Questa edizione del Festival di Sanremo sarà ricordata, solo ed esclusivamente, per l’immagine di Blanco che prende a calci dei fiori, delle rose rosse. Qualcuno dice che sia stata preparata, sarebbe ancora più grave. Si è trattato di un’immagine forte, diseducativa, eloquente della concezione del mondo vegetale che possediamo ancora oggi, ferma al 1509, anno della pubblicazione del libro che contiene il disegno della piramide dei viventi concepita dal filosofo francese Charles De Bovelles che mette in cima gli uomini, considerati intelligenti, e tra i gradini più bassi le piante. Segno che la freccia dell’evoluzione umana non è lineare e non procede spedita dal passato verso il futuro, come vogliono farci credere, ma che subisce ciclicamente dei grandi passi all’indietro. Se Blanco avesse preso a calci dei cani o dei gatti le associazioni animaliste sarebbero insorte immediatamente. I fiori, invece, essendo considerati degli oggetti, non hanno generato grandi reazioni di sdegno. Prendere a calci gli esseri più gentili del pianeta significa dimostrare un’insensibilità e un vuoto interiore abissale, tipico degli individui dell’Antropocene, inariditi dalle logiche di mercato e dall’egocentrismo. Il sindaco di Sanremo, Alberto Biancheri, ha commentato: “Sanremo è la città dei fiori, conosciuta in tutto il mondo. Dietro agli addobbi, ai bouquet, ci sono anni di lavoro…” mentre il Codacons ha presentato un esposto in procura perché “l’aver distrutto la scenografia del Festival potrebbe realizzare veri e propri reati”. Nel primo caso i fiori sono economia, nel secondo una scenografia. Nulla di più.
In realtà il maltrattamento di quelle rose non è cominciato sul palco, per opera di Blanco, ma molto prima. La maggior parte dei fiori recisi, coltivati a livello industriale oggi, viene trattata con potenti conservanti chimici e quindi collocata in magazzini frigoriferi in cui i livelli di umidità, ossigeno e di diossido di carbonio sono attentamente regolati. Le rose che erano sul palco di Sanremo e quelle che regaleremo il giorno di San Valentino alla persona che amiamo sono state certamente raccolte 3 o 4 mesi fa, refrigerate per qualche mese, in attesa di essere utilizzate per allestire la scenografia. Nel caso delle rose che regaleremo a San Valentino potrebbero provenire anche dal Nord Europa o dal Sud America. Tutto questo procedimento serve ad impedire che l’etilene, il gas ormone della maturazione, ne provochi il disseccamento. Un gas che si sprigiona a seguito delle lesioni prodotte su questi fiori nel corso della raccolta, del confezionamento e del trasporto. Da quando è stato mappato il genoma completo dei fiori, i coltivatori hanno cominciato a occuparsi del modo in cui impedire all’etilene di agire sul fiore. La priorità dei coltivatori, oggi, è quella di modificare geneticamente i fiori affinché siano più appariscenti, resistenti alle malattie e in grado di vivere più a lungo una volta recisi. Praticamente pretendono, per inseguire i capricci del mercato, di rendere eterno qualcosa che è effimero per natura. L’unica cosa che non sono ancora riusciti a manipolare è il profumo, che è la prima cosa che si perde nel corso delle modificazioni genetiche ed è un indicatore chiaro dell’alterazione del fiore. Non c’è alcuna differenza tra il modo in cui oggi vengono trattate le piante in un vivaio e il modo in cui vengono trattati gli animali negli allevamenti intensivi, si tratta di due tipologie di lager, il primo ci ferisce perché l’animale ci assomiglia, soprattutto nella sofferenza, il secondo non ci tange perché le piante sono considerate non esseri viventi ma oggetti, soprammobili, al massimo arredi urbani. Ci hanno raccontato che il Covid ci avrebbe reso migliori, la verità è che purtroppo ci ha risparmiati. In un’epoca di grandi cambiamenti climatici e della cosiddetta “transizione ecologica” una delle manifestazioni più seguite dagli italiani ha come sponsor principali due delle imprese italiane più inquinanti, una nel campo dell’energia e l’altra nel campo del turismo crocieristico.
Pensate se lo sforzo economico, organizzativo e mediatico profuso per imporre il Festival di Sanremo agli italiani fosse stato indirizzato a promuovere persone, imprese e iniziative virtuose. Se invece dei finti pipponi moraleggianti messi in bocca ad avatar più o meno social fossero stati scelti personaggi indipendenti che con le loro idee hanno cambiato o stanno cambiando i destini del pianeta, soprattutto dal punto di vista del modo di stare al mondo. Pensate che servizio alla nazione e all’umanità e con che velocità questo tanto auspicato cambiamento si potrebbe verificare, attraverso l’esempio e l’imitazione.
