Pandem..onio
Se l’argomento non fosse serio ci sarebbe da ridere. Il danno che il pandem..onio mediatico sta generando sul contagio da Coronavirus sarà sicuramente superiore a quello causato dal virus stesso. Quando devi riempire due ore di trasmissione televisiva o 3-4 pagine di quotidiano con un argomento che hai intuito possa fare presa (e dunque audience e quindi business) la tentazione di ingigantire la portata della notizia diventa sempre più forte. Il Coronavirus è meno pericoloso (ovvero genera meno morti) di una normale influenza (il che non significa che non bisogna prendere le dovute precauzioni, come per tutte le altre forme di infezione che conosciamo) soprattutto le persone con un sistema immunitario debole. Ma, se paragonato alle morti causate da altri agenti patogeni o da altri inquinanti con cui conviviamo ogni giorno, come le polveri sottili prodotte dai cementifici, dagli inceneritori, dai termovalorizzatori, dalle centrali turbogas o biomasse; la radioattività sversata nei mari e nell’aria dalle centrali nucleari danneggiate da incidenti; il percolato prodotto dalle discariche; i pesticidi utilizzati in agricoltura; le microplastiche, i conservanti, i coloranti, gli antibiotici contenuti nei cibi; le onde elettromagnetiche emesse dai dispositivi mobili etc.) che ogni anno uccidono centinaia di migliaia di persone, questo virus ci appare fortemente ridimensionato rispetto alla sua reale pericolosità. Eppure è già psicosi.
Quando nel 2011 gli operatori della centrale nucleare di Fukushima furono costretti a raffreddare i reattori con acqua di mare, sversando milioni di metri cubi di acqua contaminata nell’oceano nessun allarme venne diffuso dai media. Ai cittadini di Taranto che ogni giorno, da decenni, respirano veleni mai nessuno ha consigliato di utilizzare le mascherine. Le polveri sottili uccidono ogni anno 80mila persone solo in Italia e la Lombardia è la maglia nera (senza mascherina) ma non avvertiamo alcun problema. Forse perché l’informazione è morta e il giornalismo è ormai sempre più al servizio di chi lo finanzia.
C’è voluto il Coronavirus per cominciare a comprendere che il mondo è rotondo e gira e che quello che accade dall’altra parte del pianeta ci riguarderà, prima o poi, perché è solo questione di tempo.
Se dovessi descrivere con un’immagine il grado di consapevolezza che abbiamo tutti noi rispetto a ciò che ci attende da qui ai prossimi decenni, potrei utilizzare quella di alcuni bagnanti che litigano sulla spiaggia per ottenere un posto al sole, mentre un’onda alta una decina di metri sta per abbattersi su di loro. Siamo completamente fuori strada, nessuno ha contezza di quali siano le vere emergenze da affrontare e di quali siano le proporzioni di queste emergenze, ce ne accorgiamo solo quando è troppo tardi. Abbiamo dovuto imbatterci contro delle isole di plastica per capire che il mare era diventato una pattumiera eppure è da oltre un secolo che la disseminiamo per il pianeta. In Calabria non piove da tre mesi ma nessuno è preoccupato per questo, nessuno lancia allarmi, cominceremo ad occuparcene solo quando dal rubinetto di casa non uscirà più nulla, ovviamente.
E’ solo dal 1995 (anno della prima Conferenza delle parti della Convenzione Onu sul climate change) che abbiamo cominciato ad interessarci ai cambiamenti climatici, ma è solo da pochi anni che ne abbiamo cominciato ad avvertire l’urgenza. Troppo tardi. Non possiamo più fare niente per rimediare, potremo solo conviverci.
Nei prossimi decenni saremo impegnati a risolvere i problemi che abbiamo generato nel secolo scorso. Non ci sarà spazio per la crescita e il progresso, come la maggior parte degli economisti si ostina a prevedere, ma solo per riparare i danni che il tanto sbandierato e mai raggiunto progresso ha generato. Soldi ed energie dovranno essere impiegati per bonificare aree inquinate; rimboschire aree desertificate; raccogliere e conservare l’acqua piovana; ricucire le poche aree ancora selvagge del territorio che sono state frammentate dall’urbanizzazione; prendersi cura della terra e degli animali per generare alimenti sani e genuini; ricoverare popolazioni colpite da catastrofi naturali; curare persone e animali ammalati a causa dell’inquinamento; aggiustare case e strutture danneggiate da eventi climatici estremi; salvare e restaurare centri storici, monumenti e luoghi di particolare pregio storico e artistico sommersi dalle acque; difendersi dai cambiamenti climatici estremi; dare asilo ai migranti climatici; raggiungere la sostenibilità energetica e ambientale; in una sola parola pre-occuparsi di tutto ciò che negli anni della crescita infinita, abbiamo ignorato. Non ci sarà tempo per altro. Non si illudano i vari pretendenti al governo, già oggi quelli in carica sono costretti ad occuparsi solo delle emergenze piuttosto che a pianificare strategie di sviluppo, ammesso che ce le abbiano. Il Coronavirus, in confronto, ci apparirà come un piccolo incidente di percorso.
Sono molto contento di questo improvviso interesse per la salute pubblica che sta destando l’attenzione dei governi e dell’opinione pubblica. Se, come ci raccontano, lo Stato e tutti i medici che in queste ore dispensano consigli hanno a cuore la nostra salute, dovremo attenderci quindi, da qui ai prossimi anni, la chiusura delle discariche, dei cementifici, degli inceneritori, delle centrali nucleari, il divieto d’uso dei pestici, etc. etc. altrimenti si alzerà il velo sulla loro ipocrisia.
Massimiliano Capalbo
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