La missione della Flotilla può essere considerata compiuta. Dopo gli interventi, prima del ministro della Difesa Crosetto e poi del Presidente della Repubblica Mattarella, la missione ha prodotto il suo effetto principale che non è, come in molti perdono tempo a sottolineare (CEI compresa) la consegna degli aiuti, che obiettivamente rappresentano una goccia nel mare del bisogno palestinese, ma quello di dimostrare l’inefficacia e l’impotenza delle istituzioni di fronte alle ingiustizie e alle prevaricazioni in atto nel pianeta. L’impresa della Global Sumud Flotilla resterà nella storia, al di là dell’esito finale, per aver dimostrato che l’illusione dell’Occidente di poter impedire il ripetersi di conflitti e ingiustizie nel mondo, per il semplice fatto di essersi dotato di istituzioni democratiche nazionali e sovranazionali, è, appunto, un’illusione. La nascita stessa del più grande convoglio marittimo civile della storia, con oltre 50 imbarcazioni di varie dimensioni partite da diversi porti del Mediterraneo e dirette verso Gaza, sta a lì a testimoniare l’inconsistenza dell’armamentario democratico. Se le istituzioni, così come sono state pensate fin qui, avessero funzionato non saremmo qui a raccontare il viaggio di questo convoglio. Se gli Stati e le Unioni non servono ad impedire le guerre e le ingiustizie allora non hanno ragione d’esistere, se non servono a mediare, a negoziare, a smorzare, a disinnescare le miccie sparse per il pianeta, ma al contrario ad accenderle, ad armarsi piu potentemente, a minacciare, ad attaccare, allora meglio tornare allo stato di natura, sappiamo armarci anche da soli, sappiamo insultarci anche senza avere uno scranno in parlamento, sappiamo uccidere anche senza un generale che ci comandi di farlo. Gli interventi di Crosetto e Mattarella comunicano impotenza, comunicano la sconfitta dello stato di diritto, il fallimento della democrazia. Se semplici cittadini sono costretti a prendere l’iniziativa è perché chi avrebbe il potere di prenderla non lo fa, si limita a fare discorsi, a lanciare moniti, a sollevare preoccupazioni. Se singoli cittadini sono costretti ad agire è perché la nascita di istituzioni sovranazionali frutto dell’immaginazione umana (come l’Unione Europea, l’ONU etc.) sono appunto campate in aria, non servono a farci sentire più sicuri, non servono a garantirci pace e prosperità. Questo accanimento progettuale sull’UE da realizzare a tutti i costi per scimmiottare gli USA è semplicemente ridicolo, soprattutto alla luce del fallimento politico, economico e sociale degli USA che oggi si palesa sotto i nostri occhi. Le istituzioni, assieme alle altre finzioni giuridiche create dagli esseri umani, sono state tra le più geniali invenzioni della storia, ma non hanno alcuna efficacia se non quella di liberarci (illuderci di liberarci) dalle responsabilità individuali. La paura di assumersi dei rischi ha spinto l’uomo a inventare dei soggetti immateriali, frutto dell’immaginazione e indipendenti dalle persone che li hanno creati. Organismi che col tempo e con gli interessi che sviluppano attorno a sè arrivano a crescere a tal punto da sviluppare una vita autonoma, da sviluppare logiche e dinamiche autonome e in grado, come un levitano, di fagocitare tutto, anche i propri creatori. La storia dell’umanità è la storia del continuo tentativo degli umani di allontanare da sè responsabilità, rischi, oneri, fatiche. Siamo animali perché animati, dotati di gambe che ci consentono di spostarci, soprattutto in caso di difficoltà, perché noi umani non affrontiamo o risolviamo i problemi, semplicemente fuggiamo da loro, ci allontaniamo nella speranza di non incontrarli più, ignorando il fatto che i problemi non risolti ci inseguono e quando ci raggiungono sono diventati più grandi di quando li abbiamo incontrati la prima volta.
