Siamo nella cacca
Lunedì scorso la redazione di Report non ha avuto il coraggio di scrivere per intero, nel titolo della trasmissione televisiva, che siamo nella cacca. Allora lo scrivo io. C’è un costante imbarazzo tra i poveri sapiens. Hanno inventato e usato parole come “pupù” perché è più chic e meno volgare. Come se fosse possibile nascondere il fatto che tutti noi, almeno una volta al giorno, facciamo la cacca, perché è biologicamente necessario. Ma si sa, al sapiens piace nascondere la verità o edulcorarla quanto basta purché diventi altro, qualcosa di più consono all’epoca corrente. Che nella terra e nell’aria ci sia qualcosa di marcio è ben noto, non c’è più bisogno di avere un grande fiuto per scoprirlo. Di marcio c’è che gli allevamenti di bestiame intensivi, sempre più grandi e sempre più numerosi nel mondo e nel nord del Bel Paese, defecano senza sosta in quantità industriale. Perché senza sosta vengono nutriti con farina di soia, coltivata in Brasile, e molto altro ancora per accelerare il loro processo di crescita. Il ciclo di produzione di carni, latte e derivati a livello industriale, dove gli animali sono ridotti a componenti di una catena di montaggio alimentare, richiede sempre più sangue e sempre più velocità. La richiesta di questi alimenti industriali che finiscono sulle nostre tavole, a basso contenuto nutritivo e a basso costo sul mercato, è talmente elevata che ogni anno l’offerta fa fatica a soddisfare la domanda. Questo processo produce una quantità enorme di rifiuti “organici” quasi inutilizzabili e con livelli molto alti di ammoniaca che non si sa più dove collocare, occultare e nascondere. Se unissimo tutti gli allevamenti intensivi presenti sul pianeta saremmo sommersi dalla cacca e dal piscio provenienti da questi lager moderni. Se non credete alle mie parole, alla fine della quarantena, andate a farvi una passeggiata in pianura padana nelle vicinanze dei terreni dove questi liquami vengono sversati e poi provate a raccontarmi le sensazioni che avete provato. Chi lo ha fatto, associazioni e singoli cittadini, ha riempito di denunce gli archivi dei tribunali.
Un tempo non molto lontano, che certamente i nostri nonni ricordano, non era così, la cacca degli animali ritornava a fare parte del ciclo naturale. Ancora oggi, ad esempio, in alcuni villaggi delle Filippine, che ho avuto la fortuna di visitare, la cacca essiccata di Carabao (un bovino asiatico con nessuna parentela con la zebra a pois) si vende al mercato locale assieme a tutti gli altri prodotti che la terra da quelle parti offre. Elemento naturale che viene maggiormente usato al posto della legna da bruciare e per fertilizzare i terreni prima della semina. Per gli abitanti locali lo sterco di Carabao è un prezioso prodotto nell’economia circolare di sussistenza. Così come nelle grandi metropoli, come Manila, New York o Città del Messico ci sono quelli che raccolgono per le strade la plastica usata per poi rivenderla, nei villaggi delle Filippine ci sono i raccoglitori di letame di Carabao essiccato al sole, che lo vendono per ricavarne profitto. Qualcuno storcerà il naso, altri penseranno che lavoro di cacca, e invece no, perché un signore che lo fa, con cui ho avuto il piacere di parlare, ci concima il suo orto, la sua risaia e i suoi alberi, la vende ai vicini e al mercato e ci mantiene una famiglia numerosa di non so quanti componenti. Altroché!
Come fare, dunque, per uscire da questo modello di allevamento insostenibile e altamente inquinante? Riducendo solo al necessario il consumo di questi prodotti animali, diventando consumatori consapevoli, capendo che mangiare tutti i giorni della settimana solo carne, salumi, latte, formaggi e derivati non è sano e non è sostenibile in un pianeta che ospita oltre 7 miliardi di esseri umani.
Sì può fare, se recuperiamo e anzi miglioriamo gli insegnamenti e le abitudini alimentari che i nostri antenati ci hanno tramandato, come ad esempio la variegata dieta mediterranea, basata sul consumo principale di legumi, cereali, frutta di stagione, verdura di stagione, noci e semi. Mai come ora, è giunto il tempo di avviare una vera e propria educazione alimentare che parta dall’infanzia, quindi dalle scuole. Strumento da porre tra i fondamentali pilastri della nuova casa sostenibile da costruire su un pianeta che è uno e uno solo.
Abbi cura di te.
Anam
Lascia un Commento
Vuoi partecipare alla discussione?Sentitevi liberi di contribuire!