La nostra civiltà contro la loro barbarie
Ci caschiamo tutti come degli allocchi. I terroristi contano sulla nostra pubblicità, sanno che se realizzano un video in cui uccidono qualcuno quelle immagini faranno il giro dei media e dei social network. Il primo atto per combattere il terrorismo, dunque, è ignorarlo. A cominciare dalle nostre pagine Facebook.
Al contrario di quanto si pensa anche la lotta al terrorismo (sempre più mediatica) non è compito degli Stati ma di ciascuno di noi. Nell’era dei media globali e personali ciascuno di noi è, volente o nolente, emittente di se stesso e dei propri contenuti e megafono di quelli altrui, dunque, responsabile di ciò che veicola. Non possiamo non sentirci co-responsabili quando condividiamo immagini di morte o violenza sui social network. Ogni pagina, ogni tweet, ogni foto, ogni commento rappresentano atti comunicativi che possono contribuire ad amplificare o, al contrario, censurare le informazioni che circolano online di fronte alle quali non esiste alcun filtro, ci vengono sbattute in faccia quotidianamente senza alcuna richiesta di permesso. E’ questo i terroristi lo sanno. La battaglia si sta trasferendo sempre più dal reale al virtuale. Basti pensare al gruppo di hacker che va sotto il nome di Anonymous che ha lanciato l’operazione #Oplsis contro la galassia degli integralisti islamici, violando decine di account Twitter e profili Facebook dell’Isis.
Non potendo vincere la guerra sul campo di battaglia, perchè militarmente inferiori ma anche perchè ignorata dai media o relegata a notizia di secondo piano, gli unici mezzi di cui i terroristi dispongono oggi per catturare la nostra attenzione (e suscitare la nostra reazione sollecitando gli istinti più bassi) sono gli attentati (l’irruzione nella nostra realtà) e i video diffusi sul Web (l’irruzione nella nostra virtualità).
Nonostante i commenti, a corredo di questi video, lascino trasparire disgusto e repulsione, in realtà l’assuefazione nei confronti di tutto ciò sta raggiungendo e ha raggiunto livelli tali da non suscitare più alcun reale shock in ciascuno di noi, non per ragioni di cinismo personale ma perchè siamo cresciuti in una realtà cinematografica (Hollywood) e multimediale (videogames) che ha pre-figurato le azioni dei terroristi che poi non sono diventate altro che la materializzazione delle fantasie veicolate da grandi e piccoli schermi.
“Quel che avremmo dovuto chiederci mentre fissavamo lo schermo televisivo l’11 settembre – scrive Slavoj Žižek, sociologo e autore di “Benvenuti nel deserto del reale” – è semplicemente: dove abbiamo già visto questa scena?” Il potere delle immagini è enorme, perchè l’intelligenza visiva è una forma di intelligenza primitiva che possediamo tutti: giovani e vecchi, ignoranti e colti, ricchi e poveri, fin dalla nascita. Secondo Zizek osservando queste immagini non assistiamo all’ingresso prorompente della realtà nella nostra virtualità quotidiana ma, semmai, al ritorno del reale sotto forma di un’altra apparenza. “Oggi – aggiunge Žižek – il punto di vista predominante è quello che si immagina uno sguardo innocente posto di fronte al Male ineffabile che colpisce dall’esterno… a proposito di quello sguardo dovremmo avere la forza di applicarvi la famosa affermazione di Hegel che dice che il Male risiede (anche) nello sguardo innocente che vede il Male tutto attorno a sè“.
Cosa possiamo fare dunque? Innanzitutto non collaborare nella diffusione di queste immagini. Ma, soprattutto, iniziare a pubblicare belle notizie, a contrapporre alla loro barbarie la nostra civiltà, la nostra cultura, la nostra bellezza. La nostra civiltà, infatti, non può condividere e convivere con la loro barbarie. Per frenare la diffusione dell’orrore ho pensato di lanciare una campagna di sensibilizzazione attaverso la realizzazione di banner, da condividere come immagine di copertina delle nostre pagine Facebook, che invitano a sostituire alle immagini della barbarie quelle della civiltà. E’ un piccolo gesto che, se condiviso, può contribuire a spuntare le armi mediatiche dell’orrore globale.
Massimiliano Capalbo
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