Sono le 12.30 e sono in fila presso uno sportello CUP per effettuare una prenotazione per una visita specialistica per mia madre. Prima di me solo un paio di persone. Quando è il mio turno entro e, ancora prima di sedermi nell’ufficio, la persona che sta dietro lo sportello, un signore dallo sguardo e dalle movenze flemmatiche, mi chiede quante persone ci sono ancora dopo di me. Rispondo nessuna ed esclama: “ah, che giornata oggi!” come per rendermi partecipe delle “fatiche” del suo lavoro.
Consegno l’impegnativa, la guarda e prima ancora di controllare sul computer mi fa: “ah per queste parliamo almeno di novembre, dicembre!” Faccio notare che mia madre ha una certa età e che necessita della visita in tempi ragionevoli. “Cercherò di espandere la ricerca nel raggio della regione” mi fa. Rispondo che non ho alcuna intenzione di sottoporre mia madre a lunghi viaggi ed aggiungo: “lei verifichi che disponibilità c’è in zona, poi se non dovesse esserci, siccome per legge siete tenuti ad erogare il servizio entro 30 giorni per le visite specialistiche, vorrà dire che mia madre andrà a visita da un privato e poi si farà rimborsare le spese dal servizio sanitario.” Al che il funzionario mi risponde: “ah guardi, questo non lo so, però l’ho sentita dire questa cosa, ma non sono sicuro..” Replico: “non si preoccupi, sono sicuro io“. Dopo una breve ricerca sul computer compare una disponibilità, a pochi metri da casa, esattamente a distanza di 30 giorni. Miracolo? Magia? Lascio a voi ogni considerazione. Io la mia ce l’ho da tempo e questo episodio non ha fatto altro che confermarmela.

Massimiliano Capalbo

Quest’anno non farò e non ricambierò gli auguri di Natale in automatico. Men che meno quelli che arriveranno attraverso un qualsiasi medium, social o messaggistica istantanea. Chi lo farà riceverà in risposta questo articolo. Ho deciso di effettuare una specie di sciopero degli auguri, saranno ridotti come le corse dei treni. No, tranquilli, non ho litigato con nessuno, anzi. Forse non sono mai stato in pace con me stesso e con gli altri come in questi ultimi anni. Ma ho deciso di astenermi perché penso sia l’unico modo che ho per costringere gli altri a fermarsi a riflettere anche solo per qualche secondo su questa usanza che è diventata ormai solo un automatismo come tanti. Somiglia molto al “come stai?” che rivolgiamo ai conoscenti quando li incrociamo mentre corriamo al ritmo frenetico della quotidianità. In realtà non ce ne frega niente di come stanno gli altri, è solo un modo di dire. La nostra vita è ormai un riflesso condizionato, ci stiamo abituando a tutto: guerre, violenze, corruzione, menzogne, inquinamento, emergenze, epidemie, tecnosorveglianza, naufragi. Nulla ci colpisce a tal punto da costringerci a fermarci per riflettere o a riconsiderare il nostro percorso, a meno che non si tratti di una disgrazia che tocca direttamente noi o la nostra famiglia. Solo se l’impatto è forte, devastante, allora rimaniamo storditi e siamo costretti a domandarci “perchè proprio a me?” Osservando questo piccolo atto di consapevolezza, chi mi invierà gli auguri non potrà restare indifferente. E quando li farà agli altri sono convinto che ci rifletterà un pò più del solito. Non potrà non farlo, i miei non-auguri sono come l’elefante bianco. Una volta nominato non puoi non pensarci anche se ti dico di non farlo.
Abbiamo perso il rapporto col divino, con ciò che è più grande di noi e governa l’universo, ognuno lo chiami come vuole, poco importa. Per gli antichi il rapporto con la divinità era fondamentale. Prima di affrontare una qualsiasi attività consultavano gli dèi per essere certi di agire con il loro consenso. Il metodo divinatorio più antico era l’osservazione del volo degli uccelli praticato dagli àuguri. I segni che essi interpretavano si chiamavano auspicia. Da qui i nostri auguri e i nostri auspici che però hanno perso senso e significato. Agiamo senza sapere perché, molto più spesso re-agiamo agli stimoli che ci circondano. Quest’anno non cederò alla tentazione dell’automatismo. I miei auguri saranno pochi, selezionati, ma soprattutto fatti di persona guardando negli occhi l’Altro per riconoscere un segno. Provateci anche voi, potrebbe essere l’inizio di un cambiamento e, questo si, un buon auspicio per tutti.

