Leggo quotidianamente notizie di giovani (di età inferiore ai 50 anni) che muoiono improvvisamente per infarto. Quasi sempre si tratta di uomini e donne delle forze dell’ordine, insegnanti, studenti, persone appartenenti a quelle categorie, professionali e non, che hanno l’obbligo di sottoporsi al vaccino. Gli articoli parlano di sgomento e di stupore per queste morti premature ma nessuno accenna ad una benché minima correlazione con i vaccini, ovviamente. In assenza di prove certe nessuno può suggerire questa correlazione senza rischiare ritorsioni di carattere legale. Neanche il sottoscritto, per le stesse motivazioni, intende farlo. E’ per questa ragione che ho preferito ascoltare le testimonianze di amici e conoscenti vaccinati, dopo aver letto qualche loro timido commento sui social in merito agli effetti che hanno avvertito dopo essersi sottoposti al vaccino. Si tratta di persone che, più o meno volontariamente (la maggior parte è stata obbligata dietro il ricatto del licenziamento), hanno accettato di vaccinarsi e che, dopo la somministrazione, hanno avvertito un cambiamento del proprio stato di salute, con la comparsa di sintomi e la scoperta di anomalie nei valori delle analisi, ad esempio, del tutto assenti prima della vaccinazione. Si tratta sicuramente di una minoranza, quasi irrisoria rispetto alla totalità dei vaccinati, ed è positivo che sia così, io non sono come quei medici(?) che si augurano che i no-vax vengano ricoverati in terapia intensiva (e che andrebbero, questi si, licenziati in tronco). Ma la mia domanda è: questa minoranza ha diritto di essere ascoltata o no? Ha diritto di trovare dei medici disponibili a prendere nota degli eventuali effetti collaterali di questi vaccini per migliorarli e renderli più sicuri o no? Oppure il fatto di essere degli zero virgola è di per sé una condanna alla solitudine e al silenzio? Perfino le minoranze linguistiche o religiose hanno dei diritti perché questa no?
Il tema, dunque, non è se il vaccino faccia bene o male (non siamo tutti uguali per fortuna, ognuno reagisce in maniera diversa, e soprattutto non abbiamo uno storico, trattandosi di una nuova tecnologia biomedica mai sperimentata prima) ma se, per questa minoranza, sono stati pensati dei percorsi di ascolto post-vaccinazione essendo, proprio in quanto minoranza, soggetti più deboli. Se a questo aggiungiamo l’etichettatura facile che attende chiunque sollevi il benché minimo dubbio sul dogma della vaccinazione, è facile comprendere come questa minoranza sia destinata ad essere ancora più minoranza, perché l’autocensura non permette di contarsi, di verificare la reale portata del fenomeno. Sta accadendo a loro, infatti, quello che è accaduto ai deportati nei campi di concentramento subito dopo essere stati liberati. La tendenza di queste persone è quella di chiudersi in se stesse e sentirsi in colpa, ma sono tante e non trovano nessuno disposte ad ascoltarle, i medici non allineati e senza conflitti di interessi sono stati allontanati ed emarginati e i giornalisti(?) vengono pagati per leggere le veline del governo. Un pò per paura di perdere il lavoro, un pò per paura di essere etichettate, un pò per paura di essere emarginate o di subire ritorsioni, un pò per pudore, queste persone tacciono. La colpevolizzazione del potenziale malato è diventata, ormai, la strategia che il governo ha scelto di usare per sottrarsi alle proprie responsabilità e ai propri doveri: quelli di garantire livelli di assistenza sanitaria degni di questo nome in strutture degne di questo nome e con professionalità degne di questo nome.
Se questa minoranza esiste, come ho percepito, ha il diritto di essere ascoltata e se lo volesse sappia che in questo spazio troverebbe qualcuno disposto a farlo.

