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Cosa ho fatto per avere un anno migliore del precedente?

Si avvicina il giorno in cui si formula l’augurio più ipocrita dell’anno: il 1 gennaio. “Speriamo sia un anno migliore“, a mio avviso, è l’augurio più falso che si possa esprimere, perché l’esserlo (migliore) dipenderà da ciò che ciascuno di noi ha compiuto fino ad oggi. Se non abbiamo seminato bene non possiamo attenderci nulla di buono, per cui non ha alcun senso attendersi niente di diverso da ciò che si è già ottenuto, se non di peggio. Avrebbe più senso, dunque, domandarsi cosa si è fatto per avere un anno migliore del precedente. Gli anni non sono perturbazioni atmosferiche imprevedibili che ci piovono addosso senza avere alcuna responsabilità e senza riuscire a prevederne la portata. Il futuro è già qui, nel presente, non c’è bisogno di una sfera magica per conoscerlo. Non si tratta di essere ottimisti o pessimisti ma realisti, cioè di osservare la realtà senza pregiudizi, preconcetti, paraocchi, stereotipi, ideologie. Operazione complicatissima in un mondo sempre più chiuso e spaventato.
Nei prossimi anni assisteremo a: l’aggravarsi della siccità; l’aumento delle epidemie; l’incremento del dissestro idrogeologico; la crescita dei conflitti; l’aggravarsi della crisi energetica; il prosieguo del fenomeno migratorio dai paesi cosiddetti “più poveri” a quelli cosiddetti “più ricchi”; l’aumento di atteggiamenti dispotici e autoritari a discapito di quelli democratici; l’incremento dei controlli da parte degli stati sui cittadini; l’aumento delle malattie dovute a: cattivi stili di vita, pessima qualità del cibo e non ultimo ai “vaccini” anticovid; l’incremento della criminalità nelle istituzioni; l’aumento della pervasività delle nuove tecnologie nelle nostre vite e anche nel nostro corpo; l’incremento della violenza, dei suicidi e della depressione nella popolazione; l’aumento della manipolazione delle informazioni per il controllo dell’opinione pubblica. Tutto questo è semplicemente il frutto di quello che abbiamo seminato negli scorsi due secoli e adesso vediamo che la foresta, costituita da questi problemi, diventa sempre più grande. Non può essere diversamente, stiamo raccogliendo quello che abbiamo seminato.
Quello che può cambiare e che non è prevedibile, invece, è come reagiremo a tutto questo. Assisteremo certamente ad un cambio negli stili di vita da parte degli individui più consapevoli, atteggiamento in atto da tempo che continuerà a crescere, ma non possiamo sapere quanto questo possa incidere sul breve periodo e in che modo sui processi globali. Senza contare l’imprevedibile, ovvero il granello di polvere che finisce sempre per insinuarsi nell’ingranaggio principale fino a bloccarlo e a scompigliare le carte, che è sempre la cosa più interessante. L’unica certezza è che se decideremo di affidarci alle istituzioni delegando loro la risoluzione di questi problemi, come abbiamo fatto fino ad oggi, non potranno che aggravarsi. Non c’è nessuno che può salvarci, infatti, se non noi stessi, attraverso scelte (eresie) di vita personali e collettive fuori dagli schemi dominanti.
Pur non negando l’esistenza degli déi, Epicuro predicava che le persone devono assicurarsi il benessere e la felicità mediante i propri sforzi fisici e intellettuali, senza aspettarsi nulla di bene o di male dalla divinità. Ogni individuo è un soggetto in continua evoluzione che può fare della sua vita qualcosa di incredibile nella misura in cui collabora con i propri simili per realizzarne una piacevole e serena. Secondo il filosofo di Samo, sono i singoli a doversi assumere in prima persona il compito della propria felicità, supportati dalla compagnia dei propri simili che già godono della felicità e sono disposti a dar loro una mano senza chiedere nulla in cambio. La felicità dell’individuo non coincide necessariamente con l’interesse politico dello Stato, né i problemi etici trovano giustificazione nel bene comune o nelle questioni politiche: essi richiamano piuttosto ciascuno a uno sforzo personale. Il primo passo verso la felicità consiste nel crescere nella conoscenza di se stessi, per poi imparare a vivere in compagnia degli altri.
E’ l’obiettivo che mi sono posto inaugurando il primo Giardino Epicureo in Italia. Uno spazio di ben-essere e di felicità dove la vita ha senso, nato per sperimentare la possibilità di un’autonomia (autàrkeia) interiore come metodo per trovare il proprio cammino personale verso la felicità. Per ottenerla occorre conquistare una certa libertà e indipendenza, liberarsi dal carcere degli affari e della politica e abbracciare una vita del tutto immune dalla smania di ottenere l’approvazione e il consenso altrui. Il Giardino Epicureo è il mio contributo concreto al miglioramento degli anni a venire in Calabria e non solo, se saranno più felici è perché sono stati preparati prima. E’ per questo che, forte di questa consapevolezza, posso affermare senza alcun ottimismo o pessimismo che il prossimo sarà un anno migliore del precedente.

Massimiliano Capalbo

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