Ho letto un’intervista a uno scrittore, vincitore di non ricordo quale premio letterario, giovane, bello, colto. A un certo punto gli viene chiesto perchè è celibe e lui risponde che è una scelta, ha deciso di dedicare la sua vita ai suoi ragazzi, agli studenti ai quali insegna in un liceo milanese. Le studentesse quando lo scoprono gli dicono “peccato, che spreco” (come se l’uomo senza una donna fosse sprecato) e i ragazzi gli chiedono “e una famiglia tutta sua?” (il solito stereotipo che se non hai qualcosa di tuo non sei).
Guardo la sua foto e vedo un volto di raro equilibrio interiore, gli occhi vivaci e gioiosi dicono che ama il mondo e tutte le cose e le persone che il suo sguardo incontra, che cosa potrebbe aggiungere una donna al suo fianco? Se ama il mondo è oltre gli amori di cui parlano tv, giornali e film.
Incuriosito compro il suo ultimo libro: “L’arte di essere fragili, come Leopardi può salvarti la vita”, una rivisitazione e riabilitazione del grande poeta diffamato dalla tradizione scolastica e ridotto per le nuove generazioni a uno “sfigato” (come dice un suo studente). E’ un libro che avrei voluto scrivere io, nelle pagine di questo giovane uomo di 39 anni mi ritrovo completamente, anzi lo avverto quasi come maestro come se fosse possibile che i nostri maestri siano quelli che ci seguono invece che quelli che ci precedono, paradossale e illogico ma forse rispondente a una specie di sovra-realtà.
Magnifici gli “esercizi di meraviglia” che fa fare ai suoi studenti per ampliare le percezioni sensoriali, così gli esercizi di “ulteriorità” per scoprire che cosa c’è oltre la superficie delle cose o la proclamazione pubblica nel parco delle proprie passioni.
A un certo punto immagina che Leopardi entri nella sua classe, che fa? Va alla finestra e contempla il cielo senza dire nulla, la cosa quasi mi commuove perché è proprio quello che faceva il mio insegnante-poeta al liceo, ogni lezione iniziava con cinque minuti di silenzio, mentre lui stava alla finestra a guardare le nuvole.
Il giovane scrittore ha una passione eroica da realizzare e intende che la propria missione sia risvegliare negli adolescenti il “rapimento” che porta a scoprire la destinazione di una vita. Ed è felice di farlo, non ha niente dei vecchi “missionari” che mostravano sacrificio e pena, lui irradia felicità.
C’è sempre qualcuno che dice che è felice chi ha “le condizioni per esserlo” e allora vado con il pensiero a quella grande scrittrice ebrea che, chiusa in un lager, raccontava nel suo diario che ogni giorno si dedicava alla contemplazione di un filo d’erba, si un solo filo d’erba, e provava una sensazione di beatitudine e di felicità. Un filo d’erba! Forse è a questi esseri che pensava Gesù quando diceva che il regno di Dio è giunto, è tra noi, basta aprire gli occhi e vederlo.
Il libro è una grande consolazione, mostra che è in formazione una generazione di uomini appassionati ed “eroici” che stanno fuori dalle consuete rappresentazioni mediatiche stereotipate con i quadretti familiari, con le foto di lui e di lei, con le solite parole d’amore consumate e ormai unte dall’uso.
Incontro sempre più frequentemente uomini e donne (non della mia generazione, ma di quella degli attuali trentenni e quarantenni) che hanno deciso di vivere per qualcosa che va oltre quello che hanno ereditato dalle precedenti generazioni e oltre le abitudini familiste, soli perché in realtà a tutto collegati, in tutto coinvolti, soli perché sentono e percepiscono tutto. Quando li sento parlare mi imbatto in parole colme di senso, spesso sofferte, ma sempre liberate dalle banalità, parole che lasciano respirare.
Nel libro Leopardi appare finalmente in tutta la sua straordinaria grandezza, un corpo fragile e compresso alla ricerca disperata di parole per respirare. E’ vero, può salvarci, perché oggi abbiamo tutti bisogno di sentirci dire che ciascuno di noi è nato per avere “una grande esperienza di sé”.

Giuliano Buselli

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