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Questione di geografia

Così come David Quammen, in “Spillover”, aveva spiegato, e messo in guardia il mondo, come vi fossero tutte le condizioni perché si scatenasse una pandemia anche Tim Marshall, in “Le 10 mappe che spiegano il mondo”, pubblicato nel 2017, aveva anticipato le condizioni che avrebbero potuto scatenare un intervento armato in Ucraina da parte di Putin. Condizioni che sono, innanzitutto, di carattere geopolitico. Ma in Italia, si sa, si legge poco e leggono poco soprattutto quelli che continuiamo a definire giornalisti. Ho cercato notizie riguardo le intuizioni di Tim Marshall sui giornali italiani e, a parte un accenno de Il Giorno, nessuno in Italia ha ritenuto utile fino ad oggi intervistarlo o parlare delle vere motivazioni di questa guerra contenute nel suo libro (credo più per ignoranza che per scelta). In Italia non solo si legge poco ma si studia male, poco o per nulla la geografia. Le conseguenze si vedono poi nelle scelte di politica estera dei governi.
La configurazione geografica dei territori, ci spiega Marshall, imprigiona i loro leader lasciando meno spazio di manovra di quanto si possa pensare.Se Dio avesse messo qualche montagna in Ucraina, allora quella sterminata prateria che è la Pianura Nordoccidentale non sarebbe un punto di accesso così agevole per chi vuole attaccare la Russia. Ma Putin non ha scelta: deve quantomeno tentare di controllare la parte occidentale della pianura.
La geografia ha sempre condizionato le scelte dei governi, ne ha sempre limitato o agevolato le ambizioni politiche ed economiche. Ma in pochi ne hanno tenuto e tengono conto. Non solo la geografia ma anche il clima. La tecnologia satellitare americana più avanzata non potè nulla contro il clima dell’Afghanistan, nel 2001, poco dopo gli attentati alle torri gemelle. Una tempesta di sabbia mai vista prima costrinse i caccia e i bombardieri americani a rimanere a terra nelle prime fasi delle operazioni. Ma potremmo anche ricordare le storiche sconfitte “climatiche”, avvenute proprio in Russia, ai danni di Napoleone ed Hitler. I governi tracciano confini artificiali sulla carta ma poi sono costretti a misurarsi con la realtà. L’ammissione che l’uomo non vuole fare a se stesso e agli altri è che la natura è più potente, che per quanta tecnologia o conoscenza si possano mettere in campo, ci si può spingere solo entro certi limiti. I governanti che nel corso della storia ne hanno tenuto conto hanno vinto, quelli che ne hanno sottovalutato le conseguenze hanno dovuto capitolare.
La Russia è il paese che non ha montagne ad occidente. Mentre da oriente non potrebbe attaccarla nessuno se non a rischio di gravi perdite, vista l’estensione immensa e la morfologia del suo territorio e la rigidità del clima (qui è la geografia a proteggerla), è da occidente che deve difendersi e, in particolare, nel punto più stretto che si trova in Polonia. Poi il territorio si allarga enormemente ed è pianeggiante e tutto diventa più difficile. E negli ultimi cinquecento anni in tanti hanno provato, senza successo, a conquistarla.
La prima cosa che non capiamo di Putin è che la Russia ragiona su prospettive di lungo termine, di secoli, non come i nostri partitici concentrati su questioni di brevissimo termine. Questo è possibile perché un governo non democratico, per ovvi motivi, dura decenni mentre quelli che cambiano ogni cinque anni (quando va bene) devono portare a casa obiettivi di brevissimo termine basati sugli umori dell’elettorato e non su strategie di lungo periodo.
La seconda cosa che non capiamo è che “la Russia – ci spiega Marshall – fino agli Urali, è una potenza europea in quanto confina con la massa continentale europea, ma non è una potenza asiatica perché solo il 22% della sua popolazione vive in quella parte della nazione. E’ più facile, infatti, che la Cina col tempo proietti le sue mire espansionistiche su quella parte della Russia che viceversa. La Siberia è il forziere della Russia (minerali, petrolio e gas). E’ forse questa guerra, che come tutte le guerre indebolisce col tempo economicamente e militarmente l’aggressore, accelererà questo processo. La Cina infatti, sta solo attendendo il momento giusto per farlo. La sua strategia è stipulare delle partnership nel breve periodo con i potenziali obiettivi e attendere che si indeboliscano nel lungo periodo per conquistarli senza colpo ferire. D’altronde quell’affascinante manuale sul pensiero strategico, poco noto in Occidente, dal titolo “I 36 stratagemmi”, lo hanno scritto loro.
Marshall spiega benissimo nel suo libro le motivazioni (molteplici) che poi hanno convinto Putin a passare all’azione e ad un certo punto si domanda: “Ma i diplomatici occidentali lo sapevano? Se non lo sapevano, ignoravano il primo principio del «Manuale di diplomazia per principianti»: quando si trova di fronte a quella che considera una minaccia alla sua stessa esistenza, una grande potenza non esita a usare la forza. Se ne fossero stati a conoscenza, allora avrebbero dovuto considerare l’annessione della Crimea da parte di Putin un prezzo da pagare per aver attratto l’Ucraina nell’Europa moderna e nella sfera d’influenza dell’Occidente.”
Ecco, la terza cosa che non capiamo, è che questi problemi nascono dall’assoluta assenza della politica. Non sono, come vogliono farci credere, delle situazioni scaturite dalla follia del momento di un singolo individuo che si crede potente, ma condizioni determinatesi nel tempo, costruite, conosciute, sottovalutate, ignorate, provocate, sollecitate, a seconda dei protagonisti e degli interessi in gioco. E’ stato così per la pandemia, è così per il conflitto in Ucraina e sarà così per la prossima emergenza.

Massimiliano Capalbo

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