Hack the crisis invece di piangere
Negli ultimi tempi mi trovo d’accordo con Matteo Renzi, pensate un pò di cosa è capace questo virus. L’ex presidente del Consiglio ha proposto prima di riaprire le librerie e poi di cominciare a pensare da subito alla ripartenza (cosa intenda per “ripartenza” resta ovviamente da chiarire, ma conoscendolo qualche timore ce l’ho).
Non sono d’accordo nel riaprire le scuole (che sono sempre state, e non da oggi, un incubatore di virus a causa della modalità d’utilizzo dei loro ambienti) ma sono d’accordo nel riaprire (forse non le avrei mai chiuse) con le dovute precauzioni e i relativi dispositivi di protezione, tutte le imprese strategiche e necessarie per governare e superare la crisi, soprattutto al Sud.
Se il governo (e i medici), come la maggior parte degli italiani, non fossero schiavi del pregiudizio nei confronti del Sud e conoscessero meglio le caratteristiche ambientali e climatiche del territorio italiano, avrebbero potuto comprendere (come si sta palesando) che l’aggressività del virus al Sud è molto ma molto meno accentuata che al Nord, non per motivi di razzismo ma per le caratteristiche climatiche, morfologiche e ambientali del territorio che i più (medici e governatori compresi) purtroppo disconoscono. Si sarebbe potuta creare una task force (qui si che sarebbero serviti i militari) per creare e potenziare i presidi medici necessari a contenere eventuali contagi in questa parte del Paese e consentire di agire in questa direzione. Invece continuiamo a ragionare come l’Italia dei comuni e non come una nazione.
Se questa crisi non fosse stata governata fino a qui con il pensiero unico del Nord, che ha sempre diretto le scelte e le logiche fallimentari di questo paese, e ci fosse stata una maggiore unità di intenti (leggi condivisione e coesione territoriale), invece di chiudere avremmo innanzitutto aperto alla condivisione di idee e strategie per combattere il virus e, poi probabilmente, la parte meno colpita del Paese (il Sud) avrebbe potuto rappresentare una risorsa ed un aiuto per la parte più colpita (il Nord). Non solo, il momentaneo squilibrio operativo avrebbe consentito al Sud il recupero di quel ritardo che da secoli viene auspicato ma che mai è stato realmente favorito, soprattutto dai meridionali stessi. Certo, questo ragionamento avrebbe dovuto presupporre un meridione più maturo (a partire dai suoi amministratori) ma d’altronde se ci fossero state queste condizioni non staremmo qui a scriverne.
Invece gli italiani piangono, in questa domenica proclamata dal Papa “la domenica del pianto”, i media continuano a diffondere depressione, le persone restano chiuse in casa (per un tempo indeterminato) e il virus continua ad infettare medici e infermieri nei luoghi nei quali ha trovato fin dall’inizio e continua a trovare il proprio brodo di coltura: gli ospedali. Non mi pare una strategia.
Mentre i governi che se lo possono ancora permettere si apprestano a regalare soldi ai propri cittadini, nei Paesi che hanno sempre tirato la cinghia, come l’Albania, i cittadini si organizzano. Hanno lanciato un Hackathon (una sorta di maratona online) dal titolo “Hack the crisis Albania“, che si svolgerà dal 3 al 5 aprile, per tirare fuori proposte e strategie per uscire fuori dalla crisi generata dal Coronavirus, salvare vite, comunità e imprese. Un evento questo che nasce in Estonia, fa parte del movimento internazionale “Hack the Crisis” avviato in queste settimane da Garage48, Accelerate Estonia e dall’intera comunità di startup in Estonia. In accordo con il presidente dell’Estonia, Kersti Kaljulaid, che vuole dimostrare, si legge sul sito: “l’attitudine degli estoni che in tempi difficili non perdono la testa ma si mettono a lavorare ad una soluzione. In tempi difficili abbiamo sempre due opzioni: rimanere seduti mentre la terra brucia o cominciare a cercare soluzioni. Noi scegliamo la seconda opzione!” Oltre all’Albania e all’Estonia, stanno organizzando un Hackathon anche la Lituania, la Polonia, la Finlandia, la Lettonia, l’India, l’Ucraina, il Canada, la Germania, il Regno Unito e altri lo stanno facendo e potranno farlo. Anche l’Italia lo ha tenuto proprio in questi giorni per iniziativa di una serie di volontari.
“In questo momento di crisi – si legge sul sito di Garage48 – il nostro obiettivo è quello di lavorare insieme, come una nazione, per risolvere una delle più grandi crisi del nostro tempo.” E per farlo hanno capito che il migliore atteggiamento è quello hacker, to hack, ovvero quello di mettere mano ai problemi, coinvolgere le migliori intelligenze per evitare di entrare in (prima che cercare di uscire da) una crisi dagli esiti imprevedibili. Hack the crisis invece di piangere il messaggio che ci inviano.
Massimiliano Capalbo
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