Non è vero che istituzioni più grandi, sovranazionali, consentono di governare meglio i popoli, non è vero che danno maggiori garanzie, al contrario, sono facilmente corrompibili (se invece di dieci o mille uffici che decidono ce nè uno solo la corruzione e il controllo sono più facili), non è vero che riducono il pericolo di guerre, come stiamo vedendo lo aumentano, più livelli di controllo danno maggiori garanzie in questo caso rispetto ad uno solo che può premere il pulsante. Chi ha interesse a controllare queste istituzioni vi dirà che più stati, più regioni, più comuni, significherebbe il caos: è falso!
Ciò che rende governabile un territorio non sono le sue dimensioni ma la capacità dei politici di dialogare, di parlamentare, di creare occasioni di incontro e di confronto, la vera democrazia funziona in contesti piccoli non in quelli grandi, dove le persone possono vedere da vicino le conseguenze delle scelte fatte e non subire decisioni dall’alto che standardizzano, appiattiscono e soprattutto non tengono conto delle differenze e delle peculiarità. La Svizzera è un esempio. Se i parlamenti non riescono a trovare soluzioni diplomatiche ai conflitti non hanno ragione d’esistere. Lo sforzo diplomatico e di dialogo che questo tipo di istituzioni richiede, necessita di persone capaci di comunicare, di entrare in relazione con gli altri, nessuno dovrebbe assumere incarichi di governo (nè locale nè nazionale) se non possiede la capacità di mediazione, di dialogo, di relazione, di comunicazione non violenta, se non ha seguito corsi di mediazione, di comunicazione e, aggiungerei, di giardinaggio, perché chi sa coltivare un ecosistema può anche coltivare relazioni umane.
Abbiamo delegato troppo, occorre tornare ad assumerci un pezzetto di responsabilità, perché se non lo facciamo un giorno saremo costretti anche noi a salire su una nave, questa volta non per portare aiuto a qualcuno più sfortunato di noi.

Massimiliano Capalbo

Ogni anno la stessa storia. Ogni commemorazione lo stesso cliché. Possibile che nessuno si accorga dell’errore di fondo? Possibile che nessuno riesca ad estranearsi dal continuare ad essere partigiano (non nel senso letterale del termine ma figurato) e a mettersi in ascolto dell’altra parte per comprendere? Possibile che nessuno riesca a fermarsi e a riflettere sul perché ogni anno queste commemorazioni siano divisive invece che unificanti? Eppure, se lo facessimo, ci accorgeremmo della ragione fondamentale per cui occorre a tutti i costi evitare di scatenare nuove guerre. Non tanto perché la guerra è brutta e le persone muoiono (che è sicuramente una ragione sufficiente per ripudiarla) ma perché la guerra crea, dopo la sua fine, dei vincitori e dei vinti che non potranno mai riconciliarsi, che non potranno mai raccontare la storia allo stesso modo. I danni peggiori delle guerre, infatti, sono quelli che si generano a guerra terminata e che perdurano nel tempo. Pretendere che i vinti diano ragione ai vincitori o viceversa oppure che ammettano i propri errori è una cosa che non può accadere se, al termine della guerra, non si è compiuto un vero percorso fatto di dialogo, ascolto, comprensione e riconciliazione. Certo, è molto difficile (ma non impossibile, esistono esperienze in Africa di riconciliazione in questo senso) che questo percorso venga compiuto dai protagonisti del conflitto ma le generazioni che li seguiranno hanno il dovere di farlo se vogliono vivere in pace. Il nostro paese non lo ha mai fatto per nessuno dei momenti cruciali della sua storia. Le cose accadono e si procede dritti senza fermarsi mai a riflettere. E’ per questo che, spesso, il clima divisivo post-conflitto rischia di trasformarsi in una nuova guerra futura. Perché, nel frattempo, l’odio, i rancori, i desideri di vendetta covano in attesa dell’occasione giusta per riesplodere. Non esiste “la parte giusta” di cui