Il grande fallo
Nel pomeriggio di venerdì 18 agosto un grave incendio ha divorato un appartamento nel centro storico di Cosenza, in un antico palazzo che affaccia su una delle piazze più belle d’Italia, piazza Duomo, provocando la morte di tre persone e la perdita di manoscritti e pergamene antichissimi tra cui la prima stampa del “De rerum natura iuxta propria principia”, l’opera più importante del filosofo cosentino Bernardino Telesio.
Stando alle cronache le tre vittime, definite malate di mente, occupavano abusivamente lo stabile nel quale è divampato l’incendio mentre le opere si trovavano nell’appartamento adiacente a quello dove si è propagato.
Si è trattato solo dell’ennesimo (certamente il più grave) episodio di degrado che caratterizza da lunghissimo tempo uno dei centri storici più belli d’Italia, lasciato nell’abbandono più totale, che una settimana si e una no è interessato da crolli e devastazioni (quest’estate un incendio ha lambito finanche il castello). Un abbandono riconducibile non all’azione di questo o quel partitico (rappresentanti di tutti i colori hanno governato la città dimostrando il medesimo disinteresse e la medesima incapacità) ma al disinteresse dei cosentini stessi che hanno preferito, da tempo, la post-modernità alla riscoperta e valorizzazione delle proprie radici. I rappresentanti post-moderni agiscono limitandosi a inseguire gli umori dei cittadini, qualsiasi essi siano, pur di non perdere consenso elettorale.
Il degrado è la conseguenza del disinteresse dei cosentini che sbavano e corrono a fare selfie di fronte al grande fallo eretto nelle scorse settimane sul fiume Crati o al non-luogo creato in piazza Bilotti, simboli della loro sciagurata incapacità di vivere e dare un senso ai propri spazi urbani. E’ la conseguenza del complesso di inferiorità (nei confronti del modello imperante) che, a partire dagli anni ’80, ha generato la fuga dei cosentini in direzione esattamente opposta rispetto al centro storico, verso Rende, là dove i loro avi non si sarebbero mai sognati di costruire (men che meno grattacieli).
Una perdita enorme, quella avvenuta nei giorni scorsi, non solo per la città di Cosenza ma per l’intera umanità e, nonostante ciò, nessun grande risalto è stato dato sui media nazionali, impegnati nel prosieguo dell’opera di diffusione del terrore iniziata dai terroristi, (ieri in Sardegna un automobilista che ha investito, dopo essersi sentito male per eccesso di alcool, diverse persone è stato letteralmente ridotto in fin di vita dai sopravvissuti alla tragedia, la psicosi ha cominciato a mietere le sue prime vittime).
Il vero grande fallo commesso dai cosentini è tutto qui, nell’aver abbandonato e rinnegato la propria storia e le proprie origini. E’ inutile che adesso facciano finta di essere dispiaciuti, ai cosentini non glien’è mai fregato nulla di Telesio, non l’hanno mai neanche letto, altrimenti la città non sarebbe diventata quello che è. Qualche settimana fa un’ala della Biblioteca Civica di Cosenza, che custodisce tesori inestimabili, è stata chiusa perché il comune non ha pagato i canoni d’affitto al demanio, ma non abbiamo assistito a sollevazioni popolari. Nessuna perdita di identità, nessuno scombussolamento avverrà nella vita dei cosentini dopo questo incendio, perché su nulla di tutto ciò hanno mai creato alcunché, né economia, né cultura. “Bisognerà che il saggio – scriveva profeticamente Telesio nel manoscritto andato perduto – sappia ricercare non i piaceri immediati e rifuggire i mali presenti ma conseguire, adoperando il ricordo delle esperienze passate, la virtù che è l’uso di tutto ciò che favorisce la conservazione dello spirito.”
Quella che è andata perduta è, per ammissione dello stesso sindaco Occhiuto sul proprio profilo FB: “una biblioteca con testi non inventariati né dichiarati, per cui non conosciamo con esattezza il valore se non per le dichiarazioni del proprietario Roberto Bilotti.” In questa dichiarazione c’è tutta la stoltezza dei cosentini che se avessero considerato un valore quelle opere non le avrebbero lasciate marcire in un vecchio palazzo del centro storico ma le avrebbero catalogate, conservate in un caveau con le guardie armate a fare la ronda e rese disponibili per i turisti, come avviene in tutte le città normali del mondo. Ho l’impressione che i veri malati di mente non fossero quelli presenti nell’appartamento in quello sfortunato venerdì di agosto.
Massimiliano Capalbo
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