I problemi esistono per noi
“Pensavamo di esserne usciti, e invece con l’arrivo dell’inverno ritorniamo in piena pandemia” inizia così un articolo pubblicato qualche giorno fa sulla rivista Rolling Stone. Pensavamo chi? Forse voi, perché le persone che hanno conservato la capacità di ragionare non l’hanno mai pensato. Fin dall’inizio di questo pandemonio ho sempre scritto, sia su questo blog che nel mio ultimo libro, che avremo dovuto convivere con questo virus per molti anni ancora. Solo un ingenuo o un ignorante o uno sprovveduto poteva pensare e può continuare a pensare, illudendosi, che si possa arginare il fenomeno con un vaccino o con un’altra operazione d’ingegneria genetica creata dall’uomo per l’occasione e che quell’operazione non possa generare a sua volta altri fenomeni. Solo chi non conosce la natura e i suoi ritmi poteva pensare di risolvere la pratica in un anno o due. Solo l’uomo dell’Antropocene poteva raggiungere tali livelli di ottusità e di arroganza. Pur di non ammettere la propria ignoranza e stupidità è disposto a scaricare le colpe su quella parte dei propri simili che ancora conservano la saggezza dei propri avi e che si rifiutano di gestire il problema come se si trattasse di una pratica burocratica. Chi conosce il funzionamento della Natura sa che la sua missione principale è dare vita non uccidere. Non ce la facciamo proprio a ridimensionarci, a compiere un gesto di umiltà e ad ammettere che non siamo i padroni del mondo, che c’è qualcosa di più grande di noi che detta e governa le nostre vite. Il nostro ego ha raggiunto soglie di presunzione mai viste prima, tanto che anela a vivere in un metaverso, perché il verso naturale non è alla nostra mercé. Continuiamo ad illuderci di poter assoggettare la grande Madre ai nostri capricci. Quando la realtà non ci soddisfa speriamo sempre che qualcun altro intervenga a correggerla per noi.
L’unica soluzione consiste nel cambiare punto di vista sulla situazione e nel comportarsi in modo differente. Non è il virus, come slealmente ci raccontano, ad averci creato i problemi che stiamo vivendo ma la nostra reazione al virus che, a cascata, ha generato ulteriori problemi che col tempo produrranno maggiori effetti del virus stesso. Penso all’aumento dei suicidi (di cui nessuno parla), del consumo di psicofarmaci, degli atti di violenza, delle contrapposizioni sociali, dei rancori e a tutti quegli effetti collaterali che, i provvedimenti presi dai governi, stanno provocando.
La maggior parte dei problemi che ci tocca affrontare quotidianamente ha una natura complessa che non vuol dire complicata (ovvero difficile) ma che sono costituiti da più elementi (siamo tutti interconnessi) e di conseguenza agendo su di uno di essi si hanno ricadute anche sugli altri. Un problema complesso, quindi, può avere una soluzione semplice e un problema semplice può complicarsi ancora di più, se i provvedimenti presi non sono ispirati dalla saggezza e dalla consapevolezza. Se chi propone soluzioni non ha una visione sistemica dei fenomeni ma pensa di poter manovrare tutto dall’alto delle proprie limitate competenze il disastro è dietro l’angolo. Siamo stati educati a considerarci vittime di ciò che ci accade intorno, non può meravigliarci, dunque, se poi andiamo alla ricerca del colpevole, dell’untore di turno a cui appioppare le responsabilità. Quello che non abbiamo compreso è che i problemi non esistono senza di noi. Il problema è sempre in relazione con un soggetto che lo considera tale e che può decidere se alimentarlo o lasciarlo morire di fame. La forza che il problema assume dipende dal comportamento del soggetto che vi è in relazione. Se così non fosse di fronte ad una stessa problematica ci comporteremmo tutti allo stesso modo, per fortuna non è così. I problemi richiedono la nostra partecipazione, senza la nostra collaborazione (mentale prima che fisica) non esisterebbero così come li conosciamo. I problemi esistono per noi, nella duplice accezione: per nostra responsabilità e per aiutarci a crescere ed evolvere.
Per orientarci nel mondo costruiamo delle mappe mentali che però non coincidono con il territorio reale. Sono nostre rappresentazioni che finiamo per confondere con la realtà. La nostra percezione del mondo, infatti, dipende dal nostro livello culturale, dall’ambiente nel quale siamo cresciuti, dalla nostra storia ed è limitata dai nostri sensi. Per costruire la nostra mappa attiviamo processi di omissione, di distorsione e di generalizzazione dovuti ai limiti del nostro cervello. Però pretendiamo che quella mappa venga considerata oggettiva e vera per tutti gli altri. I fisici hanno scoperto che solo il 5% della materia che conosciamo può essere percepita, perché riflette la luce elettromagnetica, e solo lo 0,01 di questo 5% è materia composta di atomi. Il restante 99% è composto di materia ed energia oscura (plasma) che non vediamo, non percepiamo e dunque non conosciamo. In questa psicosi collettiva chiamata Pandemia da Covid siamo come quei sei saggi ciechi che pretendevano di capire com’era fatto un elefante soltanto attraverso il tocco di una sola parte del suo corpo ma, a differenza loro, usiamo quel brandello di informazione che siamo riusciti a percepire come una clava per colpire gli altri.
Massimiliano Capalbo
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