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Il tautismo degli incomunicatori

Nel 2004 Telecom Italia realizzò uno spot pubblicitario istituzionale in cui la figura di Mahatma Ghandi, la più alta guida spirituale indiana, parlava alle folle utilizzando la multimedialità oggi disponibile. Lo spot terminava con una domanda: “Se avesse potuto comunicare così oggi che mondo sarebbe?” Non sappiamo rispondere a questa domanda ma sappiamo certamente che le grandi figure carismatiche come Ghandi non hanno mai avuto bisogno di grandi mezzi per diffondere i propri messaggi.
Sta tutta qui la differenza tra il Novecento e l’inizio del nuovo Millennio. Mentre all’epoca disponevamo di grandi comunicatori che veicolavano alti messaggi utilizzando pochi (in potenza e quantità) media in grado di dialogare con le masse, oggi disponiamo di molti (in potenza e quantità) media attraverso i quali circolano messaggi di basso livello veicolati da grandi illusionisti che creano solo dissensi.
Oggi ciò che emerge prepotentemente, infatti, è la grande differenza che passa tra la comunicazione esterna (da primo piano) e quella interna (da retroscena) dei cosiddetti “leader”. Mentre tutto è concentrato sull’allestimento del palcoscenico e delle scenografie, sul confezionamento del messaggio, sulla rappresentazione di primo piano nei confronti dell’elettorato, il retroscena è l’esatto opposto: è fatto di contrasti, sabotaggi, incomprensioni, contrapposizioni.
La recente sconfitta di Obama nelle elezioni di medio termine, nonostante gli indicatori economici stiano tutti dalla sua parte, sta proprio nella sua incapacità di dialogare con i repubblicani. Nonostante ci stia facendo credere di essere il governo più adatto a fare le riforme nella storia del nostro Paese, quello di Renzi ha chiesto finora per ben 29 volte il voto di fiducia, approvando con questo metodo il 77% delle leggi proposte. Senza contare i contrasti creati ad arte da Renzi con la minoranza (?) interna al PD e con i sindacati che, ormai alla frutta, in questo modo possono ritrovare una ragione d’esistere. Per non parlare poi del M5S, un partito controllato da un’oligarchia che si dimostra disastrosa dal punto di vista comunicativo, che utilizza le epurazioni per risolvere alla radice i contrasti interni e dissolvere i dissensi, destinato a morire per asfissia. Per finire poi con Salvini che affida ad una scritta su una maglietta tutta la sua voglia di dialogo.
La politica è l’arte della mediazione e la mediazione è possibile solo ai grandi comunicatori. Ma nell’era degli incomunicatori, che occupano la scena quotidiana nonostante l’incapacità di relazionarsi con gli altri, di dialogare, di confrontarsi, di mettersi in discussione e, soprattutto, di mettersi in ascolto, tutto ciò appare impossibile. Al contrario ogni azione, ogni gesto genera malumori, incomprensioni, critiche, attacchi in un crescendo continuo.
I grandi leader del Novecento erano grandi ascoltatori, sapevano interpretare gli umori e dare risposte. Gli incomunicatori, oggi, sono accecati dai personalismi, dalla superbia, dalla soddisfazione del proprio ego che nulla può generare se non odio e risentimento. Assistiamo ad una nuova forma di sordità, una nuova forma di malattia sociale per la quale, ci racconta Lucien Sfez, è stato coniato anche un neologismo “quello di “tautismo” una contrazione di autismo e tautologia, con una spruzzata di totalitarismo, indotto dall’avvento delle nuove tecnologie. Autismo è la malattia dell’autoaffermazione in cui l’individuo, ma anche le organizzazioni, non provano il bisogno di comunicare o di confrontarsi con gli altri, ma giacciono in una sorta di autosoddisfazione comunicativa.” Una tautologia, invece, “è un’affermazione vera per qualsiasi valore di verità degli elementi che la compongono. Per esempio, l’affermazione “Tutti i corvi sono neri, oppure c’è almeno un corvo che non lo è”, è una tautologia, perché è vera sia nel caso in cui i corvi siano neri, sia nel caso in cui non tutti lo siano“. (da Wikipedia)
Per tornare ad ascoltare occorre paradossalmente far silenzio, un silenzio attivo non passivo, l’esatto contrario di ciò che lasciava immaginare lo spot della Telecom, meno mezzi e più contenuti, meno monologhi e più dialogo, meno virtualità e più realtà come Ghandi e tanti altri grandi comunicatori ci hanno insegnato.

Massimiliano Capalbo

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