Chi gestisce o coadiuva un’impresa in Italia avrà sicuramente avuto a che fare con le rilevazioni ISTAT o altri questionari imposti per legge da parte di enti pubblici spesso di fama minore (se non nulla). Ho scoperto, così, l’esistenza di questo INAPP (Istituto Nazionale per l’Analisi delle Politiche Pubbliche) che letteralmente stalkerizza le aziende con pec, mail e telefonate da call center per ottenere la compilazione di questionari di dubbia utilità.
E’ accaduto, pertanto, di dover rispondere ad una cortese ma insistente signorina che pretendeva la risposta ad un questionario INAPP quasi mi dovesse vendere un divano o una padella per le crepes. La prima difficoltà è stata capire a quale questionario INAPP si riferisse, visto che ne arrivano cinque o sei a semestre. Svelato l’arcano, ho fatto presente che i dati che l’istituto nazionale sta chiedendo sono già in possesso di altri enti pubblici. Niente, la signorina gentile ed insistente voleva che rispondessi. Qual è il vostro codice ATECO?
Per chi non lo sapesse, il codice ATECO è attribuito dalla Camera di Commercio all’atto dell’iscrizione in una delle categorie già preformattate dallo Stato. Serve a far capire all’Erario quanto dovresti guadagnare (e quante tasse dovresti pagare) ma anche a far capire al cittadino che non esiste modo che questi possa inventare una nuova forma di impresa che non sia stata precedentemente catalogata e identificata dallo Stato. In pratica, ti fanno capire che non esiste alcuna creatività, alcuna innovazione e tutto deve essere fatto rientrare in una delle etichette che lo Stato prova a metterti addosso.
Bè senza divagare oltre, il codice ATECO è un DATO PUBBLICO facilmente reperibile e consultabile da chiunque. Come la partita iva, la sede, il capitale versato etc. Un dato già in loro possesso che potrebbero prelevare a piacimento senza colpo ferire e senza alcuna fatica. Eppure te lo chiedono mille volte in un anno.
Perché devo perder tempo mille volte in un anno a dover inserire questo dato? Vogliono vedere se sono attento o se stia barando? Perché la Pubblica Amministrazione non se lo prende da sola dagli innumerevoli data base a sua disposizione? La signorina non mi sa rispondere ma insiste che spenda il tempo mio e dell’azienda a rispondere a mia volta.
Si giunge, dunque, a domande più piccanti. Quanti beni sono stati acquistati con Industria 4.0? Quanti dipendenti hanno fatto almeno un viaggio sulla luna e quanti sono i satelliti di Saturno?
Mi sono sentito in dovere di far presente alla “virago” (che al telefono continuava a parlarmi sopra nonostante la supplicassi di chiamare ISTAT e farsi dare gli stessi dati che chiedevano loro e che avevamo compilato nella rilevazione trimestrale, già perché vogliono sapere che fai ogni tre mesi…) che per rispondere alla maggior parte dei quesiti occorre che mi rivolga all’ufficio contabile aziendale che dovrà convocare un professionista esterno (commercialista o fiscalista, spesso entrambi insieme) per capire come e cosa rispondere.
Ciò comporta del tempo/uomo che viene distolto dalle attività remunerative aziendali, quelle che servono a pagare le tasse che pagano lo stipendio dei dirigenti di questi inutili carrozzoni pubblici che si permettono di farti la morale e si trincerano dietro un laconico “ce lo chiede l’Europa” (giuro che la signorina me lo ha detto con disarmante banalità).
Ecco lo Stato Stalker. Uno Stato secondo cui sei contribuente (debitore di tributo) e non cittadino, uno Stato per cui sei tu a doverti giustificare delle cose che fai e di come le fai, uno Stato che ti fa pagare tasse spropositate ma ti chiede pure di fare il suo lavoro compilativo. E se non rispondi ti fa pure la MULTA!
La ciliegina sulla torta sta nell’aver commissionato ad un soggetto privato il compito di molestare le imprese per conto dell’ente pubblico, una sorta di stalking in conto terzi. L’operatore, preparato e gentile, viene istruito per portare a termine il suo compito di ottenere informazioni inutili e ridondanti.
Queste informazioni andranno, poi, a compilare report, che sostanzieranno dossier, che concluderanno in simposi, che saranno interrotti da coffee break ed intermezzati da buffet (alla vista dei quali anche i premi nobel diventano ansiosi cannibali), che diventeranno libri bianchi che saranno presentati alla presenza di ministri i cui spin doctor ricaveranno delle key words che i ministri ripeteranno nei talk show, che diventeranno meme, che saranno ben graditi ai presidenti dei partiti, che li imporranno ai segretari regionali, che li ripeteranno scimmiottando i propri capi, che saranno riproposti dai segretari provinciali e propalati dalla spia prezzolata che fa scouting nel bar di quartiere.
E le imprese non ne ricaveranno nulla. E le imprese staranno zitte. Perché non hanno tempo di protestare, devono produrre per pagare le tasse. Perché dovrebbero essere rappresentate dalle associazioni di categoria (Confindustria, Confcommercio, Conferscenti e compagnia cantando) che dovrebbero tutelarne gli interessi ma che faranno la loro bella mostra nei simposi in cui un ministro presenterà dei dati da cui sarà ricavato un libro bianco, dal quale saranno estratte delle key words di cui tutti si riempiranno la bocca e nessuno ci capirà niente.
L’ho scritto tempo fa, lo Stato non serve. Non è di servizio, non è servitore ma ci chiede di servire. In più, lo Stato fa stalking. Ti opprime e ti spreme. Ed intanto c’è INAPP…

Cono Cantelmi

Commenti

Lascia un commento

0 commenti

Lascia un Commento

Vuoi partecipare alla discussione?
Sentitevi liberi di contribuire!

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *