Il premier non eletto da nessuno, Mario Draghi, si è recato in visita presso i laboratori del Gran Sasso e, a margine della visita, ha ricordato come la pandemia abbia «riproposto la centralità della scienza per le nostre vite e per la nostra società. È il silenzioso lavoro dello scienziato a fare la differenza tra la morte e la vita, tra la disperazione e la speranza. Vale per lo sviluppo di vaccini e di medicinali, come per la lotta al cambiamento climatico. Senza ricerca non può esserci innovazione, e senza innovazione non può esserci progresso». La tesi che la scienza coincida con il progresso è ormai obsoleta come gli uomini che continuano a professarla e che coincidono, da sempre, con gli abitanti di un continente: l’Europa.
La scienza moderna fiorì, infatti, proprio grazie agli imperi europei. Entrambi (scienza e imperi) erano spinti dal desiderio di scoprire cosa ci fosse al di là dell’orizzonte per appropriarsene. Fino al 1768, anno della spedizione di James Cook in Australia e Nuova Zelanda, l’Inghilterra e l’Europa Occidentale erano state “le periferie sottosviluppate del mondo mediterraneo” come ci racconta Yuval Harari. “Il Nord Europa era così desolato e barbaro che non valeva neanche la pena di conquistarlo.Gli europei riuscirono a colonizzare l’America e altre terre semplicemente perché le potenze asiatiche, all’epoca tecnologicamente più avanzate, non mostrarono alcun interesse verso le conquiste. L’ammiraglio Zheng He, il più famoso navigatore della storia cinese, in sei epici viaggi effettuati tra il 1405 e il 1424, percorse distanze immense con una flotta composta da navi cinque volte più grandi di quelle utilizzate da Colombo per scoprire l’America che impressionavano chiunque. L’imperatore cinese Yongle, ci racconta Nial Ferguson, affidò a Zheng He la missione di esplorare gli oceani del pianeta ma non era interessato al commercio e nemmeno alla conquista di nuove terre. Ovunque andasse la flotta doveva “consegnare loro doni per trasformarli attraverso l’esibizione della nostra potenza.Un riconoscimento non estorto con la forza ma basato sulla constatazione oggettiva della supremazia. Che è un pò quello che la Cina continua a fare ancora oggi.
L’atteggiamento volto ad estorcere il rispetto e ad imporre il dominio con la forza, invece, è quello che ha sempre caratterizzato le conquiste e le scoperte europee e che caratterizza ancora oggi i suoi provvedimenti governativi. “Per gli europei moderni la costruzione di un impero era un progetto scientifico, così come l’istituzione di una disciplina scientifica era un progetto imperiale” scrive Harari. La scienza ha sempre fornito agli imperi una giustificazione ideologica. Così come oggi Mario Draghi e la maggioranza di chi legge questo articolo è convinto che acquisire nuove conoscenze sia sempre e comunque un bene, anche in passato il fregiarsi di nuove scoperte portò gli imperi a diffondere un’immagine progressista e benefica sui propri sudditi. Ma le scoperte, così come il progresso, assomigliano molto a delle medaglie con due facce, una positiva e l’altra negativa. Ogni nuova scoperta, infatti, porta con sé delle implicazioni positive racchiuse nella semplificazione, nella velocizzazione, nella confortevolezza apportate dalle nuove tecnologie adottate e, contemporaneamente, delle implicazioni negative racchiuse nell’attitudine umana di non fermarsi di fronte a qualsiasi possibilità. Se una cosa è possibile prima o poi verrà sperimentata, a prescindere dalle implicazioni di carattere etico, sociale, economico, politico, sanitario, ambientale che comporta. Gli esempi sono numerosi: dalla bomba atomica ai virus creati in laboratorio, dai cyborg alle armi biologiche. Ogni nuova scoperta viene pubblicamente presentata raccontandone solo il lato virtuoso, spesso una cura per una malattia rara o pericolosa, nascondendo nel segreto dei laboratori (col finanziamento degli apparati militari e politici e con la stessa tecnologia) sperimentazioni volte a produrre altre diavolerie utili alla manipolazione o alla distruzione della vita.
