Le città che d’estate si svuotano sono il simbolo dell’invivibilità. Le città che d’estate si svuotano diventano i luoghi dai quali fuggire per ritrovare se stessi, i proprio spazi, il proprio tempo e le proprie passioni. Luoghi da cui partire e non in cui approdare. Luoghi in cui gli abitanti passano, spesso, senza lasciare tracce.
La maggior parte dei membri delle società post-moderne occidentali ha subappaltato una grossa fetta della propria vita ad un datore di lavoro, che ne può disporre a piacimento, e rinunciato a coltivare le proprie passioni, cioè a dare un senso, unico e originale, alla propria esistenza.
Tutto questo avviene perchè abbiamo messo al centro della nostra vita il lavoro e il denaro. Viviamo per lavorare e non lavoriamo per vivere.
Forse è per questo che non siamo più in grado di lasciare tracce del nostro passaggio (rifiuti a parte).
Le popolazioni e le culture che ci hanno preceduto hanno lasciato meraviglie dell’architettura, dell’arte, della cultura. Per un motivo molto semplice. Chi le realizzava lavorava per vivere. Spesso una tela, un dipinto, una scultura, un edificio, una pubblicazione erano ricompensati con una scodella di minestra, con un abito, con un ricovero per la notte. La gloria e la fama dell’artista erano considerati la migliore ricompensa.
La fuga estiva dalle città (e dunque dalla ruotine del lavoro) oggi si trasforma, invece, in tempo libero. Ma libero da cosa? Il tempo libero non è, come spesso si crede, un tempo libero dal lavoro, un tempo di non lavoro. Non è tempo per non fare nulla ma tempo per coltivare le proprie passioni (se le si hanno), tempo da dedicare a ciò a cui si tiene di più. L’unico tempo rimasto a disposizione dell’uomo post-moderno per riempire quel vuoto che le città d’estate ci mostrano impietosamente.
Al II° Raduno delle Imprese Eretiche racconteremo le passioni che sono riuscite a trasformarsi in lavoro, racconteremo le storie di chi ha deciso di lavorare per vivere.

Massimiliano Capalbo

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