La separazione che precede il fallimento
Tu cosa sai fare? Cantare? E canta! Tu cosa sei? Un pittore? E dipingi! Tu sei bravo in matematica? E occupati di quello! Sono le affermazioni che compaiono più di frequente sulla bocca degli stolti, degli ignoranti (di quelli cioè che ignorano il funzionamento del mondo) quando qualcuno “sconfina” dal proprio ambito di competenza. Una concezione parcellizzata della vita che conduce ad errori grossolani, generati dalla mancanza di una visione sistemica. La cosa più grave è che non sappiamo ciò che non conosciamo e questo ci rende sicuri di sapere, un atteggiamento che porta dritti dritti al fallimento.
La nostra intelligenza, come umanità, non risiede nei singoli cervelli (per fortuna) ma nella mente collettiva. Presi singolarmente siamo poco più che ignoranti. La conoscenza, infatti, è il prodotto di una comunità. Io so di sapere perché so dove andare ad attingere quando non so e questo è ancora più vero oggi, vista la pervasività e la facilità di accesso alle nuove tecnologie. Negare o tacciare di sconfinamento qualsiasi tentativo da parte di uno qualsiasi dei membri della comunità di contribuire sotto qualsiasi forma (un pensiero, una canzone, un dipinto, un’opera architettonica etc.) all’accrescimento dell’intelligenza collettiva e quindi dell’efficacia della sua azione, significa scegliere di seguire la strada del regresso e dell’ignoranza. Non è un caso se i problemi, nella nostra società, invece di essere risolti o prevenuti vengono accresciuti e rimandati all’infinito. Jerome Liss parla di epistemologia del rispetto per indicare che ognuno di noi possiede un’esperienza unica del mondo e, quindi, preziosa per il resto della comunità.
La segmentazione e parcellizzazione dei saperi e, in particolare, la separazione tra cultura umanistica e cultura scientifica ha un’origine storicamente recente. Nell’antica Grecia una formazione, per essere completa, doveva comprendere lettere, scienze, natura, fisica, etica etc. Leonardo da Vinci e Brunelleschi, per citare due dei geni italiani più noti, devono ad uno studio interdisciplinare le loro straordinarie realizzazioni. Ma la lista potrebbe essere infinita e giungere fino al XIX secolo quando, il moltiplicarsi delle discipline e la loro progressiva specializzazione, comincia a rendere veramente difficile per un solo essere umano conoscere tutto lo scibile umano. Ha inizio, così, la separazione dei saperi. Una separazione che ha condotto, a giudicare dalle cronache quotidiane, anche alla separazione dei problemi e alla segmentazione dell’agire. Invece di accrescere il bisogno dell’altro come fonte di sapere, questa separazione ha condotto all’isolamento di ciascuno all’interno del proprio ambito di competenze, considerate un fortino dal quale attaccare il nemico. Tutto ciò ha condotto a separare la razionalità dalle passioni, la mente dal corpo, i sentimenti dall’efficienza, l’immaginazione dalla pianificazione. Edgar Morin, nel suo libro La testa ben fatta, scriveva: “l’intelligenza che sa solo separare spezza il complesso del mondo in frammenti disgiunti, fraziona i problemi, unidimensionalizza il multidimensionale” e ancora “un’intelligenza incapace di considerare il contesto e il complesso planetario rende ciechi, incoscienti e irresponsabili”.
La maggior parte dei problemi che ci tocca affrontare quotidianamente nasce dall’incapacità di considerarci parte di un tutto. La nostra ignoranza in termini di consapevolezza è spaventosa. I mezzi tecnologici a nostra disposizione ci rendono ancora più pericolosi. Il nostro agire prescinde da tutto ciò che ci circonda, siano esse persone, piante o animali. “Tradizionalmente – scrive Raimon Panikkar – la conoscenza era la facoltà di identificarsi con la cosa conosciuta e assimilarla. Comportava la triplice attività che rende umano l’Uomo: conoscere, amare (volere) e agire, cioè discernere, fare la scelta giusta e metterla in pratica. Tale conoscenza ha un potere salvifico…. mentre la scienza moderna si riduce a calcolo senza più alcun potere salvifico.“
Uno degli obiettivi della Scuola Eretica dell’Essere è quello di formare un uomo nuovo, multidimensionale, eretico, capace di discernere, fare la scelta giusta e metterla in pratica.
Massimiliano Capalbo
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