Nel corso della storia la scienza è stata usata per commettere i peggiori crimini contro l’umanità. Dalle leggi razziali al green pass il metodo è sempre lo stesso: creare discriminazione utilizzando pezzi di teorie biologiche, sociologiche, mediche o antropologiche manipolate a piacimento per giustificare i provvedimenti. E’ successo con Charles Darwin, con William Jones, con Max Weber e con tantissimi altri studiosi o ricercatori. “Gli scienziati hanno fornito al progetto imperiale conoscenze pratiche, giustificazione ideologica e strumenti tecnologici. Senza questo contributo gli europei non sabbero riusciti a conquistare il mondo“. In cambio gli imperi fornirono (come continuano a fornire ancora oggi) finanziamenti e protezione agli scienziati.
Chiunque crede nel progresso crede anche che le scoperte possano incrementare la ricchezza” e, infatti, con l’avvento del capitalismo le sovvenzioni agli scienziati sono cominciate ad arrivare dai privati e non più solo dai governi. Il credito finanzia nuove scoperte che portano nuovi profitti che generano fiducia che a sua volta genera ulteriore credito. Un circolo vizioso nel quale si trova ancora oggi la scienza che non ricerca ciò che è giusto ma ciò che è profittevole per chi finanzia. La sete di dominio e di conoscenza uniti alla ricerca del profitto sono tra i traguardi più pericolosi che il progresso ha raggiunto. La storia ci insegna che senza ricerca non può esserci dominio.

Massimiliano Capalbo

Lo scorso 8 febbraio la Camera ha definitivamente approvato il disegno di legge di riforma degli articoli 9 e 41 della Costituzione in materia ambientale. La legge costituzionale attende solo la promulgazione da parte del Capo dello Stato. Non sarà necessario, infatti, in questo caso, il referendum confermativo, perché la legge è stata approvata, così come prescrive l’art. 138 ultimo comma della Costituzione, con doppia deliberazione e con la maggioranza dei due terzi dei componenti delle camere.
Segnalo, subito, l’assoluta assenza di dibattito pubblico e di informazione durante il concepimento e la discussione della riforma, nonostante si tratti, in assoluto, della prima revisione di uno dei “Principi fondamentali” della carta (l’art. 9 appunto) nella storia della Repubblica. Dibattito e informazione che vi sono sempre stati, invece, in casi di precedenti revisioni costituzionali (come la riforma, poi abortita, delle norme sul bicameralismo perfetto di renziana memoria), oppure in occasione della discussione di normali disegni di legge (come il DDL Zan, anch’esso prematuramente scomparso). La mancata informazione può essere dovuta a due fattori: o la distrazione dei media nazionali (ma tenderei ad escluderlo) o la volontà politica di calmierare l’influenza dell’opinione pubblica sul Parlamento: in altri termini, per evitare polemiche che avrebbero potuto condurre al nulla di fatto, come accadde nei due esempi sopra richiamati.
L’altra cosa singolare è che, per la prima volta, una legge così importante viene approvata con una incredibile tempestività e praticamente all’unanimità. Per altro su un tema che è sempre stato altamente divisivo: l’ambiente. Non ricordo un solo caso in cui un disegno di legge con risvolti ambientali non abbia avuto la netta opposizione di qualche partito politico o di qualche lobby. Inoltre, tutto è stato fatto appena prima che inizi la grande operazione di spesa del PNRR, destinata in gran parte alla costruzione di impianti di produzione energetica e di infrastrutture. E poiché il denaro dell’Europa dovrà essere speso rapidamente, sarebbe davvero strano che il Parlamento abbia inteso, proprio ora, complicare la vita al governo e ai privati, introducendo una tutela ambientale più stringente.
Le reazioni sono caute da parte dei giuristi, che conoscono bene l’argomento, ed entusiastiche, invece, da parte di alcune associazioni ambientaliste che vorrebbero intestarsi la riforma.
Ma vediamo di che si tratta. L’art. 9 della Costituzione venne posto dai costituenti a promozione della cultura e della ricerca scientifica (primo comma) ed a tutela del paesaggio e del patrimonio storico e artistico della Nazione (secondo comma). Furono Concetto Marchesi ed Aldo Moro – il primo, letterato comunista, il secondo, giurista di ispirazione cattolica – a difendere strenuamente, in sede costituente, l’originaria formulazione di questa importante norma. Racconta la lunga e complessa vicenda dei prodromi della formulazione dell’art. 9 e della sua travagliata approvazione Salvatore Settis in un suo libro fondamentale: “Paesaggio, Costituzione, Cemento”, Einaudi 2010. Proprio grazie all’art. 9 si è potuta costruire, in tutti questi anni, la tutela giuridica congiunta dei beni culturali ed ambientali, sulla base di ripetuti interventi interpretativi da parte della Corte Costituzionale e dell’emanazione del Codice dei Beni Culturali e del Paesaggio (Decreto Legislativo n. 42 del 2004).
