Quel buon evento a Catanzaro
Nella città degli eventi organizzati per dare visibilità a questo o quell’amministratore, per trovare un lavoro alla moglie o al figlio del noto imprenditore locale o per far lavorare i promoter amici o amici degli amici, da alcune settimane si sta svolgendo con grande discrezione una rassegna della canzone d’autore italiana. Si chiama “Not(t)e d’Autore” e nasce dalla passione per il genere di due musicisti eretici: Marcello Barillà e Gianfranco Riccelli.
Cantautori e leaders rispettivamente dei Marcello Barillà Bquintet e degli Arangara hanno autoprodotto, e presentano con apprezzata ironia, un evento che sta portando in città artisti del calibro di Giorgio Conte, Alberto Bertoli, Goran Kuzminac, Flaco Biondini, Cataldo Perri, per un totale di dieci appuntamenti. Il venerdì sera la Chiesa del Carmine si riempie di curiosi e appassionati che hanno il privilegio di assistere a delle vere e proprie chicche d’autore, rese ancora più nitide dall’assistenza tecnica di Gregorio Fera, Giuseppe Sestito e Francesco Silipo.
Sembrerebbe, dunque, una rassegna di concerti come un’altra, apprezzabile per qualcuno e per qualcun altro no. Dove sta l’eresia? Qual è il buon evento?
Not(t)e d’Autore nasce per il bisogno urgente e irrinunciabile di fare qualcosa per “stare bene” prima di tutto con se stessi, cercando dentro se stessi la cosa giusta da fare per ottenere lo scopo, in un tempo in cui ciò che si fa, si fa per un fine sempre altro e quasi sempre meno nobile di quanto in prima battuta possa sembrare. Ed è proprio una sensazione di benessere che in quelle due ore di concerto, aperto sempre da artisti locali, lo spettatore (che diventa anche attore grazie alla prossimità con l’artista) avverte. Marcello e Gianfranco stanno condividendo con la città la loro rubrica personale, pregna di artisti, e trasformando le grigie serate invernali del capoluogo in piacevoli occasioni di incontro e convivialità. Nel processo di trasformazione partito dal basso, in corso in città, i più attenti registrano anche questo.
Tutto nasce, come ci racconta Marcello, “da una vecchia passione mai sopita, nata in anni ormai lontanissimi, che come un fiume carsico ha battuto strade tortuose, nascondendosi e riapparendo tra le paure e gli slanci della vita quotidiana, fino ad esplodere con quella forza che solo le passioni vere possiedono, quando rivendicano con l’urlo il loro diritto ad avere spazio, a farsi nocchiero, a tracciare la strada.” Nella visione di chi ha pensato e realizzato questa rassegna la storia personale ha l’ambizione di diventare storia collettiva. Perché il cambiamento parte sempre dal sé e poi diventa, inevitabilmente o possibilmente, cambiamento del mondo. I venerdi sera, in via Francesco Fiorentino, si fa politica attraverso la musica che spinge ad uscire fuori dal torpore della quotidianità, a svincolarsi dalla passività del tubo catodico che ipnotizza le nostre serate, a incontrare gli altri membri della comunità, a parlarsi.
“Cambiare significa prima di tutto parlare la propria lingua – aggiunge Barillà – in un contesto esistenziale complessivo in cui altrimenti sono gli “altri” a scegliere vocabolari, sintassi, grammatiche. Gli altri, che poi nella realtà fattuale diventano il fato, il destino, il caso beffardo che si mette di traverso; mentre invece non sono altro che la conseguenza logica della rinuncia a declinare il mondo con parole proprie. La cosa giusta da fare era offrire la musica, perché quell’antica passione forse troppo trascurata potesse ottenere ciò che rivendicava. La cosa giusta da fare, qui e ora. Poi, si vedrà.”
Dietro tutto questo c’è la voglia di tornare ad essere comunità perchè l’esempio è più potente di tante parole, perchè il cambiamento individuale, personale diventi cambiamento collettivo. Al termine dei concerti si va a cena con l’artista, lo spettatore diventa attore, l’atmosfera diventa conviviale, i ruoli si invertono e l’artista può così immergersi nella città che lo ospita e conoscerla veramente.
“Fino a questo momento – conclude Barillà – non vi è stato concerto di Not(t)e d’Autore che non abbia visto nuove presenze rispetto al concerto precedente; decine di persone che si sono aggiunte ogni volta e non hanno soltanto ascoltato (buona) musica. Molte hanno scoperto per la prima volta un’architettura tardo barocca tra le più importanti di Catanzaro: l’antico oratorio del Carmine, che quei concerti ospita. Un vico cittadino, altrimenti deserto, ha preso vita ogni settimana e la gente ha ristabilito così un contatto profondo con la propria storia e la propria identità; torna a cercarla, perché cercarsi è qualcosa che è dentro la natura umana. Perdersi è il crimine e se a perdersi è una comunità, è la città che muore.“
Massimiliano Capalbo
Foto di Ernesto Sestito
Lascia un Commento
Vuoi partecipare alla discussione?Sentitevi liberi di contribuire!