Massimiliano Capalbo

L’idea del brodo primordiale è legato all’ipotesi dell’origine della vita sulla Terra. Si suppone che circa 3,5 miliardi di anni fa, in un ambiente ricco di sostanze basiche, si siano verificate reazioni chimiche che hanno portato alla formazione di molecole organiche complesse. Questo ambiente ricorda un brodo di sostanze chimiche primitive. L’ipotesi scientifica suggerisce che molecole organiche come aminoacidi e nucleotidi, molecole fondamentali della vita, abbiano cominciato a formarsi in questa brodaglia primordiale. Gradualmente, queste molecole avrebbero formato strutture più complesse, come proteine e acidi nucleici, dando origine ai primi organismi viventi.
Nel 1953 il chimico Stanley Miller condusse un esperimento provando a riprodurre in laboratorio le condizioni presunte della Terra primordiale, riuscendo a generare aminoacidi, i mattoni fondamentali delle proteine, attraverso scariche elettriche, simulando l’energia dei tuoni, in una miscela di gas. Questo esperimento fornì un sostegno iniziale all’ipotesi del brodo primordiale, dimostrando che, in determinate condizioni, composti organici potevano formarsi da semplici ingredienti.
Forse per questa ragione, ancora oggi, simulando le condizioni iniziali che ci hanno fatto crescere ed evolverci noi umani quotidianamente quando ci alimentiamo mescoliamo gli ingredienti, quindi amminoacidi carboidrati, lipidi e altro, come in una zuppa primordiale. In fondo non siamo altro che acquisizioni di modelli, e prove e riprove esperienziali su stanchezza e polvere di secoli. Anche se lo facciamo inconsciamente ci siamo sempre modellati su archetipi, dal greco Arkhétypon, ovvero plasmiamo la forma dal modello iniziale.
Dopo la scoperta del fuoco, nella preistoria, e la necessità di cucinare i cibi per renderli più commestibili e digeribili, le donne e gli uomini iniziarono a preparare le prime zuppe. Molto probabilmente cucinavano ingredienti come carne, verdure, radici e cereali facendoli bollire in acqua. In molte culture antiche, le zuppe erano una parte importante della dieta quotidiana. Ad esempio, gli antichi Romani preparavano zuppe con orzo, legumi e vegetali, spesso vegetariane, per i legionari.
Nel corso del tempo, le ricette per le zuppe si sono evolute e adattate alle risorse locali e alle tradizioni culinarie. In diverse parti del mondo, le zuppe hanno assunto varie forme e sapori unici. Quindi, l’invenzione della zuppa è un vero e proprio processo graduale che coinvolge diverse culture e periodi storici.
In Asia e in Cina in particolare, la tradizione della zuppa si perde nella notte dei tempi. Si ritiene che la zuppa sia stata parte integrante della dieta cinese utilizzando ingredienti come carne, pesce, verdure, funghi, spezie e erbe aromatiche. In questo vasto paese la cultura della zuppa è ricca e diversificata, riflettendo la storia culinaria delle varie regioni attraverso i secoli. Fino alla sciagurata zuppa di pipistrello, rinomata nella provincia di Wuhan, che ha in parte e improvvisamente cambiato la storia recente.
Un aneddoto, di cui sono venuto a conoscenza pochi giorni fa, sulla zuppa in Cina è legato al Tangyuan una sorta di pallina di riso glutinoso spesso servita in zuppe dolci durante il Festival delle Lanterne, che conclude le celebrazioni del Capodanno cinese. La parola Tangyuan suona simile a tuanyuan che significa riunirsi in lingua cinese. La tradizione vuole che condividere Tangyuan con la famiglia e gli amici durante il Festival delle Lanterne porti fortuna e unità familiare. Quindi, oltre a essere un piatto delizioso, ha anche una connessione culturale, sociale e simbolica significativa.
[…mentre scrivo queste parole sono seduto in un ristorante a Taipei, Taiwan e ho appena ordinato una zuppa. La zuppa è da sempre uno dei miei piatti preferiti ovunque mi trovo. Un brodo caldo, dopo un lungo viaggio o una stancante camminata, riesce a rimettermi di nuovo in carreggiata. La mia favorita è la zuppa con i ravioli, dumplings soup in inglese o húntun tāng in cinese. Ma questa è un’altra storia che racconterò la prossima volta.]

Dario Scavelli