La vicenda dei bambini sottratti alla famiglia del bosco di Palmoli, in Abruzzo, ha tutte le caratteristiche del granello di polvere che si insinua nell’ingranaggio finendo per bloccarlo. Per vari motivi.
Innanzitutto perché tocca delle corde profonde che tutti noi abbiamo e le cui vibrazioni arrivano da lontano, molto lontano. Si tratta di vibrazioni ancestrali che ci rimandano alle nostre origini, a quelle origini comuni che trovano fondamento nel rapporto con la natura. Le vere rivoluzioni, infatti, non sono quelle che ci raccontano i media, non hanno nulla a che vedere con la vittoria elettorale di un qualsiasi partito o con le proteste di piazza contro questa o quella guerra, che da che mondo è mondo non hanno mai cambiato nulla. Le vere rivoluzioni sono dei moti interiori che si attivano quando queste corde vengono toccate e queste vibrazioni ci raggiungono. Le rivoluzioni interiori non fanno rumore, avvengono e basta. E’ solo questione di tempo.
Poi per la pacatezza con cui la coppia ha reagito a questa decisione. Ho visto l’intervista del padre, parla con consapevolezza, ha compassione per questa società che sbaglia credendo di essere nel giusto, la guarda e la tratta come si guarderebbero e si tratterebbero dei pazzi compiere delle azioni senza senso, squilibrate, eccessive. La tratta come si tratterebbero dei malati che hanno bisogno di essere curati, tranquillizzati. Sa che ogni gesto fuori posto potrebbe peggiorare le cose, si muove con intelligenza perché chi è andato a scuola dalla natura non può non esserlo. Ha un ritmo diverso, conosce la pazienza, sa che la giustizia non è una prerogativa umana. Sa che non c’è alcuna malafede in questa operazione, si tratta solo dell’esito finale di uno dei tanti procedimenti burocratici che la società ha costruito per controllare le tante vite innaturali che la popolano, è solo l’ultimo step della procedura prevista in questi casi. E’ l'”intelligenza artificiale” che si erge a modello.
Infine per la forza che la fragilità e la semplicità di questa storia e di questa famiglia ci trasmette. Si tratta di persone indifese, umili, pacifiche, pacate, non recitano. Sono vere, autentiche. In una società edificata sulle apparenze, sulle maschere, sulle ambiguità, sull’ipocrisia, sulle menzogne, splendono come diamanti. Scrive Pavel A. Florenskij, teologo, matematico e martire del pensiero russo, che la verità non è un contenuto da trasmettere né un’idea da dimostrare. Piuttosto si ama, si testimonia e si contempla. E questa storia ci permette per un attimo di scorgere questa verità, come un bagliore improvviso, come un fiore che si ostina a crescere negli interstizi di un marciapiede.
La serenità che questa famiglia continua a trasmettere anche in questo momento difficile è la serenità di chi sa di essere parte di qualcosa di infinitamente più grande e sensato e in virtù di ciò trova la forza di vivere la propria vita, nonostante tutto, con profonda gioia e consapevolezza.

Massimiliano Capalbo

Sono le 12.30 e sono in fila presso uno sportello CUP per effettuare una prenotazione per una visita specialistica per mia madre. Prima di me solo un paio di persone. Quando è il mio turno entro e, ancora prima di sedermi nell’ufficio, la persona che sta dietro lo sportello, un signore dallo sguardo e dalle movenze flemmatiche, mi chiede quante persone ci sono ancora dopo di me. Rispondo nessuna ed esclama: “ah, che giornata oggi!” come per rendermi partecipe delle “fatiche” del suo lavoro.
Consegno l’impegnativa, la guarda e prima ancora di controllare sul computer mi fa: “ah per queste parliamo almeno di novembre, dicembre!” Faccio notare che mia madre ha una certa età e che necessita della visita in tempi ragionevoli. “Cercherò di espandere la ricerca nel raggio della regione” mi fa. Rispondo che non ho alcuna intenzione di sottoporre mia madre a lunghi viaggi ed aggiungo: “lei verifichi che disponibilità c’è in zona, poi se non dovesse esserci, siccome per legge siete tenuti ad erogare il servizio entro 30 giorni per le visite specialistiche, vorrà dire che mia madre andrà a visita da un privato e poi si farà rimborsare le spese dal servizio sanitario.” Al che il funzionario mi risponde: “ah guardi, questo non lo so, però l’ho sentita dire questa cosa, ma non sono sicuro..” Replico: “non si preoccupi, sono sicuro io“. Dopo una breve ricerca sul computer compare una disponibilità, a pochi metri da casa, esattamente a distanza di 30 giorni. Miracolo? Magia? Lascio a voi ogni considerazione. Io la mia ce l’ho da tempo e questo episodio non ha fatto altro che confermarmela.

Massimiliano Capalbo

Quest’anno non farò e non ricambierò gli auguri di Natale in automatico. Men che meno quelli che arriveranno attraverso un qualsiasi medium, social o messaggistica istantanea. Chi lo farà riceverà in risposta questo articolo. Ho deciso di effettuare una specie di sciopero degli auguri, saranno ridotti come le corse dei treni. No, tranquilli, non ho litigato con nessuno, anzi. Forse non sono mai stato in pace con me stesso e con gli altri come in questi ultimi anni. Ma ho deciso di astenermi perché penso sia l’unico modo che ho per costringere gli altri a fermarsi a riflettere anche solo per qualche secondo su questa usanza che è diventata ormai solo un automatismo come tanti. Somiglia molto al “come stai?” che rivolgiamo ai conoscenti quando li incrociamo mentre corriamo al ritmo frenetico della quotidianità. In realtà non ce ne frega niente di come stanno gli altri, è solo un modo di dire. La nostra vita è ormai un riflesso condizionato, ci stiamo abituando a tutto: guerre, violenze, corruzione, menzogne, inquinamento, emergenze, epidemie, tecnosorveglianza, naufragi. Nulla ci colpisce a tal punto da costringerci a fermarci per riflettere o a riconsiderare il nostro percorso, a meno che non si tratti di una disgrazia che tocca direttamente noi o la nostra famiglia. Solo se l’impatto è forte, devastante, allora rimaniamo storditi e siamo costretti a domandarci “perchè proprio a me?” Osservando questo piccolo atto di consapevolezza, chi mi invierà gli auguri non potrà restare indifferente. E quando li farà agli altri sono convinto che ci rifletterà un pò più del solito. Non potrà non farlo, i miei non-auguri sono come l’elefante bianco. Una volta nominato non puoi non pensarci anche se ti dico di non farlo.
Abbiamo perso il rapporto col divino, con ciò che è più grande di noi e governa l’universo, ognuno lo chiami come vuole, poco importa. Per gli antichi il rapporto con la divinità era fondamentale. Prima di affrontare una qualsiasi attività consultavano gli dèi per essere certi di agire con il loro consenso. Il metodo divinatorio più antico era l’osservazione del volo degli uccelli praticato dagli àuguri. I segni che essi interpretavano si chiamavano auspicia. Da qui i nostri auguri e i nostri auspici che però hanno perso senso e significato. Agiamo senza sapere perché, molto più spesso re-agiamo agli stimoli che ci circondano. Quest’anno non cederò alla tentazione dell’automatismo. I miei auguri saranno pochi, selezionati, ma soprattutto fatti di persona guardando negli occhi l’Altro per riconoscere un segno. Provateci anche voi, potrebbe essere l’inizio di un cambiamento e, questo si, un buon auspicio per tutti.

Massimiliano Capalbo