La Calabria rinasce se i suoi figli si ribellano
I quotidiani di oggi riportano nuovi particolari che emergerebbero della lettura dell’ordinanza di custodia cautelare che ha portato all’arresto di quasi 300 persone, in quella che è stata definita dal procuratore Gratteri come “la più grande operazione dopo il maxiprocesso di Palermo”.
In particolare emergerebbe il ruolo di Emanuele Mancuso, uno dei figli del boss Pantaleone, che avrebbe deciso di collaborare con il procuratore di Catanzaro nonostante i numerosi tentativi, da parte della sua famiglia, di fargli cambiare idea.
Ciò che colpisce, in particolare, è il ruolo delle donne (madre e zia in particolare) che avrebbero tentato di fare pressioni, soprattutto di tipo psicologico sul ragazzo, divenuto da poco padre. “Ritratta o non vedrai più tua figlia“, gli avrebbero intimato tra le altre cose, al punto da averlo fatto vacillare nel suo intento, fino a raggiungerlo fisicamente nella località protetta dove il ragazzo si trovava agli arresti domiciliari. Ho sempre pensato che non esista un sesso debole ma delle menti deboli, ecco perché ho sempre ritenuto sbagliato suddividere le problematiche sociali per generi, e questo fatto di cronaca ne è un esempio lampante.
In questo tipo di pressioni non vedo nulla di diverso da quelle che, quotidianamente, i genitori calabresi esercitano sui propri figli. “Vattene fuori che qui non c’è niente“; “Non esporti troppo che poi se la prendono con te“; “Andiamo a parlare con Tizio che vediamo se ti sistema“; “Vota Caio che poi ti fa lavorare presso Sempronio“; “Iscriviti a quella facoltà che insegna il nipote di zio Ciccio e t’aiuta lui“; “Fatti vedere a quel convegno che può sempre servire“; “Non fidarti degli altri che ti fottono” sono solo alcune delle pressioni psicologiche che i genitori calabresi esercitano, quotidianamente, sui propri figli e che finiscono per mantenere lo status quo nella nostra regione e per rendere infelici questi ragazzi, costretti a scegliere una strada che non è quella che avrebbero seguito se la scelta fosse stata la loro.
Cari ragazzi quando sentite vostro padre o vostra madre pronunciare queste parole sappiate che vi stanno costruendo la gabbia nella quale sarete costretti a vivere in futuro, anche se deciderete di emigrare, perché si tratta di una gabbia psicologica che vi porterete dietro ovunque e per tutta la vita e vi renderà infelici quando non complici del peggio che vi circonda.
Da circa dodici anni vado nelle scuole, di ogni ordine e grado della regione, per invitare i ragazzi a ribellarsi ai propri genitori, artefici e promotori delle quotidiane sconfitte che questo territorio è costretto a subire, a causa di una diffusa mentalità perdente e servile.
La Calabria rinasce se i giovani si ribellano ai propri genitori, non (soltanto) se un giudice o un carabiniere arrestano tutti quelli che si comportano in maniera illegale. Occorre agire nella maniera esattamente opposta rispetto a quella che i genitori (spesso anche in buona fede) suggeriscono. Chi ha consegnato a questi giovani la realtà che oggi sono costretti a vivere, infatti, non ha nulla da insegnare loro ma, semmai, tanto da imparare.
Per ribellarsi non c’è bisogno di scendere in piazza, di fare rumore, è sufficiente dire no, rifiutarsi di perpetrare quel modo di fare come (con molto più coraggio di noi) ha fatto Emanuele Mancuso. Occorre farlo in silenzio, nella quotidianità, poiché si tratta di una ribellione interiore.
Il silenzio che in questi giorni si percepisce nelle cittadine calabresi maggiormente colpite dall’operazione “Scott-Rinascita”, potrebbe essere utile se fosse il frutto di un momento di riflessione da parte di tutti quelli che, direttamente o indirettamente, hanno tratto beneficio da quel sistema che è emerso e di fronte al quale, ipocritamente, ora si stupiscono. Chi non ha avuto il coraggio fino ad oggi di ribellarsi non impedisca, a chi avrà il coraggio di farlo domani, di farlo.
Massimiliano Capalbo
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