Far tornare gli dèi a Verbicaro
Verbicaro è un centro abitato oggettivamente brutto. Chi lascia la statale 18 tirrena inferiore, all’altezza di Santa Maria del Cedro, per inerpicarsi su, verso le montagne dell’Orsomarso, e raggiungere questo centro ricadente nel Parco Nazionale del Pollino, si aspetta di trovare un piccolo centro storico di montagna caratteristico e, invece, finisce per trovarsi imbottigliato in un angosciante budello trafficato da auto, come in qualsiasi centro cittadino, tra palazzine orrende in stile anni ’70 di 6-7 piani, in alcuni casi semplicemente intonacate. Di cosa campano gli abitanti non è dato saperlo, immaginiamo varie forme di assistenzialismo. Fino a poco tempo fa era la patria del vino, il Verbicaro rosso DOC, ma oggi vi operano solamente un paio di cantine. Qui, invece dei vigneti, che ne avrebbero impreziosito l’estetica e l’economia, sono spuntate come funghi le case.
Una sensazione di angoscia mi assale mentre percorro il paese alla ricerca di qualcosa di bello. E’ incredibile constatare come la bellezza della natura che lo circonda non abbia minimamente contribuito a far desistere i suoi abitanti dal perpetrare un tale scempio. E’ come se fosse stata rimossa o, forse, mai realmente percepita alla stregua dei suoi canali d’acqua tombati che rappresentano un grosso pericolo in tempo di alluvioni come questo. E’ un susseguirsi di brutture fino a Piazza Piave. Da quel punto in poi, scendendo lungo il centro storico, si cominciano a percepire i segni del luogo che ha preceduto l’attuale non-luogo. “Un luogo è una creazione stratificata, organica, prodotta dal lento lavorio del tempo, degli elementi naturali e dall’azione, volontaria o meno, degli uomini – ci ricorda Marco Martella, storico dei giardini – E’ forse questo a conferirgli il suo spessore poetico, la sua intensità, e quella luce indefinibile che caratterizza ogni vero luogo, anche il più umile o quotidiano.”
I centri storici sono luoghi perché è facile riconoscere i segni e il senso della vita di chi li abitava, la loro sacralità. Le abitazioni erano costruite per essere funzionali ad una vita fatta di agricoltura, artigianato, pastorizia etc. La terra era considerata sacra, l’uomo viveva in simbiosi con la natura.
Quello di Verbicaro, spopolato e decadente, come tutti i centri abbandonati dagli “affascinati” dalla modernità, si caratterizza per la molteplicità (o meglio accozzaglia) di stili architettonici che si sono stratificati nel tempo. Spopolato non tanto e non solo dall’emigrazione ma, cosa ancora più grave, da un’operazione di trasferimento di massa dei suoi abitanti (alla stregua di Matera) che, dalla vergogna dei luoghi sono stati immersi nell’illusione dei non-luoghi (le case popolari che sorgono nella periferia del paese), pianificata dalla partitica locale vittima, come la maggior parte dei meridionali, di quel complesso di inferiorità che continua a tenere prigioniere molte menti.
Ma, spesso, è proprio la capacità di trasformare un punto di debolezza in un punto di forza che può aiutare a scorgere la luce in fondo al tunnel. E’ proprio questa bizzarria di stili architettonici, infatti, che potrebbe rappresentare l’elemento attrattivo di questo borgo, se adeguatamente ripensato e riprogettato. Se fossi uno studente di architettura ci farei una tesi di laurea, se fossi un architetto comincerei ad interessarmene come è successo a Favara, in Sicilia. Il centro storico di Verbicaro non è stato pensato da una sola mente, questo caos architettonico è frutto di un lavoro collettivo non programmato, non concordato, spontaneo, che oggi appare una vera a propria anomalia e, al tempo stesso, unicità. Questi moderni Gaudì, agendo isolatamente, hanno realizzato un’opera d’arte complessiva che, se adeguatamente ristrutturata e promossa, può rappresentare la base di una nuova primavera per Verbicaro.
Regalo, dunque, quest’idea a chi tiene a cuore il destino di Verbicaro e, contestualmente, lancio una sfida agli architetti calabresi e non che vedono in questa un’opportunità per creare un progetto di rinascita urbana e turistica del borgo. “Il pericolo maggiore, la disgrazia che minaccia da sempre gli uomini – ci ricorda sempre Martella – è abitare una Terra abbandonata dagli dèi, e perciò priva di centro, sprovvista di senso.” Proprio quello che è accaduto a Verbicaro negli ultimi decenni.
Massimiliano Capalbo
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