Ad agosto, in Calabria, aprono gli eventifici, le fabbriche di eventi. Dal 1 al 31 del mese non si sa dove andare e cosa fare prima. Sagre, concerti, dibattiti, mostre, presentazioni, esibizioni si sovrappongono, l’offerta è talmente sterminata da paralizzare o confondere. Sembra che non ci si possa sottrarre al rito. Chi non organizza un evento in questo mese si sente un pò in colpa, soprattutto nei piccoli centri. Ma come? Non fate niente? Gli viene rimproverato.
E’ allora bisogna inventarsi improbabili sagre di prodotti tipici che poi tanto tipici non sono, perché spesso si scopre non esistere alcuna vera produzione in loco di quel prodotto. Concerti di gruppi che non troverebbero spazio neanche ad una festa di compleanno. Presentazioni di libri che non interessano a nessuno. Dibattiti partitici che fanno della retorica, degli slogan e delle frasi fatte il loro leitmotiv. I calendari sono ampi e nutriti, occorre riempire tutto il mese, si tratta di una maratona forzata, persino i tornei di briscola diventano eventi. Tutto (salvo rare eccezioni) finanziato, ovviamente, col contributo pubblico.
Quando la scelta è troppo ampia non c’è libertà, al contrario. Perfino chi, colto dalla paralisi, sceglie di restare a casa non può sottrarsi alla sagra, al concerto, alla manifestazione di turno, perché ad agosto non sei tu ad andare all’evento, è l’evento che viene da te. E’ sufficiente aprire la finestra di casa per percepire un qualche suono nell’aria proveniente da lontano, quando il comune non ti ha allestito la manifestazione proprio sotto casa.
In realtà si tratta delle passioni che improvvisamente hanno bisogno di emergere e trovano nel corso di questo mese una valvola di sfogo. In corrispondenza delle ferie, in assenza di lavoro, le passioni (quelle cose che vorresti fare nella vita ma non le fai perché non ti fanno guadagnare) possono riemergere, hanno il permesso di esprimersi in qualche modo, spesso in maniera improvvisata. E dunque le persone dismettono il vestito quotidiano, la maschera ufficiale che si sono costruite, per diventare per un breve lasso di tempo quelle che potrebbero essere tutti i giorni (in maniera professionale) se avessero il coraggio di fare delle scelte diverse e si mettono a friggere patatine, a suonare strumenti musicali, a dipingere, a fare escursioni, a organizzare mostre fotografiche. A vivere la loro vera vita o almeno quella che desiderano. L’emigrante più illuminato torna la suo paesello e lo utilizza come cavia per i suoi esperimenti di trasposizione culturale. Immagina che quello che ha assorbito nella metropoli dove vive e lavora possa trovare anche qui spazio e riscontro. Ma è lui che è cambiato, il suo paesello no e spesso non si comprendono.
Siamo così, la nostra vita si svolge all’interno di un recinto costruito da altri e fatto di riti, abitudini, consuetudini (perché così fan tutti) e anche gli eventi sono prodotti, al pari delle merci, utilizzando il sistema della fabbrica, la catena di montaggio, il modello imperante. Altrimenti ci sorbiremmo meno notti bianche e feste della birra.
Il 1 settembre cala il sipario e anche il silenzio, gli eventi cominciano a rarefarsi, fino a scemare completamente verso la fine del mese. E’ impressionante la differenza che si avverte da un mese all’altro. A ottobre non si esce più di casa, si torna dal lavoro stanchi e non si ha voglia di fare nulla, la gran parte delle energie sono nuovamente direzionate ad alimentare il sistema che ci tiene in scacco e che ciascuno, a parole, vorrebbe cambiare. Non resta che spaparanzarsi sul divano, acquistato con l’ennesima promozione che scade sempre a fine mese, davanti alla tv. La sera torna ad essere l’avanzo della giornata, il weekend l’avanzo della settimana, la pensione l’avanzo della vita. Si torna alla vita(?) di tutti i giorni, si torna ad essere “seri”, si fa calare il sipario sulle nostre messe in scena estive, si rientra nel recinto. Gli eventifici chiudono i battenti e vanno in ferie.

Massimiliano Capalbo

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