sentiamo parlare, perché la giustizia non appartiene agli esseri umani, solo la vendetta (camuffata da giustizia) appartiene agli umani. Nessun altro essere vivente presente sul pianeta conosce la vendetta. La giustizia è una prerogativa della natura, perché quando sbagli paghi senza attenuati, sconti di pena o indulti. Se costruisci la tua casa sul fiume la prima alluvione te la porta via, se tagli tutti gli alberi crei il deserto, se inquini l’aria e il cibo ti ammali. E’ tutto molto lineare, consequenziale. E’ solo questione di tempo. Gli esseri umani, invece, non possono esercitare la giustizia perché sono fallibili per definizione e perché non agiscono mai in maniera lineare e prevedibile. Decenni di commemorazioni non sono serviti a nulla, semplicemente perché si è diffusa una narrazione e un identikit del male sbagliati. Non è un caso se oggi assistiamo al ritorno dell’antisemitismo, se i governi assumono atteggiamenti autoritari e se le guerre proseguono raggiungendo livelli di barbarie mai visti prima. Nella migliore delle ipotesi le persone, per sottrarsi a questa contrapposizione, si dimostrano indifferenti. Se in una casa la famiglia non va d’accordo ha poco senso che qualcuno festeggi facendo finta che va tutto bene. Si è raccontato e si continua a raccontare che c’era una parte giusta e una sbagliata, che il mondo si divide in buoni e cattivi, che i buoni hanno dei colori, dei valori, delle idee e i cattivi ne hanno altri. Stupidaggini. Se fai un identikit dell’uomo cattivo oggi e lo diffondi pensando che possa essere sufficiente per riconoscerlo anche domani ti sbagli di grosso. Il mondo cambia e le persone pure. E’ sufficiente cambiarsi di abito per essere irriconoscibili. Ma, soprattutto, cambiare contesto. Non cambiano invece gli schemi e le dinamiche. Ai ragazzi delle scuole non andava e non va raccontato chi era Hitler o Mussolini e come si chiamavano i loro compagni di sterminio. Occorreva e occorre parlare dell’essere umano e delle sue debolezze, delle sue miserie e di uno dei suoi difetti principali: quello di lasciarsi condizionare dal contesto nel quale si trova a vivere e a interagire, ieri come oggi. Occorreva e occorre spiegare che non esistono persone buone o cattive di default ma che chiunque, in determinate condizioni e in determinati contesti, può diventare buono o cattivo e che, quindi, quello che è successo può ripetersi (e si sta ripetendo, ma non lo riconosciamo perché guardiamo ancora la foto dell’identikit di 80 anni fa). Numerosi esperimenti di sociologia e psicologia, anche famosi, lo hanno sempre confermato. Papa Bergoglio, quando andava a visitare le carceri, si domandava “perché loro e non io” consapevole del fatto che è sufficiente nascere nel quartiere sbagliato per prendere una strada invece di un’altra. Invece di continuare a raccontarci come la specie più intelligente e importante del pianeta (la più grande mistificazione che abbiamo mai prodotto) occorreva e occorre procedere con un’operazione di ridimensionamento e di messa in guardia dal lato oscuro dell’essere umano, l’essere più pericoloso in circolazione sul pianeta oggi. Il male non è fuori di noi, è dentro, e ha solo bisogno delle condizioni ideali per uscire fuori. Per sconfiggerlo occorre ribellarsi e resistere, innanzitutto a se stessi e alle proprie paure.

Massimiliano Capalbo

E’ incredibile come i governi (di qualsiasi colore partitico) di questo paese siano capaci di riproporre lo stesso schema, periodicamente, senza che la maggior parte dei cittadini se ne renda conto. Ci cascano tutti puntualmente. Ci sono cascati ieri, ci stanno ricascando oggi, ci ricascheranno domani. E’ su questa incapacità di leggere gli schemi che basano il proprio illusorio potere, è questa certezza di impunità che non gli fa avvertire l’urgenza di prevenire ma solo di somministrare pseudo-cure palliative a posteriori.