Massimiliano Capalbo

Di fronte alle emergenze le persone si rivelano per quello che sono veramente oppure perdono il controllo e si trasformano diventando irriconoscibili. Cos’è che genera questa trasformazione? La paura. Di fronte alla paura l’essere umano si trasfigura e tutti gli strumenti, i valori, le convinzioni, i principi che fino a poco tempo prima di incontrare la paura lo aiutavano ad orientarsi nel mondo si dissolvono come neve al sole. Quando compare la paura compare anche il suo fratello gemello, il giudizio. Occorre porre un argine tra me e ciò che mi spaventa e per farlo occorre separare, creare una divisione (bene-male, buono-cattivo, positivo-negativo) che renda netta la differenza tra ciò che è pericoloso per me e ciò che non lo è. Per fare questo occorre esprimere giudizi e fare seguire a questi dei provvedimenti.
La mente esprime in continuazione giudizi, ne ha bisogno per mantenersi in vita. Le servono per orientarsi nel mondo e per fare le proprie scelte. Il giudizio sorge da sentimenti legati alla paura e ad una mancanza di conoscenza. La paura crea una nebbia davanti a noi e, in mancanza di visibilità, si possono fare due cose: dare un giudizio negativo su ciò che è nascosto oltre la nebbia oppure attrezzarsi con degli strumenti capaci di vederci chiaro oltre la nebbia. La prima soluzione è quella più semplice e più adottata.
Di fronte ad un problema c’è chi preferisce mettere la testa sotto la sabbia. L’ignoranza crea uno stato di serenità. Non so, non mi interesso, quindi mi illudo di poter aggirare il problema, di poterlo eludere, di far finta che non ci sia. Non è altro che una fuga dalle responsabilità, una delle tante che mettiamo in atto quotidianamente. Informarsi richiede impegno, sforzo, tempo e questo genera stress, tensione, preoccupazioni che si vanno a sommare a quelle quotidiane. “Ci manca pure questa…“, pensa la mente già sotto stress, e siccome la problematica è particolarmente impegnativa, siccome il suo peso è maggiore rispetto alle altre preoccupazioni e la nostra è una società fragile, incapace di fare sacrifici, se qualcuno mi serve una soluzione su un piatto d’argento perché non coglierla al volo? Se poi quel qualcuno fa parte di una maggioranza o addirittura è un’autorità, allora la propensione ad affidarsi diventa massima.
Il paradosso è che giudizio e informazione sono inversamente proporzionali, meno conoscenza abbiamo di un evento, di un fatto, maggiori sono i giudizi che esprimiamo nei suoi confronti. Non è un caso che i più spietati a giudicare le scelte degli altri siano quelli che hanno fatto le proprie con leggerezza, senza informarsi adeguatamente, senza pensarci troppo, adeguandosi alla massa. Far parte della maggioranza legittima a credersi dalla parte giusta, ad esprimersi con arroganza. Il giudizio, infatti, è il tentativo di privare qualcuno o qualcosa del proprio valore. Più occasioni si hanno per essere esposti al giudizio degli altri e più aumentano le possibilità che la propria mente possa essere influenzata dalle informazioni esterne (parenti, amici, tv, social etc.) La maggior parte della gente è attratta da chi la accetta piuttosto che da chi la giudica. Il giudizio esiste solo nella realtà soggettiva, perché è legato alla persona che lo emette, non è oggettivo e, quasi sempre, rivela più informazioni sulla persona che lo emette che su quella che lo riceve. Rimanendo fuori dal giudizio siamo noi ad esercitare un potere sugli altri, perché dimostriamo di essere persone libere.