Per fortuna, i due commi di cui era composta la norma non sono stati in alcun modo toccati dalla riforma. È stato aggiunto, invece, un terzo comma che così recita: “[La Repubblica] tutela l’ambiente, la biodiversità e gli ecosistemi, anche nell’interesse delle future generazioni. La legge dello Stato disciplina i modi e le forme di tutela degli animali”. In sostanza, accogliendo proprio le interpretazioni venute dalla Corte Costituzionale e uniformandosi alla legislazione comunitaria, il legislatore ha “chiarito” che oggetto di tutela non è solo il paesaggio ma anche l’ambiente (aria, terra, acqua etc.), la biodiversità (tutte le forme di vita) e gli ecosistemi (ambiti di territorio in relazioni dinamiche fra le varie forme di vita che li popolano e fra esse e l’ambiente).
Nel caso dell’art. 9 l’intervento del legislatore, benché rappresenti quasi un atto dovuto, si può guardare senza sospetto all’integrazione di cui alla riforma. L’ambiente (che già la Corte Costituzionale aveva ricompreso nel termine “paesaggio”), la biodiversità e gli ecosistemi divengono soggetti di tutela costituzionale e non semplici “oggetti”. Ma, ripeto, molto si era già fatto, anche, ad esempio, nel 2015, con la riforma dei reati ambientali.
L’articolo 41 si trova, invece, nel titolo III della Carta intitolato “Rapporti economici” ed è noto per il testo del primo comma, di stampo tipicamente liberale: “L’iniziativa economica privata è libera”. I successivi due commi furono posti a mitigazione del principio generale: nel secondo, la riforma ha introdotto “la salute e l’ambiente” fra i limiti che già la Carta aveva imposto a tale liberà, la quale “non può svolgersi in contrasto con o in modo da recar danno a …”, e “i fini ambientali” – oltre che quelli sociali (che preesistevano nel testo) – verso i quali l’attività economica deve essere indirizzata e coordinata. Benché le aggiunte apportate al testo originario appaiano come conseguenziali al nuovo valore costituzionale riconosciuto all’ambiente con il già citato art. 9, è proprio sulla riforma dell’art. 41 che, a mio parere, occorre porsi qualche domanda. Ad esempio: non sarà che con le parole “ambiente” e “salute” si sia voluto far dire alla nostra Carta che, ad esempio, l’energia nucleare – recentemente definita dalla UE fonte energetica necessaria per ridurre le emissioni in atmosfera – non finisca con l‘esser fatta passare – nel caso di costruzioni di nuove centrali – addirittura come uno strumento per tutelare la “salute” e l’ “ambiente” e così ottenere corsie preferenziali per l’autorizzazione alla realizzazione di nuovi impianti? E così per i parchi eolici (o le centrali idroelettriche, o quelle a biogas o quelle a biomasse etc.), che, proprio perché producono energia da fonti rinnovabili, possono essere più facilmente presentati come tutele per l’ “ambiente” e la “salute” e così essere agevolati nella loro marcia trionfale verso l’assalto ad ogni crinale delle montagne italiane rimasto ancora integro.
Per questi motivi non me la sento di unirmi al coro degli ottimisti che inneggiano alla grande vittoria ambientalista. Proprio da ambientalista (non integralista, ma nemmeno ingenuo) e da operatore del diritto mi preoccupo dinanzi a questa improvvisa folgorazione sulla via di Damasco dei nostri politici. Ben sapendo che gli attuali rappresentanti del popolo non sono proprio tutti dei San Paolo. E perché mi pare di vederli, multinazionali e speculatori vari, che già si fregano le mani in attesa della pioggia di miliardi (quasi tutta a loro vantaggio) del famoso – e fumoso – PNRR.