Quando scoppiò la pandemia da Covid si scoprì che non avevano fatto il loro dovere, quello per cui vengono votati e pagati profumatamente, ovvero scrivere e attuare i piani pandemici per prevenire il disastro, e gli oneri e le responsabilità furono scaricate sui cittadini che furono messi l’uno contro l’altro (no vax contro pro vax) attraverso una campagna mediatica vergognosa. La fecero franca come non mai. Lo stesso schema si sta ripetendo oggi nella vicenda Ramy ma potremmo parlare anche della strage di Cutro e di tante altre nefandezze.
Inseguitori e inseguiti non si rendono conto di essere solo pedine di uno schema ben congegniato. Il dibattito si concentra sul momento dell’impatto della macchina col motorino, nel momento e nel luogo in cui è troppo tardi per sbrogliare la matassa. Ma non bisognava aspettare l’impatto. Molte situazioni si avvertono prima, sono nell’aria, si comprendono se si sta tra la gente e non nel chiuso dei palazzi. Un governo che si possa definire tale, deve governare (appunto) i processi per ridurre al minimo le possibilità che si arrivi a un qualsiasi tipo di impatto, scontro, contrapposizione sociale. E’ eletto per questo, per agire prima non dopo, altrimenti non serve a nulla. Si scrivono norme, sanzionatorie, sulla spinta emotiva di fatti di cronaca circostanziati, che risultano incapaci di essere lungimiranti e preventive. Inseguitori e inseguiti sono entrambi vittime dell’incapacità di prevenire, quindi di governare, ma non se ne rendono conto. Se poi consideriamo che, ormai, l’azione dei governi è solo funzionale alla creazione di ulteriori problemi, ci rendiamo conto che ci troviamo, è il caso di dire, in una strada senza uscita.
Inseguitori e inseguiti sono messi l’uno contro l’altro da uno schema, ben oliato, perché ha già funzionato in passato, che sposta l’attenzione dalle gravi responsabilità politiche alla inesistente (finchè non viene generata ad arte) contrapposizione tra cittadini. Quando assisto a questi dibattiti senza uscita mi sembra di assistere ai combattimenti tra animali. Quei polli, non combatterebbero l’uno contro l’altro se non fossero istigati a farlo. Lo schema serve solo a far nascere e crescere questa contrapposizione, a smuovere gli istinti più bassi, a creare nemici che non esistono. Loro, intanto, osservano lo spettacolo dai loro comodi scranni e pensano a come strumentalizzarlo a proprio vantaggio. Con una popolazione così prona non è difficile. Una volta generato il clima giusto il passo successivo è creare il ring, lo spazio di combattimento. La frustrazione di chi si trova in prima linea ad affrontare i problemi creati dal potere politico, spinge a invocare strumenti di repressione maggiori e i governi sono ben lieti di offrirli per consentirgli di scaricare questa rabbia sui più deboli e usarli a proprio favore. E’ così che nascono le ingiustizie sociali e le società illiberali. Sono edificate sulla frustrazione, la menzogna, la paura e la rabbia dei contrapposti. Basta pilotare bene questi sentimenti negativi per ottenere il risultato voluto.
A qualcuno daranno l’illusione di aver fatto il proprio dovere, di aver assicurato alla giustizia il povero disperato che aveva rubato una collanina d’oro, di aver contribuito alla sicurezza del paese, mentre quelli che spostano enormi capitali, e che la mettono a repentaglio quotidianamente, potranno continuare ad agire indisturbati perchè i media, sotto il loro controllo, saranno impegnati ad osannarli. Invece di auspicare la caduta di un sistema di potere corrotto e incapace continuerete ad accontentarvi di godere della caduta di un motorino qualsiasi, ad un angolo di strada, finché una sera non scoprirete che a bordo, questa volta, si trovava vostro figlio.

Massimiliano Capalbo