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Il dibattito negato sulla campagna vaccinale

La prova che la scienza è ben diversa dalla propaganda che ci sta inondando da quasi due anni, e di cui la maggioranza dei cittadini è vittima, è che il dibattito, anima del progresso scientifico, è stato sistematicamente censurato.
I medici sono stati sottoposti a procedimenti disciplinari e addirittura radiati, se hanno espresso opinioni su come affrontare la “pandemia” in disaccordo con le raccomandazioni del Ministero della salute. Qualcuno dice: è giusto, visto che, disobbedendo, facevano rischiare la vita ai loro pazienti. No, nella fattispecie è proprio il contrario: li guarivano. Le loro opinioni si sono dimostrate di gran lunga più corrette, sul piano dell’efficacia clinica, di quelle ministeriali! In altre parole, è stato punito il medico che guariva i suoi pazienti contro le direttive ministeriali, invece di avviarli, con la benedizione del Ministro e del Presidente del consiglio, ai reparti ospedalieri di urgenza e/o al cimitero. Ippocrate redivivo sarebbe sicuramente rimasto stupito.
Il fatto che la professione medica sia governata da Ordini dei medici che trattano i medici come caporali o soldati semplici dovrebbe far protestare tutti i medici degni di esercitarla – intendo protestare apertamente e visibilmente, non nella forma di sfoghi privati o anonimi. Se lo facessero in numero sufficiente potrebbero rendere inevitabile una radicale riforma di Ordini che stanno da anni screditando, esautorando e snaturando la professione. Che una protesta di vaste dimensioni sia in corso tra i medici di tutto il mondo è attestato da dichiarazioni come questa.
La stessa università pubblica è ammutolita – con relativamente poche eccezioni, che ammontano a qualcosa come il 2% della classe docente e ricercatrice – in un momento in cui sarebbe stato suo dovere mostrare ai cittadini che finanziare la ricerca e l’istruzione superiore non significa alimentare forme di artificioso parassitismo, ma garantire la presenza di una coscienza critica istituzionalizzata, pronta a intervenire con autorevolezza e a viso aperto in ogni caso in cui il potere giustifichi il proprio operato con argomentazioni o pretese scientifiche abusive. Non mi pare che in novant’anni dall’ignominiosa resa incondizionata al giuramento al regime fascista, che fu rifiutato solo dall’1% dei docenti universitari italiani, si possa dire che in questa categoria professionale siano stati fatti passi da gigante nel senso della responsabilità civica. Immaginando – ottimisticamente – che 90 anni sia il tempo di raddoppiamento della percentuale degli universitari sensibili alla questione dei diritti civili, per superare il 50% ci vorrebbero altri 4 secoli. Dalla qualità delle dichiarazioni di un noto filosofo-psicologo-giornalista e professore emerito, e dal puerile compitino firmato nientemeno che da un centinaio di «filosofi e intellettuali italiani», si intuisce che potrebbero anche non bastare.
Il rifiuto del dibattito nella sfera pubblica non è mai stato così evidente come nel proliferare di una specie di “caporali della verità scientifica”, spesso privi di qualsivoglia competenza (come nel caso di tanti “opinionisti” o “sondaggisti” su giornali e telegiornali), ma con licenza di assegnare patenti di incompetenza o «irrazionalità» a chiunque dissenta dalla versione ufficiale.
Eppure è evidente che se si muovono critiche ragionate e di merito ai consulenti governativi – per esempio al Comitato Tecnico-scientifico (CTS) o all’Istituto Superiore di Sanità (ISS) (e lo hanno fatto diversi scienziati, me compreso) – dovrebbero essere loro stessi a replicare in maniera puntuale e documentata, non i suddetti “commissari”.
Naturalmente lo scopo, quando si contrappone – per esempio – un’autorità in materia di comunicazione medica con una delle tante nullità giornalistiche che infestano gli studi televisivi, è già raggiunto prima che aprano bocca: suggerire al telespettatore che il primo (l’autorità vera) non si merita come interlocutore niente di più (che una nullità giornalistica).

Prof. Marco Mamone Capria
PhD Università di Perugia

L’articolo è tratto dalle “Considerazioni sul primo anno di una strana campagna vaccinale” pubblicate dal prof. Mamone Capria pochi giorni fa.

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