Il mito moribondo dell’Australia
Se c’è un continente che da sempre rappresenta, almeno per i giovani italiani, la terra promessa questo è l’Oceania e in particolare una delle sue isole: l’Australia. Sono tantissimi, infatti, i giovani che delusi o scontenti dalla situazione economica e sociale che vivono nel proprio paese, oppure alla ricerca di se stessi, decidono di recarsi in Australia, per lavorare, per avventurarsi in sfide di vario genere a piedi o in bicicletta o semplicemente per il piacere di scoprire una terra molto diversa dalla nostra. L’Australia è sempre stata una terra simbolo di libertà e di avventura per molti e il mito si è diffuso, come sempre accade nei confronti di ciò che si trova lontano da noi.
Peccato che, come le persone di mondo sanno, il paradiso non sia su questa terra (altrimenti in tanti ci si sarebbero già trasferiti) e che l’Australia sia, al contrario di quanto si pensi, tra i territori più colpiti dall’azione dell’uomo prima che dai cambiamenti climatici. Una sorta di preludio di cosa potrà diventare il pianeta se continuiamo ad adottare il modello di vita e di economia imperante.
Uno scioccante documentario, andato in onda la scorsa primavera su Rai5, ce la racconta come una terra assediata dalla desertificazione. Un risultato raggiunto dopo secoli di sfruttamento senza scrupoli delle risorse di questa enorme isola. Cominciarono gli inglesi alla fine del ‘700 con l’estrazione dei minerali, e trasferendo una varietà di fauna che non era compatibile con quella esistente sul territorio che finì per compromettere la sopravvivenza delle specie autoctone. Le foreste furono tagliate per fare spazio alle coltivazioni, fu l’inizio della catastrofe. Successivamente, il gabinetto del primo ministro inglese lord North scelse l’Australia come terra per deportare i detenuti che, alla fine del XVIII secolo, rappresentavano un problema per la saturazione delle carceri nella madrepatria. Iniziò così la costruzione di una nuova colonia ad opera dei detenuti che erano costretti ai lavori forzati per realizzare ponti, strade, edifici e tutto ciò che lentamente contribuì a cambiare il volto del paese.
In questa opera di colonizzazione/desertificazione ha influito, e continua a influire ancora oggi, l’assoluta ignoranza dei popoli europei circa il funzionamento degli ecosistemi e della natura. Hanno presuntuosamente pensato di poter usare le tecnologie di cui disponevano per creare la condizioni di vita ideali quando il prerequisito (come sanno invece gli aborigeni australiani) è conoscere il clima, la terra, la flora, la fauna di un territorio e tutto quanto è necessario per sopravvivere in un ambiente naturale. Allo stesso modo i loro eredi sono convinti, oggi come ieri, di poter rimediare ai danni causati da una gestione scellerata del territorio grazie all’uso delle nuove tecnologie. Pura illusione. Alla fine, quando sarà troppo tardi, saranno costretti a rivolgersi agli aborigeni, quei pochi rimasti, gli unici a detenere la sapienza.
L’Australia è attualmente un gigantesco produttore di carne, si allevano 104 milioni di animali da esportare in tutto il mondo. I metodi di allevamento adottati hanno contribuito enormemente alla desertificazione del paesaggio. La storia dell’Australia dovrebbe essere un monito per le logiche perverse dell’industria mondiale del cibo e non solo.
Gli incendi di questi mesi, che interessano un quarto dell’isola (sono andati in fumo milioni di ettari di boschi equivalenti a tre grandi regioni italiane), sono solo l’ultimo tra i più gravi danni inferti ad un continente che ha avuto solo la colpa di aver rappresentato un mito per i primi coloni ieri e per i nuovi ricercatori di paradisi oggi.
L’uomo, alla continua ricerca di paradisi che non esistono non si è ancora reso conto che, finora, dovunque sia arrivato, è stato capace di creare solo inferni. Se il paradiso non lo si ha dentro non potrà essere creato neanche fuori. E’ finito il tempo della ricerca di paradisi sempre altrove, è giunto il tempo invece di trasformare in paradisi i luoghi che ci hanno visti nascere e che, prima di devastarli, erano essi stessi dei paradisi. Se non sapremo farlo nel nostro territorio non sapremo farlo neanche altrove, come la storia ci insegna, e non avremo un futuro su questo pianeta.
Alexander Dalrymple, geografo, spia e diplomatico scozzese, tra i primi ad essere affascinato dalla Terra Australis supponeva, nel XVIII secolo, che fosse talmente ampia e popolosa da immaginare che “i resti della sua economia basterebbero per mantenere il potere, il dominio e la sovranità della Gran Bretagna perché darebbero lavoro a tutte le sue manifatture e le sue imbarcazioni.” Quando il capitano James Cook, il primo a dimostrare che l’Australia era una grande isola, vi sbarcò nel 1770, osservando il modo di vivere degli aborigeni dovette ammettere: “sono molto più felici degli europei. Ritengono di disporre di tutto il necessario per vivere e non possiedono nulla di superfluo.“
Massimiliano Capalbo
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