Il tema dell’overturismo (ovvero dell’eccesso di turismo che ha creato e crea problemi in molte delle maggiori destinazioni di viaggio del mondo) tiene banco da alcuni anni nel settore. Il termine, coniato nel 2016 dalla piattaforma di travel media Skift, ben prima dell’arrivo della pandemia, ha costretto le maggiori destinazioni e i maggiori tour operator, alla luce dei problemi ambientali e sociali che genera, ad interrogarsi su una modalità di gestione differente dei flussi turistici.
La lunga pausa a cui la pandemia ha costretto la maggior parte di loro ha dato a tutti, viaggiatori e operatori turistici, una rara e cruciale opportunità per ripensare il modo di viaggiare. L’attenzione principale è stata rivolta alla destinazioni più gettonate, che nel periodo pre-pandemia, hanno subito le conseguenze negative dell’overturismo: affollamento, traffico, rumore, inquinamento, sconvolgimento della vita dei residenti e cosi via, per ricondurle in un alveo di sostenibilità.
L’obiettivo principale nel post pandemia è quello di ri-orientare i piani turistici puntando sulla qualità e non sulla quantità, utilizzando nuove strategie per attirare viaggiatori “di alta qualità” che decidono di trascorrere più tempo e che desiderano una connessione più profonda con i territori che li ospitano, con i residenti e con l’economia locale.
La prima variabile su cui si sta tentando di far leva è il marketing esterno. L’obiettivo delle destinazioni più gettonate (è il caso di Amsterdam ad esempio) è quello di smettere di promuoversi (perché ormai presenti in maniera chiara nell’immaginario del turista) concentrandosi sulla gestione della destinazione, in particolare rifocalizzandosi sul benessere dei residenti.
Un’altra strategia è quella di dirottare i turisti dai centri più visitati a quelli periferici. E’ il caso della Giordania, che vede la maggior parte dei suoi visitatori concentrarsi su Petra, che ha creato una mappa di viaggio che individua 12 esperienze alternative da fare in località distanti dai luoghi più gettonati.
Un’altra delle variabili su cui queste strategie stanno tentando di far leva è quella del tempo. La tendenza è quella di privilegiare e incentivare i lunghi soggiorni a discapito di quelli brevi, mordi e fuggi. Mentre Lisbona sta incentivando i proprietari che accettano affitti a lungo termine, Barcellona vuole rendere addirittura illegali gli affitti inferiori al mese. Si prospettano, dunque, tempi duri per Airbnb e affini.
Sul tema ambientale sono sempre più le città che vietano l’ingresso delle navi da crociera, tra le quali spicca Venezia che lo scorso agosto ha varato il divieto e ci sono destinazioni, come la Nuova Zelanda, che puntano sul turismo rigenerativo coinvolgendo i visitatori in attività che permettano loro di contribuire più di quanto consumano.
Ma i divieti non si fermano ai mezzi, perché cominciano a riguardare anche le persone. E’ sempre Venezia, infatti, che sta studiando l’ipotesi di installare, a partire dalla fine del 2022, dei tornelli agli ingressi della città e introdurre un biglietto di ingresso oltre all’imposizione di una tassa, per contingentare gli accessi e ridurre l’affollamento.
Sul fronte della selezione dei turisti spunta Panama, dall’altra parte dell’oceano, che ha deciso di puntare su turisti “consapevoli” e intende attuare campagne di marketing mirate per attrarre “le persone giuste con i valori giusti”.
Da un lato queste misure significano nuove barriere al viaggio per le persone meno abbienti, per cui la domanda che ci si dovrà porre è: viaggiare continuerà ad essere un diritto o tornerà ad essere un privilegio come nell’800? Dall’altro lato il tema della sostenibilità è sempre più forte, occorre proteggere le comunità che ospitano e l’ambiente nel quale vivono.
Una cosa è certa, nessuno si sognerebbe di tornare al modo di viaggiare pre-pandemia… o quasi. Perché in realtà qualcuno che lo sogna c’è e sembra si trovi in Calabria.
E’ notizia di questi giorni, infatti, che il consiglio comunale di Reggio Calabria ha approvato, una mozione che potrebbe rendere concreta la realizzazione di un ambizioso progetto denominato Mediterranean Life (che assomiglia molto, nell’enfasi con cui viene raccontato ad un altro progetto per fortuna sfumato che si chiamava Europaradiso) la realizzazione del quale, si legge: “garantirebbe l’arrivo di 4-5 milioni di visitatori l’anno in riva allo Stretto” in una regione che conta in totale circa 1,8 milioni di abitanti. Cinque milioni di persone diviso 365 giorni l’anno fa 13.698,630136986 persone al giorno che, secondo gli auspici, dovrebbero invadere Reggio, se fossi un residente comincerei a fare i bagagli e a pensare ad un’altra life, magari meno mediterranean. Certamente Reggio Calabria non è Barcellona in termini di flussi turistici e, un incremento delle presenze, è sempre stato auspicato da tutti, ma è singolare che in un momento storico in cui tutto il resto del mondo si interroga su quale turismo possa essere proponibile nel dopo pandemia ci sia qualcuno che pensa ancora di vivere negli anni ’80 del Novecento. D’altronde noi siamo quelli che aprono i Mc Donald quando gli altri li chiudono.
Massimiliano Capalbo