Cenere e tesori
Mancano pochi giorni alla liberazione della Calabria e con il rientro degli emigrati nelle varie catene di montaggio della società rientrerà anche l’ondata emotiva che nelle scorse settimane ha riguardato gli incendi boschivi. I numerosi leoni da tastiera prodighi di ricette e consigli su come evitare che tutto questo possa ri-accadere, torneranno nei loro luoghi di residenza per riaffacciarsi alla prossima emergenza. Sul territorio resteranno quelli che ci credono davvero, oltre che la cenere, fino alla prossima primavera quando, dopo le piogge invernali e il freddo, la natura rinascerà dimostrando maggiore fiducia nel futuro e capacità di vivere in simbiosi rispetto agli esseri umani.
Gli incendi hanno messo a nudo tutto l’amore che abbiamo riversato nei boschi prima che prendessero fuoco: bottiglie di vetro, plastica, amianto, materiale di risulta, sono ciò che rimane visibile dopo il passaggio del fuoco. I luoghi percorsi dagli incendi sono una cartina di tornasole della nostra “civiltà” e di quanto i boschi fossero preziosi per noi. Non ho mai visto un tesoro non sottoposto a vigilanza. Telecamere, guardie giurate, sistemi di allarme, i vari luoghi che riteniamo preziosi, come le banche, ad esempio, non rischiano di scomparire, sono troppi gli interessi che ne proteggono e garantiscono la sopravvivenza. Così come per gli incendi.
Prendete un foglio di carta, dividetelo in due con una linea, a sinistra fate un elenco di chi ha interesse ad avere dei boschi bruciati e a destra chi ha interesse ad averli integri, e vi renderete conto che finché i primi saranno superiori ai secondi registreremo incendi. La nostra è una società mossa da interessi, prevalentemente economici, e pertanto votata all’estinzione. Se vogliamo salvare la natura nel breve periodo occorre far comprendere e comunicare l’interesse per lei. Decenni di de-formazione scolastica, volta a creare consumatori, robottini da inserire nelle varie catene di montaggio della società, hanno prodotto l’umanità di oggi incapace, nella maggioranza dei casi, di considerarsi parte della natura come invece avveniva in passato. A scuola non si insegna a saper stare al mondo ma a diventare meccanismi di un sistema che corre sempre più velocemente verso la catastrofe. Per essere compresi da questa umanità occorre utilizzare i suoi frame cognitivi (cornici mentali che creano la nostra visione del mondo e di conseguenza le nostre azioni) altrimenti è solo un dialogo tra sordi. L’unico linguaggio che l’uomo dell’antropocene conosce è quello dell’economia, del profitto, del consumo. Gli spazi naturali possono essere un’occasione per creare economia, per riavvicinare l’uomo alla natura, per fermare l’avanzata della desertificazione (non solo ambientale) che da qui a breve diverrà l’emergenza principale dell’umanità, per far comprendere che le piante sono l’unico alleato che può consentirci di affrontare e superare le prossime crisi. Nel breve periodo questa è l’unica strategia, ci sarà tempo per il romanticismo e la bellezza, ci vorranno altre generazioni.
Viviamo un’epoca di caos e di paradossi. Le stesse persone che oggi “credono” fermamente nella scienza così come un tempo credevano nella religione, sembrano contemporaneamente impermeabili alle conseguenze che le sue scoperte dovrebbero generare. La fisica quantistica ha rivoluzionato i concetti di spazio, di tempo e di realtà da oltre un secolo e mezzo ma noi continuiamo ad avere un approccio cartesiano e newtoniano alla vita; i naturalisti hanno intuito, da oltre due secoli, che le piante sono esseri estremamente intelligenti ma noi continuiamo a trattarle come oggetti. Ci comportiamo con la scienza proprio come ci comportavamo con la religione, tutta forma e nessuna sostanza. Un’arma da utilizzare ideologicamente contro l’altro, all’occorrenza.
Le piante sono ormai riconosciute dalla scienza come esseri viventi intelligenti, sensibili e autonomi. All’orizzonte si intravede la necessità di un’estensione dei diritti (dopo l’uomo e gli animali) anche ad esse. Ma il passaggio culturale è enorme, i cambiamenti richiedono tempo, molto tempo. Alcune nazioni sudamericane hanno già riconosciuto nelle loro costituzioni la natura come soggetto di e con diritti. Ma chi dovrebbe farli valere questi diritti? Chi saranno i tutori di questi diritti? Chi curerà i loro interessi? Spetta a ciascuno di noi. Chiunque abbia già compreso l’urgenza e l’importanza di preservare la natura che ci circonda ha già agito, si è auto-nominato tutore, ha investito risorse proprie (senza aspettare le istituzioni) per creare oasi, spazi che possano garantire un futuro alla natura e un presente a se stessi e agli umani che ancora non hanno compreso. Chi crede che la natura sia veramente un tesoro agisce e rischia in proprio, chi non ci crede produce chiacchiere che lasciano sul terreno solo cenere.
Massimiliano Capalbo
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