Laureata, ex vigilessa, cerca raccomandazione per poter lavorare, chiunque ne avesse il potere mi contatti al 349….. (no perditempo).” E’ l’annuncio affisso su una cassetta delle lettere nel quale, passeggiando sul corso di Soverato, mi imbatto domenica mattina. Penso ad uno scherzo, lo fotografo e il lunedi mattina telefono al numero scoprendo, invece, che è tutto vero.
Mi risponde una ragazza di 38 anni e pare non attenda altro, forse più per sfogare la sua rabbia e delusione che per cercare veramente un lavoro. Sono il secondo che telefona, “il primo era un signore che si è lamentato perchè gli ho appiccicato l’annuncio nella sua bacheca” mi confessa.
Lei chi è?
Sono un imprenditore che ha letto il suo annuncio e voleva accertarsi che non fosse una bufala, perchè avrei intenzione di scrivere un articolo.
Scriva, lo faccia pure, dica che in Calabria non si può lavorare senza raccomandazioni …” e parte il nastro già sentito più volte, un ragionamento che come un virus passa di bocca in bocca e tiene in condizione di schiavitù tanta gente qui al Sud.
Lo schema è abbastanza collaudato. Si parte affermando di voler combattere questo sistema clientelare che garantisce, a chi fa parte della rete di legami forti, di nutrirsi delle briciole che i banchettanti lasciano cadere dal tavolo ma alla fine, in fondo, si desidererebbe farne parte, non avendo (ma sarebbe meglio dire non vedendo) alternative e non comprendendo che è proprio di questo modo di ragionare che il sistema si nutre.
La ragazza dell’annuncio, a differenza di tanti altri, non è ipocrita. Afferma, scrivendolo, di voler far parte di quel sistema, sventola pubblicamente la sua bandiera bianca in segno di resa verso chi riconosce essere più forte di lei.
Mi racconta di essere laureata in architettura, di aver lavorato fin da giovane come vigilessa, di aver fatto anche la cameriera, di aver partecipato a dei concorsi e di non essere riuscita ad ottenere lavoro perchè non raccomandata. Spesso quelli che si ritrovano senza lavoro cominciano ad elencarti le qualifiche che possiedono e le trafile a cui si sono sottoposti, come se fossero di per sè condizione per ottenere di diritto un lavoro. E’ un pò come pretendere di riuscire a fare una buona pizza solo perchè ci si trova in possesso di tutti gli ingredienti necessari.
Viviamo nel 2014 ma continuiamo ancora a ragionare con una mentalità da fine Ottocento. Il concorso, il bando, l’esame, la gara, le graduatorie sono concetti che appartengono al secolo scorso, strumenti che il sistema politico-istituzionale utilizza come arma di controllo sociale. Invece di battere nuove strade disertandoli, ci ostiniamo a voler partecipare, a metterci in fila come bravi soldatini col proprio numerino, in attesa di ottenere quello che formalmente ci dovrebbe spettare di diritto ma che, alla fine, non ci spetta perchè l’altro ha la raccomandazione.
Invece di investire sui nostri talenti e sull’arricchimento del nostro essere, la migliore e più efficace arma contro i sistemi clientelari, ci limitiamo ad accumulare sapere che non sappiamo utilizzare se non nelle sedi opportune. In un mondo di gente appassionata non esistono le file d’attesa perchè ciascuno trova la sua collocazione naturale nel mondo, senza bisogno di raccomandazioni. Per avere, ma soprattutto vedere, delle alternative occorre spostarsi dalla fila perchè chi ti sta davanti ti copre la visuale.

Massimiliano Capalbo

Commenti

Lascia un commento

0 commenti

Lascia un Commento

Vuoi partecipare alla discussione?
Sentitevi liberi di contribuire!

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *