervenire con autorevolezza e a viso aperto in ogni caso in cui il potere giustifichi il proprio operato con argomentazioni o pretese scientifiche abusive. Non mi pare che in novant’anni dall’ignominiosa resa incondizionata al giuramento al regime fascista, che fu rifiutato solo dall’1% dei docenti universitari italiani, si possa dire che in questa categoria professionale siano stati fatti passi da gigante nel senso della responsabilità civica. Immaginando – ottimisticamente – che 90 anni sia il tempo di raddoppiamento della percentuale degli universitari sensibili alla questione dei diritti civili, per superare il 50% ci vorrebbero altri 4 secoli. Dalla qualità delle dichiarazioni di un noto filosofo-psicologo-giornalista e professore emerito, e dal puerile compitino firmato nientemeno che da un centinaio di «filosofi e intellettuali italiani», si intuisce che potrebbero anche non bastare.
Il rifiuto del dibattito nella sfera pubblica non è mai stato così evidente come nel proliferare di una specie di “caporali della verità scientifica”, spesso privi di qualsivoglia competenza (come nel caso di tanti “opinionisti” o “sondaggisti” su giornali e telegiornali), ma con licenza di assegnare patenti di incompetenza o «irrazionalità» a chiunque dissenta dalla versione ufficiale.
Eppure è evidente che se si muovono critiche ragionate e di merito ai consulenti governativi – per esempio al Comitato Tecnico-scientifico (CTS) o all’Istituto Superiore di Sanità (ISS) (e lo hanno fatto diversi scienziati, me compreso) – dovrebbero essere loro stessi a replicare in maniera puntuale e documentata, non i suddetti “commissari”.
Naturalmente lo scopo, quando si contrappone – per esempio – un’autorità in materia di comunicazione medica con una delle tante nullità giornalistiche che infestano gli studi televisivi, è già raggiunto prima che aprano bocca: suggerire al telespettatore che il primo (l’autorità vera) non si merita come interlocutore niente di più (che una nullità giornalistica).

Prof. Marco Mamone Capria
PhD Università di Perugia

L’articolo è tratto dalle “Considerazioni sul primo anno di una strana campagna vaccinale” pubblicate dal prof. Mamone Capria pochi giorni fa.

Il fallimento del green pass come strumento di contenimento dell’epidemia da Sars-Cov2 è sotto gli occhi di tutti. Ma gli occhi di tutti non vedono tutti la stessa cosa, ovviamente. Oltre ad essere comparse le prime zone gialle (si prefigurano anche quelle arancioni) si è decisa la revoca della tessera verde per i positivi al Covid. La conferma del fallimento non è data soltanto dall’inasprimento delle restrizioni anche per i vaccinati ma, soprattutto, dalla reazione che i pro-vax (e in questa categoria non includo tutti i vaccinati ma solo quelli che ne hanno fatto un culto e anche un motivo di contrapposizione verso chi non è vaccinato) hanno e avranno nei confronti di queste nuove decisioni governative. Poiché la relazione che il governo ha scelto di stabilire con i cittadini su questo tema non è una relazione tra istituzioni mature e responsabili e cittadini maturi e responsabili ma tra genitore (adulto) e figlio (bambino) e il green pass assomiglia molto alla ricompensa data al bambino che è stato ubbidiente, di fronte alla mancata ricompensa (andare al cinema, a teatro, in palestra, al ristorante etc.) il bambino, non essendo persona matura non reagirà mettendo in discussione il provvedimento dell’autorità ma prendendosela col fratello che non ha ubbidito come lui e che, nonostante questo, viene trattato nello stesso modo. Quindi chi si illude che questo fallimento possa aprire gli occhi di chi finora ha ubbidito all’autorità resterà deluso, al contrario accrescerà ancora di più l’odio e le contrapposizioni tra vaccinati e non vaccinati, facendo propendere il governo verso ulteriori punizioni da infliggere ai non vaccinati con il risultato finale di allevare dei mostri nevrotici e malati pronti ad aggredirsi alla prima occasione.
La relazione istituzioni-cittadini in Italia è una relazione malata fin dall’Unità, l’esempio negativo viene dall’alto come nelle relazioni malate tra genitori e figli che tendono all’in-ducere (costringere all’interno di uno schema) più che all’ex-ducere (educare, ovvero aiutare qualcuno ad esprimere se stesso). Per aiutare qualcuno ad essere se stesso occorre che l’educatore sia esso stesso se stesso, senza recitare una parte, come invece fanno ogni giorno i rappresentanti istituzionali.
Un rapporto basato sul controllo è un rapporto basato sulla diffidenza reciproca. Lo Stato non si fida dei cittadini e i cittadini non si fidano dello Stato. E questa sfiducia è presente in tutti i provvedimenti (dal green pass ai vari bonus per l’edilizia, al rapporto tra fisco e cittadini etc.) I complottisti e tutti i vari no-etichettabili sono il prodotto dell’assenza di trasparenza da parte delle istituzioni, non il frutto dell’irrazionalità dilagante come ci vogliono far credere le indagini di istituti di ricerca finanziati dal governo. Quando la fiducia è diffusa genera responsabilità. In tutte le organizzazioni pubbliche e private la scelta tra porre fiducia o esercitare il controllo si basa su pregiudizi di base che abbiamo nei confronti delle persone e delle loro motivazioni. In Italia, ad esempio, i governi ritengono che i cittadini siano furbi e infantili e i cittadini che i governi siano corrotti e bugiardi; i lavoratori ritengono che gli imprenditori siano degli sfruttatori e gli imprenditori pensano che i dipendenti siano degli scansafatiche e dei parassiti e potremmo continuare a lungo per ogni categoria professionale e sociale. Douglas McGregor, ingegnere e psicologo industriale americano, negli anni ‘60 quando era professore al MIT coniò una doppia teoria che chiamò la teoria X e la teoria Y. Intuì che se si guardano le persone con sospetto (Teoria X) e le si sottopone a ogni genere di controllo, regole e punizioni, cercheranno di ingannare il sistema e questo pregiudizio (negativo) sarà convalidato. Se si trattano, invece, con pratiche basate sulla fiducia, delegando (Teoria Y), questo farà si che ricambino la fiducia con un comportamento responsabile. Anche in questo caso il nostro pregiudizio (questa volta positivo) troverà conferma. Una comunità non può esistere senza fiducia, il controllo genera sfiducia, responsabile dell’unica vera pandemia che affligge le nostre comunità da tempo. Questa si che richiederebbe una vaccinazione di massa obbligatoria.

Massimiliano Capalbo