Non posso invocare un cambiamento che non voglio
Un servizio di Striscia la notizia, andato in onda ieri sera, ha dato la misura del tipo di “coscienza collettiva” esistente in Italia e ha spiegato, più di mille trattati di sociologia, perché è così difficile vedere il cambiamento così tanto agognato (a parole). Invece del classico e famoso inviato con la telecamera ben in vista, gli ideatori del servizio hanno pensato di inviare sul posto del misfatto una normale e perfetta sconosciuta cittadina, con telecamera nascosta, col compito di richiamare i trasgressori colti in flagranza.
Le reazioni suscitate dai richiami dell’inviata sono state incredibilmente comuni a tutti i trasgressori. Ciò che mi ha colpito di più però non sono state le reazioni, prevedibili, ma le ragioni che sono state portate a giustificazione del comportamento che possono essere riassumibili in due principali:
1) nessuno è autorizzato a richiamarmi se non rappresenta un’autorità preposta. Sei un vigile? Un Carabiniere? No? Allora non sono tenuto a rispettare la legge. L’italiano medio è convinto che non deve agire correttamente perché è giusto farlo (in quanto membro di una collettività che ha i suoi stessi diritti) ma perché se no qualcuno lo può sanzionare. Se non ci fosse lo spauracchio del sanzionatore tutti farebbero i porci comodi. In verità i porci comodi si fanno comunque perché questo è il Paese della forma non della sostanza, e ciascuno di noi è consapevole di poter fare il furbo finché non viene scoperto. E’ un atteggiamento infantile che si apprende a scuola per cui, finché non vengo beccato con le mani nella marmellata, proseguo nella mia trasgressione. E’ quello che Striscia stessa ha evidenziato, sempre nella stessa puntata, con l’inviato Luca Abete il quale ha scoperto un vigile urbano che circolava con l’assicurazione del motorino scaduta in un centro del napoletano e che si è giustificato attribuendo ai costi elevati delle assicurazioni la sua negligenza (c’è sempre un persecutore che mi rende vittima). Questo comportamento accomuna i bambini come i partitici, i dirigenti come i dipendenti, le autorità come i cittadini. I grandi comportamenti equivalgono ai piccoli. Basta leggere le intercettazioni telefoniche delle principali inchieste di corruzione (per le quali ogni giorno tanta gente fa finta di scandalizzarsi) per accorgersene;
2) se gli altri lo fanno sono autorizzato a farlo anche io e finché non cambieranno gli altri non cambierò neppure io. Geniale! E’ un’ottima scusa per non cambiare mai perché siccome è impossibile che il mondo cambi se non si comincia da se stessi è facile immaginare come questo rappresenti un ottimo alibi per mantenere lo status quo. Finché tutti non si comporteranno bene io non lo farò, ergo nessuno cambierà perché tutti aspettano che lo faccia qualcun altro per primo. Non posso invocare un cambiamento che non voglio che avvenga.
In verità è proprio quando la maggioranza di chi mi circonda si comporta allo stesso modo che devo mettere in atto un comportamento difforme dalla massa. Sono, infatti, proprio i comportamenti differenti a spiccare, ad emergere e a farsi notare nel mare magnum dell’indifferenza e dell’omologazione e a mettere in discussione lo status quo. Uno vestito di bianco in mezzo a tanti vestiti di nero. Quando le cose non cambiano è perché nessuno osa cambiarle, non perché non si possono cambiare. I social network sono pieni zeppi di lamentele e a lamentarsi di più sono sempre gli artefici e i protagonisti (o i complici) delle malefatte. Volete capire se una persona agisce in buona fede? Contate quante volte al giorno si lamenta. E’ un metodo infallibile.
Massimiliano Capalbo
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