Massimiliano Capalbo

L’immagine dei leader(?) del G20 che lanciano la monetina nella fontana di Trevi è emblematica della consapevolezza e della padronanza della situazione che possiedono in questo momento i rappresentanti delle nazioni economicamente più sviluppate. Non hanno la più pallida idea di cosa fare ma continuano ad ostentare sicurezza e la falsa cronaca dei media, che ci racconta di un successo, nasconde in realtà solo l’ennesimo fallimento. La fotografia immortala i 20 grandi impotenti che governano le nostre società. Se i problemi non fossero gravi e urgenti ci sarebbe da ridere ma così non è. Al termine della kermesse, i paesi che hanno preso parte al G20 riconoscono:
1. l’urgenza di contenere il riscaldamento globale entro 1,5 gradi. Questa è la dichiarazione più divertente e allo stesso tempo arrogante che un essere umano possa fare oggi.  Siccome sono abituati a usare le tecnologie per risolvere i problemi pensano che si tratti di trovare la manopola del termostato per regolare la temperatura del pianeta. Pensare di essere in grado di modificare il clima del pianeta entro un lasso di tempo (per noi umani ragionevole) somiglia un pò allo slogan dell’Expo di Milano (nutrire il pianeta). Duecento anni di inquinamento non si risolvono in pochi decenni, le conseguenze devono ancora materializzarsi, non abbiamo capito nulla. Le false credenze sono sempre quelle degli altri, la scienza viene usata come arma per colpire chi non è d’accordo, quando i grandi della Terra raccontano favole bisogna credergli, in questo caso le scienze naturali, la fisica e la chimica possono essere ignorate;
2. di dover raggiungere l’obiettivo emissioni zero entro il 2050. In buona sostanza la Cina e l’India e altri paesi in forte crescita hanno diritto di inquinare come abbiamo fatto noi fino ad oggi, per qualche altro decennio, non sono la Polonia o il Congo non possiamo fare la voce grossa per convincerle a cambiare atteggiamento, l’Occidente ormai conta sempre meno. Il problema è che forse nel 2050 sarà troppo tardi ma questo non conta, rimandare è l’azione più gettonata tra i politici;
3. di dover continuare a colonizzare i paesi in via di sviluppo. Questa “via di sviluppo” sembra essere senza fine, anche perché se dovessero raggiungere i nostri livelli di benessere si scatenerebbe la terza guerra mondiale e, quindi, attraverso l’elargizione di ulteriori finanziamenti, (che andranno nelle casse delle imprese dei paesi industrializzati), pensano di continuare a comprare la compiacenza dei governi di quei paesi come hanno fatto fino ad oggi, continuando a usarli come discariche del mondo industrializzato;
4. di dover continuare a devastare l’ambiente attraverso l’estrazione non più di carbone ma di altre risorse del pianeta (cobalto, idrossido di litio etc.) che servono per le auto elettiche, gli smartphone e le altre diavolerie utili ad accrescere il controllo delle popolazioni in maniera “democratica” e soprattutto volontaria;
I 20 grandi metteranno in atto, si legge: “azioni significative ed efficaci tenendo conto dei diversi approcci, attraverso lo sviluppo di chiari percorsi nazionali che allineino l’ambizione a lungo termine con obiettivi a breve e medio termine”. Dichiarazioni vuote, di circostanza, ricche di frasi d’effetto e di buonismo che servono a coprire la triste verità.
Chi può cominci a darsi da fare per mettersi al riparo dallo tsunami che ci attende. L’ho già scritto e continuo a riscriverlo, se pensate che ci salveremo per iniziativa dei 20 impotenti andrete incontro ad un amaro risveglio. Qui non si tratta di cambiare il destino del pianeta (cosa di cui non abbiamo il potere) ma le nostre abitudini quotidiane e il nostro stile di vita.
Ormai questi eventi sono diventati occasioni mondane per i leader di accrescere (come fanno le stelle del cinema o della musica) la propria fama e il proprio appeal tra i cittadini e tra di loro. Le passerelle, le strette di mano, il gossip, vengono privilegiati alla sostanza delle decisioni. E’ un’occasione per imporre il proprio ego sugli altri e questa volta è stato il turno dell’ego di Draghi. Dopo l’uscita di scena della Merkel, il mago della finanza italiano è diventato il nuovo cavallo sul quale scommettere. Anche perché quelli che ancora ci ostiniamo a chiamare politici sono soltanto degli smistatori di denaro pubblico prodotto dalle multinazionali e quindi il buon Mario non dovrebbe trovare grandi differenze tra il ruolo di banchiere che ricopriva prima e quello di presidente del consiglio che ricopre oggi.

Massimiliano Capalbo