Francesco Bevilacqua

Mi sono recato dal dentista il mese scorso. Avvertivo una sensibilità al caldo e al freddo ad un dente. Dopo la visita e una panoramica della mia dentatura, non viene riscontrata alcuna carie o altro problema ma solamente un uso scorretto dello spazzolino che, scoprendolo, ha reso lo spazio compreso tra la gengiva e il dente in questione sensibile alle variazioni di temperatura. Il dentista mi consiglia l’utilizzo di un dentrificio di una certa marca (di cui mi regala un campione) per ridurre la sensibilità e mi prenota la visita con l’igienista per apprendere il corretto uso dello spazzolino ed effettuare una pulizia (che solitamente effettuo una volta l’anno) dei denti. E’ bastato utilizzare il nuovo dentifricio per una settimana per far rientrare il problema.
Successivamente, mi sono recato alla visita con l’igienista che mi ha dato i suoi consigli per migliorare la tecnica di spazzolamento, prescrivendomi alcuni prodotti per la cura e l’igiene dentale. Oltre al dentifricio suggeritomi dal suo collega nella precedente visita (costo tra i 6 e i 7 euro), mi ha consigliato di utilizzare: un dentifricio avanzato che aiuta a rigenerare lo smalto dentale che agisce sugli stadi precoci e invisibili dell’erosione (costo tra gli 8 e i 9 euro); un colluttorio all’acido ialuronico che risana le gengive e lenisce i tessuti infiammati (costo tra gli 8 e gli 11 euro); degli scovolini monouso per rimuovere efficacemente placca e residui di cibo in tutte le aree della bocca grazie al design curvo ed ergonomico del manico e all’impugnatura più larga (costo tra i 3 e i 4,5 euro); una soluzione spray per igienizzare spazzolino, scovolino e altre attrezzature atte all’igiene orale (costo circa 15 euro) e, infine, un nuovo spazzolino che consente di migliorare la tecnica di spazzolamento creando un angolo di 45° per una pulizia ottimale sotto il margine gengivale (costo tra i 2,5 e i 4 euro) anticipandomi che in futuro potremo passare a quello elettrico. Ho subito pensato alla Hunziker che mi sprona con un: “go electric!” alla modica cifra che oscilla tra i 120 e i 200 euro, a seconda del modello.
Ora appare chiaro a tutti che, nonostante l’assenza di tutti questi prodotti, i miei denti non hanno subito gravi danni fino ad oggi e, se dovessi comportarmi come i parabolani della scienza che negli ultimi due anni sono spuntati come funghi nel nostro paese e che ci danno lezioni su come occorra fidarsi ciecamente della scienza e dei suoi rappresentanti, io dovrei seguire senza se e senza ma i consigli dell’igienista. Non sono un dentista, non ho un pezzo di carta che attesta che posso esprimere un parere su cosa sia meglio per la mia igiene dentale, dovrei dunque spendere subito tra i 42,50 e i 50,5 euro e poi aggiungerne almeno un altro centinaio per fare un fantastico salto tecnologico. Non dovrei ragionare e selezionare, tra i consigli ricevuti, quelli più adatti alle mie esigenze di carattere sanitario, economico o di altro genere, di fronte all’autorità dello “scienziato” dovrei comportarmi come un automa.
Per fortuna possiedo ancora la capacità di scelta, una qualità che non si impara a scuola e che non è certificabile attraverso un pezzo di carta, e vorrei poterla esercitare, soprattutto quando si tratta della mia salute. Sono consapevole del fatto che ormai i medici (come la maggior parte delle figure professionali), a qualsiasi specializzazione appartengano, hanno dietro delle industrie produttrici (non ci vedo nulla di scandaloso se tutto ciò viene dichiarato) delle quali “consigliano” i prodotti e per i quali ricevono in cambio gratificazioni di vario genere (viaggi, premi, macchinari, strumenti etc.). So che la medicina (al pari di altri ambiti) è pervasa dalla logica del profitto e posso distinguere tra quello che è il mio interesse e quello che è l’interesse di chi, attorno al mio problema, propone delle soluzioni. L’importante, dunque, è avere la capacità e la libertà di scelta. E’ solo per questo, lo so, che meriterei d’ufficio l’etichetta di irrazionale, complottista e nemico della scienza.

Massimiliano Capalbo