In passato le persone assumevano un ruolo nella società e a quel ruolo doveva necessariamente corrispondere un comportamento, era difficile trasgredire. Indossare una divisa, una tonaca, una tuta, consentiva di identificare e collocare la persona all’interno della società. Le comunità erano più piccole, gli spostamenti non erano frequenti, ci si conosceva tutti, soprattutto nei piccoli centri, era difficile agire in maniera difforme rispetto alle aspettative della maggioranza dei concittadini. Chi lo faceva era facilmente identificabile ed etichettabile.
Il maresciallo dei Carabinieri, il parroco, il sindaco, l’imprenditore, il preside, il politico, rappresentavano le autorità. Persone stimate, al di sopra di ogni sospetto. C’era una riverenza, un rispetto, a volte anche un timore reverenziale, dettato dal ruolo e dalla possibilità che quel ruolo dava di detenere la conoscenza, di avere accesso all’esperienza. A loro spettava il compito morale di dare il pubblico esempio e quando non vi riuscivano venivano messi alla gogna e ritenuti indegni.
L’attuale società definita postmoderna, invece, è caratterizzata dalla frammentazione delle identità degli individui, dovuta alla molteplicità di esperienze che si vivono, alla molteplicità degli spazi che si abitano e dei ruoli che si è chiamati ad interpretare quotidianamente ma anche alla molteplicità di informazioni a cui si può accedere, rispetto al passato, con estrema facilità.
Secondo Bernard Cova, autore del libro “Marketing Tribale”, l’individuo postmoderno è un nomade del presente, privo di agganci sociali, da ciò deriva il fatto che le comunità postmoderne risultano più instabili di quelle tradizionali. Oggi, infatti, gli individui si aggregano sempre di più in quelle che vengono definite neotribù, cioè in comunità emozionali che sono tenute insieme non da un contratto sociale ma da passioni ed emozioni condivise. L’individuo sceglie di far parte di esse per provare sensazioni insieme con altri, cioè per “essere” e non per “fare”. Questi spazi non sono utilitaristici e non sono regolati da regole rigide, non si possono considerare tali. L’appartenenza ad una tribù è un processo trasversale, tant’è che ciascun soggetto può appartenere a più tribù e ricoprire ruoli diversi in ciascuna di esse. Oggi, infatti, una persona può essere contemporaneamente scrittore, ricercatore, ciclista, musicista, rocciatore, cuoco. I membri di queste comunità acquistano prestazioni, atmosfera, emozioni, ma soprattutto esperienze.
Questo cambio di paradigma sta alla base del nostro attuale disorientamento ma anche della non corrispondenza tra ruoli e comportamenti. Abbiamo più possibilità di essere ma paradossalmente questa maggiore libertà ci confonde, ci disorienta, ci destabilizza e rischia di non farci recitare l’unico vero ruolo che ci spetta: quello di esseri umani.

Massimiliano Capalbo

Avevo circa una ventina d’anni quando acquisii la consapevolezza che continuare ad interessarmi al calcio, ed in particolare continuare a tifare per la mia squadra del cuore, la Juventus, sarebbe stata solamente una perdita di tempo. Una consapevolezza maturata non in seguito ad un periodo di crisi della mia squadra, stiamo parlando degli anni tra il ’95 ed il ’98, in cui il Milan e la Juventus si contendevano la maggior parte dei trofei, ma di un sentimento di pura disaffezione. Continua a leggere

La settimana scorsa due trasmissioni televisive “Annozero” ed “Exit” ci hanno restituito uno spaccato dell’Italia nell’anno 2010. Anno Zero ha acceso i riflettori sul Nord, Exit sul Sud. Uno spaccato, appunto, non la realtà nella sua interezza ma qualcosa che le assomiglia molto e che mi ha spinto alle riflessioni che di seguito riporto. Continua a leggere