La pressione fiscale, in Italia, ha raggiunto il 51,8% nel IV trimestre 2021. Praticamente la metà della fatica degli imprenditori veri (quelli che sfruttano gli altri non li considero) va ad un socio occulto che si chiama Stato. Nel Medioevo i feudatari pretendevano di meno e garantivano in cambio maggiori servizi e protezione. Il Presidente di Confindustria Bonomi, parla di un 17% di imprese che hanno già chiuso è di un 30% a rischio chiusura entro l’autunno. Il totale fa 47%. Praticamente la metà del tessuto imprenditoriale italiano sta scomparendo nel silenzio assoluto innanzitutto degli imprenditori stessi. Stiamo assistendo al Blu Whale delle imprese italiane. Il Blu Whale è un fenomeno sotterraneo che è stato portato sotto i riflettori dalla trasmissione “Le Iene” alcuni anni fa nato, ironia della sorte, in Russia. Un gioco perverso ed estremo, diffusosi sui social, che ha portato al suicidio centinaia di giovani adolescenti depressi.
Qualcosa di simile sta avvenendo nel mondo imprenditoriale italiano incapace, in ognuna delle associazioni di categoria che lo compongono, di avere una leadership forte, con una strategia e una visione politica del paese, capace di influenzare e condizionare le scelte dei governi in maniera virtuosa. Un mondo che ha accettato supinamente, nei decenni passati politiche del lavoro e fiscali inique e, negli ultimi due anni, stupide, illogiche e perverse restrizioni che nulla avevano a che vedere con esigenze di carattere sanitario. Restrizioni che hanno dato il colpo di grazia alle piccole attività che già uscivano azzoppate dal periodo di crisi cominciato nel 2009 e che, con l’adozione di criteri antiscientifici e antieconomici, si sono viste levare anche quel poco di risorse sui cui poggiavano le loro esili speranze di ripresa. Anche qui, come con i cittadini, la relazione tra Stato e imprese è sempre stata simile a quella tra adulti e bambini.
E’ opinione diffusa che i cosiddetti “poteri economici forti” abbiano da sempre condizionato le scelte politiche dei governi e questo ovviamente varrebbe anche (o soprattutto) per l’Italia. Ma il condizionamento politico al quale mi riferisco (e che non si è mai visto in Italia) riguarda le scelte in materia di risorse energetiche, agricole, turistiche, naturalistiche, ovvero su asset che per l’Italia avrebbero potuto rappresentare un vantaggio competitivo notevole rispetto agli altri paesi, su temi che riguardano gli interessi collettivi di una nazione e non l’interesse di pochi. La classe imprenditoriale italiana è sempre stata miope, priva di visione politica e fortemente campanilista. Non ha mai saputo e voluto rappresentare un contropotere rispetto a quello partitico. La commistione tra affari e politica ha imprigionato i rispettivi leader all’interno di accordi privati, ad essere sacrificati sono stati gli interessi nazionali a vantaggio di quelli personali. E questo è il risultato. Un suicidio di massa.
Se siamo un paese prossimo al fallimento la gran parte della responsabilità, non finirò mai di ripeterlo, è in capo alla classe imprenditoriale italiana che si è rifiutata di ricoprire il ruolo che le spetta di diritto in quanto parte produttiva del paese, al contrario di quella partitica che ha sempre rappresentato invece quella parassitaria.
Il silenzio delle imprese italiane in questi due anni si affianca ad uno dei prossimi miraggi inventati dalla partitica per tenerle al guinzaglio: il PNRR. Sono tutti convinti che stanno per sedersi ad un lauto banchetto. Ma siccome le logiche sono quelle prima descritte le grosse fette andranno ai nuovi feudatari, mentre le briciole che lasceranno cadere dal tavolo finiranno nelle tasche delle piccole e medie imprese… che sopravviveranno al prossimo autunno.
Massimiliano Capalbo