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La sindrome della capanna: i giovani e il lockdown

Tra le conseguenze devastanti dei provvedimenti antiscientifici presi dal governo con il lockdown emergono con forza, in questi giorni, quelle sui giovani e i bambini costretti in casa in questi mesi di quarantena. Per molte settimane i media, attraverso spot in cui erano protagonisti attori, presentatori e cantanti, hanno invitato a stare chiusi in casa e ad utilizzare le tecnologie per comunicare con l’esterno, il ministro dell’istruzione ha esaltato la scuola online e i ragazzi sono stati indotti ad eccedere nell’uso di questi strumenti che, già prima della pandemia, non prevedevano limitazioni e rappresentavano un grosso problema per il loro sviluppo psico-fisico. Senza contare gli effetti delle onde elettromagnetiche sulle cellule dell’organismo, bombardate per molte ore al giorno.
Che le nostre società siano estremamente fragili lo abbiamo scritto molte volte, i giovani vengono sempre più cresciuti da genitori spazzaneve, pronti a rimuovere ancora prima che i figli vi si imbattano gli ostacoli che incontreranno lungo il cammino, anche quelli più banali. I bambini di oggi non si devono sporcare, non si devono far male, devono vivere al riparo dalla realtà. La generazione contemporanea è stata definita la bubble wrap generation: la generazione degli iperprotetti. Se a questo aggiungiamo l’uso smodato delle tecnologie il disastro è completo.
Tra i primi a lanciare l’allarme circa l’allontanamento di bambini e ragazzi dalla natura è stato Richard Louv autore di un libro “L’ultimo bambino nei boschi” che, nei primi anni del duemila, ha fatto da apripista per le ricerche sul rapporto tra natura e bambini. Numerose ricerche hanno dimostrato che i bambini che non crescono a contatto con la natura sono bambini che in età adulta avranno maggiori possibilità di sviluppare malattie come l’obesità, disturbi di attenzione e cognitivi, maggiore propensione ad atti di bullismo, stress e così via. Louv l’ha definito Nature Deficit Disorder, ovvero “Sindrome da deficit di Natura”. La rinuncia alla vita all’aria aperta, nel lungo periodo, crea un essere umano squilibrato protagonista poi dei fatti di cronaca che apprendiamo quotidianamente dai media, perché l’uomo è nato per stare nella natura, è parte della natura, non può separarsene pena la malattia.
L’indagine pubblicata in questi giorni, dal titolo “Giovani e Quarantena”, promossa dall’Associazione Nazionale Di.Te. (Dipendenze tecnologiche, Gap, Cyberbullismo) in collaborazione con il portale Skuola.net, che ha indagato 9.145 giovani in età scolare tra gli 11 e i 21 anni, ci consegna gli effetti del lockdown su di loro, e fa emergere comportamenti che preoccupano psicologi, genitori ed educatori. Giuseppe Lavenia, psicologo, psicoterapeuta e presidente dell’associazione, intervistato ieri nel corso della trasmissione I Padrieterni su Radio24 spiega: “quello che è emerso dalla ricerca è la contraddizione della tecnologia… tanti ragazzi dicono di essere costantemente connessi, fino al 90% dice che non riesce mai a staccare dai propri amici, passa più di 10 ore al giorno davanti allo smartphone, eppure il 74% dice di sentirsi profondamente solo. La tecnologia ad oggi non riempie il senso di vuoto di angoscia che abbiamo… i ragazzi ci hanno detto che hanno voglia di fare qualcosa con i genitori, con i padri, anche cose manuali, i padri tendono a non essere presenti nelle attività manuali come costruire un gioco, fare un’attività.” Si registra, in questo periodo, un aumento dei disturbi da attacco di panico e “i genitori pensano che è tutta colpa dello schermo, della tecnologia, in realtà dobbiamo tornarci a prenderci cura delle loro paure, perché anche loro sono spaventati.” E come non esserlo dopo mesi di squilibrato martellamento mediatico sul virus?
Si parla di “sindrome della capanna” ovvero della scelta di rimanere chiusi in casa e di avere come unico collegamento con l’esterno la connessione Internet, al riparo dallo stress della quotidianità, al riparo dalla realtà, dagli imprevisti, una dimensione rassicurante che rischia di diventare normalità.Spero di sbagliarmi – afferma Lavenia – ma il vero problema è l’isolamento sociale, chi si abitua a rimanere tanto tempo in casa, a sentirsi protetto dentro l’ambiente familiare, anche se mi sento solo, questo sentirmi solo non è una motivazione sufficiente per farmi uscire, quindi il vero rischio sarà di avere una popolazione di giovani e bambini (di 9-10 anni) in profonda difficoltà, ripartire sarà tanto complesso, tanto difficile, quindi noi genitori dobbiamo riprenderli per mano e cominciare a progettare con loro, perché loro devono vederlo il futuro, se non riescono a vederlo andremo veramente incontro ad una popolazione di ragazzi isolati.
A questo fenomeno se ne sta aggiungendo un altro: “i bambini e i ragazzi tendono a mangiare moltissimo davanti allo schermo, prestando meno attenzione a quello che si mangia, ascoltano meno il proprio corpo e soprattutto stanno circolando tantissime challenge (sfide) sul corpo in questo momento sull’ingrassare tanto o sul dimagrire tanto, quindi dobbiamo stare attenti. C’è una challenge che gira proprio in questi giorni, molto pericolosa, su Telegram fatta di ragazzini molto piccoli dove il ragazzo o la ragazza devono esporre la propria vita e far vedere che riescono a fare due giri con gli auricolari del cellulare intorno alla vita.” All’altro estremo l’eccesso di attività fisica, molti giovani la praticano fino a distruggersi fisicamente. All’isolamento, dunque, si aggiungono disturbi alimentari e dell’identità corporea. Insomma il pericolo di un impazzimento generale che non lascia presagire nulla di buono per il futuro.
Tenere chiusi i parchi e non permettere a bambini e ragazzi di accedervi è stata l’operazione più antiscientifica che sia stata adottata in questa quarantena, frutto dell’incapacità dell’uomo dell’antropocene di stare al mondo. Scrisse Howard Gardner, professore di pedagogia alla Harvard University che sviluppò la teoria delle intelligenze multiple: “siamo bravissimi a distinguere automobili, scarpe da ginnastica e gioielli, mentre i nostri antenati dovevano essere in grado di riconoscere gli animali carnivori, i serpenti velenosi, i funghi commestibili“… e, aggiungeremmo oggi, i virus.

Massimiliano Capalbo

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