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Stupore e sapienza

Il Natale è una delle feste comandate più comandate. Milioni di persone ogni anno, il 25 dicembre, si sottopongono al rito con sempre meno consapevolezza, perché la routine nella quale viviamo immersi quotidianamente ha assorbito anche una delle feste più amate e allo stesso tempo odiate al mondo. L’80% delle azioni che compiamo in questi giorni non sono frutto della nostra volontà, sono indotte dalla pubblicità, dalle consuetudini (leggi abitudini), dalle aspettative dei nostri amici o parenti, dalla tradizione. Il sentimento che maggiormente latita è lo stupore. Quando tutto diventa routine tutto passa inosservato, anche il Natale.Questo sentimento o stato d’animo – ci spiega Francesca Rigotti – era detto dai greci thaumàzein dove in quel thàuma stavano sia la gioia della novità sia l’angoscia dell’ignoto.” Poiché viviamo in un’epoca dove la risorsa più scarsa è l’attenzione e la principale preoccupazione quella di imbattersi in un imprevisto, ci precludiamo la possibilità di sperimentare la novità, di rischiare e dunque non abbiamo più l’opportunità di stupirci di fronte a nulla.
Gli unici che resistono, che sono in grado ancora di farlo sono i bambini, quelli più piccoli. I più grandicelli hanno già accesso a qualsiasi informazione dai loro smartphone e la perdita dello stupore avviene sempre più precocemente, così come il loro adattamento al consumismo imperante. In seguito la scuola, i media e la famiglia completeranno l’opera annientando in loro qualsiasi segnale di vita, passione e voglia di sognare, di immaginare quello che ancora non è, di diventare co-creatori di un mondo in continuo divenire. Installeranno nelle loro menti un software, infettato da virus di ogni genere, che li programmerà conducendoli a fare le scelte comandate: dalla scuola da frequentare alla persona da sposare, intrappolandoli nel Matrix progettato per loro.
Anche la Buona Novella cristiana, che Gesù viene al mondo per salvarci, viene rovesciata da un atteggiamento pessimistico derivante dalla visione cattolica ufficiale che “si caratterizza – come scrive Vito Mancuso – per interpretare il senso del cristianesimo come riparazione di qualcosa che si è rotto, come restaurazione di uno stato originario che è andato perduto. Per essa il motore che mette in moto il processo è il peccato originale.
A questa concezione basata sul peccato si contrappone quella avanzata dal frate domenicano Matthew Fox nel suo bellissimo libro “Original blessing” (In principio era la gioia) secondo la quale ad essere originario è il bene, la gioia e non il peccato. Bene e gioia derivanti dallo stupore nei confronti del creato e delle meraviglie che ci sono state donate così come della semplicità di questo bambino, nato in una mangiatoia, simbolo dell’essenzialità. Fu Sant’Agostino ad usare l’espressione “peccato originale” per la prima volta. Gesù, essendo un ebreo, non ne aveva mai sentito parlare.
Una teoria, quella di Fox, di cui la nostra società depressa, rassegnata, addormentata, apatica ha urgente e grande bisogno anche perché questa concezione della religione antropocentrica e pessimistica si porta dietro molte responsabilità sia in termini di salvaguardia e rispetto del creato, sia di fiducia nel futuro e nelle capacità positive dell’uomo. “Il rifiuto da parte degli esseri umani di percepirsi in relazione di prossimità con il mondo naturale li sta conducendo all’autodistruzione” sottolinea Thomas Berry tra i padri dell’ecologia profonda. “C’è una capacità di meraviglia originaria, insita in ogni bambino, ed è questa dimensione che la pedagogia dovrebbe coltivare, risvegliando in ciascuno la gioia di essere, di essere al mondo come un innocente pezzo di mondo.” Ma, soprattutto, di sentirsi parte del creato (quindi della natura) e non altro rispetto ad esso e di sentirsi responsabile della sua co-creazione. Da qui l’urgenza e il bisogno di prendersene cura, di collaborare con Dio nell’opera di creazione.
Come sosteneva Abraham Joshua Heschel, rabino e filosofo polacco, se dimentichiamo il nostro senso di stupore e di meraviglia allora il mondo diventa un mercato. L’unica via d’uscita è la via dello stupore e della meraviglia che, nel pensiero biblico, è l’inizio della sapienza.
L’uomo post-moderno è convinto che ci sia bisogno di più conoscenza, di più tecnologia, di più sapere perché il domani sia migliore. In realtà c’è bisogno di più sapienza, di maggiore saggezza. La conoscenza in mano ad uno stolto diventa qualcosa di molto pericoloso e la cronaca quotidiana non fa che confermarcelo.

Massimiliano Capalbo

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