Quei talenti non riconosciuti
Fare impresa sul serio, in Italia, è prerogativa di pochi. Il concetto di libero mercato, infatti,viene sistematicamente edulcorato dagli imprenditori stessi in accordo con la politica. Uso appositamente il termine “edulcorare” (che significa rendere dolce, meno sgradevole, mitigare) perché è proprio questa l’operazione che viene compiuta puntualmente, attraverso l’annullamento del rischio.
Un’impresa che non rischia non può essere considerata tale. Si tratterebbe di una contraddizione in termini. Le strategie per annullare il rischio sono molteplici, quella più conosciuta è costituita dal finanziamento pubblico a fondo perduto, una sorta di regalo a spese della collettività che ha permesso di sperperare, senza produrre un solo euro di valore, fiumi di denaro soprattutto nelle regioni meno virtuose del nostro Paese.
Ma ci sono altre forme di annullamento del rischio, anche più subdole, come quelle messe in atto da alcune case editrici, ad esempio, per ridurre o per meglio dire azzerare qualsiasi rischio.
Bisogna premettere che in Italia, praticamente, non esistono editori puri. La stragrande maggioranza delle imprese editoriali, infatti, sono appendici di società molto più grandi (holding) che si occupano di altri business che le controllano e le utilizzano (in quanto veicolo di comunicazione e propaganda) per influenzare l’opinione pubblica e controllare le informazioni sgradite sul proprio conto. Ecco, quindi, che entrare nei consigli di amministrazione di case editrici, quotidiani, tv, radio, serve per gestire la comunicazione d’impresa.
La diffusione della cultura, la crescita culturale e sociale di una comunità, la ricerca di nuovi talenti, la diffusione e la libera circolazione delle idee, la condivisione delle informazioni, l’innovazione, che dovrebbero rappresentare gli scopi, la mission, dell’impresa editoriale sono tutti aspetti marginali che possono anche passare in secondo piano ed essere trascurati.
Capita frequentemente di imbattersi, anche su Internet, in annunci di case editrici alla ricerca apparente di nuovi talenti, attraverso annunci del tipo: hai scritto un libro? Stai cercando una casa editrice disposta ad esaminarlo? Mandaci il tuo manoscritto, lo valuteremo attentamente e se lo riterremo degno di pubblicazione ti sottoporremo un contratto di edizione.
Salvo poi scoprire che il contratto di edizione non è altro che un contratto di rivendita di servizi editoriali (stampa del libro, distribuzione in alcuni punti vendita, promozione in anonime trasmissioni televisive o radiofoniche, presentazioni, inserimento in catalogo e partecipazione ad alcune fiere) a spese, anche notevoli, dell’autore.
Le imprese editoriali degne di questo nome, dopo aver valutato attentamente le opere e averle considerate degne di pubblicazione scommettono, insieme con gli autori, sul successo del volume, rischiando. L’editore è quell’attore sociale che dovrebbe avere il compito di scovare nuovi talenti e attraverso di essi far accrescere il valore della propria impresa ma anche il livello culturale del Paese. Ha quindi un duplice compito, oltre che il potere di far circolare nuove idee.
Se questo Paese stenta a rinnovarsi, a rigenerarsi, una grossa fetta di responsabilità è in capo a chi impedisce alla cultura e al sapere di circolare liberamente e ai talenti, soprattutto giovani, di poter emergere, semplicemente riconoscendone il valore.
Massimiliano Capalbo
vedi il fururo brunoeditore.com … e il mondo degli ebook…
saluti
Ciao Massimiliano,
condivido in pieno la tua critica. Oggigiorno sappiamo bene che è così che funziona l'imprenditoria in Italia. Considerando che ciò che hai scritto rientra nella categoria "Eretiche riflessioni", mi sarei aspettato di leggere un tuo pensiero su come dovrebbe essere, invece, la vera imprenditoria.
Analisi impeccabile.Per fortuna, questo sistema di controllo centralizzato del flusso di informazioni sta per tramontare. Si può pubblicare senza sottostare al ricatto di "editori" solo di nome. Anche l'informazione può trovare canali alternativi per affiorare ed affermare ciò che altrimenti non affiorerebbe.
comincio a coltivare un dubbio: siamo davvero sicuri, come comunemente si afferma, che esista un problema di informazione? e che il problema dell'informazione sia il problema pincipale in Italia? lo dicono i politici, lo dice Grillo Di Pietro Travaglio e tanti altri…. comincio a sospettare che sia un luogo comune.
proviamo a pensare ai grandi movimenti politici o ideali che tra 800 e 900 sono sorti nel mondo; nessuno di loro disponeva di "media", eppure hanno fatto informazione, a volte pubblica a volta clandestina…e sono cresciuti. e i grandi cambiamenti? quando mai sono stati preparati dai media dell'epoca? al contrario, hanno sempre lottato con i sistemi comunicativi vigenti.
la difficoltà ad accedere al sistema dei media è l'ostacolo necessario che deve superare chi ha una buona idea.se è nuova perché mai dovrebbe essere riconosciuta dai cultori del vecchio? il problema allora oggi in Italia e nel mondo non sta nell'accesso ai media, ma nella scomparsa delle idee.
@ m4573r85:
Raccolgo il tuo invito ripromettendomi di parlarne al più presto in un prossimo articolo.
@ giuliano:
Sono d'accordissimo Giuliano. Tant'è che il mio libro l'ho pubblicato lo stesso in modalità, diciamo così, "fai da te". Ho voluto soltanto porre l'accento sulla mancanza di coraggio da parte di quelle che continuano a definirsi imprese.