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La prossima categoria

La giornata della memoria si avvicina e, come ogni anno, è partita la narrazione carica di retorica e di buoni sentimenti che aleggerà attorno a noi per qualche giorno. Appena il tempo di sentirsi dalla parte giusta poi tutto verrà archiviato e si ricomincerà col perseguitare la prossima categoria. Ieri era costituita dagli ebrei o dai neri oggi dai no-vax, domani chissà. Vi renderemo la vita difficile” afferma il sottosegretario Sileri, una dichiarazione di persecuzione in prima serata tra gli applausi generali che conferma come ogni epoca abbia le sue categorie da perseguitare e i suoi mezzi per farlo, perché gli umani sono creatori di ordini immaginari, come ci spiega lo storico Yuval Noah Harari, attraverso i quali hanno sempre diviso in categorie i propri simili, principalmente in due: i dominanti e i dominati. I primi hanno goduto e godono di privilegi, i secondi subivano e continuano a subire discriminazioni e oppressione. “Una ferrea regola della storia dice che ogni gerarchia immaginata rinnega le proprie origini fittizie e rivendica per sé uno status naturale e inevitabile“, ovviamente. Per rendere plausibile la narrazione occorre legittimare la propria superiorità rispetto alle altre categorie. Nascono così le gerarchie, le organizzazioni piramidali con superiori e sottoposti, con re e sudditi, capi e dipendenti, governanti e cittadini, tutte frutto dell’immaginazione umana che sono servite, fino ad oggi, a tenere insieme masse di persone difficilmente gestibili. I dominanti sono sempre riusciti a diventare istituzione.
Nella maggior parte dei casi la gerarchia si formava come esito di una serie di circostanze storiche accidentali e poi veniva perpetuata e perfezionata nel corso di molte generazioni via via che i differenti gruppi sociali sviluppavano un interesse personale riguardo alla sua conservazione” ci spiega Harari. E’ quello che continua ad avvenire anche oggi. L’occasione colta al volo, la capacità di trasformare un problema in un’opportunità ha sempre caratterizzato i dominanti dai dominati. Per rendere plausibile la differenza tra le due categorie e per giustificare il predominio dei primi sui secondi si è sempre fatto ricorso o alla religione o alla scienza. Un ruolo importante, dunque, lo ha sempre ricoperto la narrazione. Ai bianchi americani del XV e XVI secolo non piaceva essere considerati degli schiavisti ma dei benefattori e, per giustificare la tratta degli africani, arruolarono teologi per affermare che gli africani discendevano da Cam, figlio di Noè, che aveva posto sul suo capo la maledizione per cui sarebbe stato progenitore di una stirpe di schiavi; e biologi che sostenevano che i neri erano meno intelligenti dei bianchi e il loro senso morale meno sviluppato. Notate delle differenze rispetto a oggi? Provate a sostituire quelle categorie con altre più attuali, quelle narrazioni con altre e vedete l’effetto che fa. Lo schiavismo di fatto continuò anche dopo la sua formale abolizione, perché intrappolate nel circolo vizioso della narrazione dominante le categorie finiscono per assumere quel ruolo e per confermare quei pregiudizi. La stigmatizzazione di una categoria consente ad altre di ottenere dei vantaggi (occupazionali, economici, sociali etc.) e questo alla lunga genera uno scarto difficilmente recuperabile. “Spesso, col tempo, una discriminazione ingiusta peggiora, invece di migliorare… Coloro che sono stati vittimizzati dalla storia è probabile che vengano vittimizzati di nuovo. E coloro che la storia ha privilegiato è probabile che siano privilegiati di nuovo.
Le giornate della memoria non servono a impedire che certe cose riaccadano, non si può pensare infatti di riconoscere e smascherare dei pericolosi criminali ricordando com’erano vestiti il giorno in cui hanno commesso il crimine. I dominanti si cambiano d’abito all’occasione cercando di cogliere le opportunità del momento e quasi sempre sanno farsi istituzione.

Massimiliano Capalbo

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