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La buona notizia: la cura esiste

Apprendo da un’intervista rilasciata al Corriere della Sera che Vittorio Colao, il manager chiamato da Conte a dirigere la Fase 2, lavora da Londra, non si è mai spostato dalla capitale britannica e non ha mai parlato di persona con gli altri membri del suo team. La pandemia, dunque, sta creando lavoro remoto anche agli uomini impegnati in politica (decidere la vita collettiva è politica). Il distanziamento fisico dai territori e dalle persone comporta dei problemi. Mi chiedo, ad esempio, se sia un effetto del distanziamento fisico quanto afferma Colao nell’intervista a proposito dei rischi di una depressione economica globale. “Il rischio c’è. Dipende da due cose che nessuno conosce: la scoperta di una terapia e di un vaccino“.
O Colao non è informato in quanto è remoto o questo è un caso di fake-news. La terapia infatti esiste, non va scoperta, va solo diffusa. Lo dicono, anzi lo urlano, da alcune settimane i medici impegnati in prima persona negli ospedali Covid.
Ho pubblicato giorni fa un video con l’intervista a uno di questi medici, spiega (dal minuto 18 in poi) in modo dettagliato come siano riusciti a mettere a punto una terapia risolutiva che guarisce dal Covid e lo rende una malattia trattabile domiciliarmente. Il medico, insieme ad altri colleghi, ha scritto all’ISS e al ministro per comunicare la cosa e sollecitare la redazione di linee guida da diffondere a livello nazionale. Giustamente il medico afferma che è di vitale importanza dare la buona notizia perché riduce il fattore paura. Non ha avuto alcun riscontro. Analoga sorte per gli altri medici che hanno rilasciato interviste ai giornali in cui affermavano di aver trovato terapie valide.
Dunque: perché Colao e il presidente Conte e i ministri e l’ISS continuano a ripetere che non c’è cura? Perché si cerca di occultare la buona notizia? A pensar male si potrebbe dire che si vuole arrivare al vaccino promesso per la fine dell’anno da Bill Gates (vaccino poco serio in così breve tempo). A me le tesi complottiste non sono mai piaciute, anche quando hanno un fondamento, semplificano i problemi con la solita attribuzione di ogni colpa o responsabilità al di fuori di noi.
Credo invece che vada posta la domanda: che cosa rende il Covid19 UNICO nella lunga storia delle epidemie? Io ricordo l’asiatica del 1957, colpì soprattutto i giovani, dicono siano morte circa 20.000 persone, se ne parlava in casa o a scuola, ma senza alcun terrore. La tv era appena agli inizi e l’avevano solo i ricchi, non ricordo che radio tv e stampa abbiano dedicato grande attenzione alla malattia. Tra quei tempi e quello attuale c’è la nascita di quel gran mondo virtuale rappresentato oggi dai media. E’ la macchina più pervasiva e potente che si sia mai frapposta tra l’uomo e la realtà che vive. Diventa vero ciò che viene narrato dai media, perde peso l’esperienza personale. Il virtuale ci distanzia dalla realtà. La pandemia attuale è la prima pandemia mediatica. La pandemia esiste, ovviamente, ma viene narrata dai media ed è questo che cambia tutta la storia delle epidemie.
In questa prospettiva si spiega perché un capo di governo e un manager e tanti dirigenti possano ignorare la realtà che è sotto i loro occhi. Credono più alla televisione che ai propri medici. Non è vero infatti, come dice spesso Conte, che “decide la scienza”, Conte non incontra i medici in campo, ma solo burocratici sanitari che non conoscono ciò che accade negli ospedali nè importa loro conoscere. Basta la narrazione mediatica.
Perché poi la narrazione mediatica preferisca, anzi abbia bisogno, di narrare ciò che fa paura e non le buone notizie è altra cosa e meriterebbe un altro approfondimento.

Giuliano Buselli

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