E invece questi eventi sono la conferma del fatto che le iniziative che sono mosse e spinte solo da ragioni economiche non solo sono orientate al mantenimento e al consolidamento dello status quo ma anche al peggioramento della società nel suo complesso.
Chiedere scusa per un gesto che ha segnato l’immaginario collettivo non basta, per essere credibili alle scuse occorre far seguire delle azioni concrete. Blanco metta a dimora migliaia di alberi se vuole lasciare un’opera d’arte e un segno concreto e virtuoso sul pianeta. Le sue canzoni non hanno un valore in sé. Se domani gli esseri umani scomparissero a chi potrebbero interessare?

Massimiliano Capalbo

Lo avevo già verificato nel mio piccolo e ne ho avuto la conferma più in grande ieri sera, nel corso della prima puntata del Festival di Sanremo. Se togli i social agli influencer o anche semplicemente alle migliaia di aspiranti tali che popolano il Web, svaniscono come neve al sole. Mi è capitato in questi anni di contattare persone che sui social erano sembrate intraprendenti, che sembravano volersi mangiare il mondo, brillanti e piene di voglia di fare, e che poi messe alla prova nella realtà si erano rivelate incapaci anche di svolgere banali mansioni. O quantomeno ridimensionate rispetto alle aspettative create sul piccolo schermo.
Credevo, però, che di fronte alla scelta di mostrarsi a milioni di telespettatori e consigliata da uno staff, che immagino la supporti per salvaguardare quella parvenza di straordinarietà che si è costruita, la Ferragni avrebbe evitato e invece no. Ieri sera ha osato materializzarsi nella realtà e co-condurre il festival, mostrandosi in tutta la sua inconsistenza. Un avatar sarebbe stato più empatico, avrebbe trasmesso più emozioni. Forse si è trattato di un esperimento per introdurli nelle prossime edizioni visto che stiamo andando verso il transumanesimo. Ma tant’è. Ho l’impressione che, così come è avvenuto con la bolla della new economy alla fine degli anni ’90, anche l’economy dei social esploderà, prossimamente, rivelandosi in tutta la sua inconsistenza.
La Ferragni ha esordito indossando un abito con la scritta “pensati libera”, smentita da lei stessa qualche minuto più tardi con la lettura di un testo di una banalità sconcertante. Mi è sembrata schiava, invece, come la maggior parte degli artisti e degli influencer, dell’industria economica e finanziaria che ha contribuito a creare e del successo. Le persone veramente libere non ricercano spasmodicamente visibilità e consenso, le persone libere stanno bene innanzitutto con se stesse, sono libere interiormente, non fanno una piega di fronte ad una critica spiacevole e si oppongono ai diktat del sistema quando è il caso. E, soprattutto, non hanno bisogno di raccontarlo agli altri.
Un tempo chi aveva problemi esistenziali si recava dallo psicologo. Oggi, nonostante il bonus del governo, partecipa a trasmissioni televisive. Da “Ballando con le stelle” a “The Voice”, da “Tali e quali” a “X factor” è un continuo confessarsi sul lettino del conduttore. Altro che successo, altro che esempi. Si crede che coprendo le fragilità col rumore dello spettacolo e abbagliandole con le luci dei riflettori si possano mettere a tacere. E’ vero l’esatto contrario. Per capirsi occorre ascoltarsi e per ascoltarsi occorre fare silenzio e stare da soli e in ombra. Una cosa che, al solo pensiero, terrorizza la stragrande maggioranza dei nostri contemporanei.
Dalla nascita dei social ad oggi abbiamo assistito al passaggio dai leader agli influencer, un passaggio determinato dalla progressiva inconsistenza dei protagonisti e soprattutto dal progressivo allontanamento dalla realtà. I leader un tempo erano tali perché si sporcavano le mani, diventavano leader dopo essersi resi protagonisti di azioni concrete che avevano modificato la realtà e i cui effetti avevano avuto ricadute concrete sui loro seguaci. Attraverso il loro esempio erano di ispirazione per altri ad agire concretamente per cambiare le cose. Con l’avvento della tv prima e del cyberspazio poi, tutto ha cominciato ad assumere la loro stessa inconsistenza. Tutto è partito dal mondo della politica. Ad un certo punto non è stato più necessario dimostrare particolari capacità per diventare leader, è stato sufficiente essere funzionali al sistema, anzi più incapaci si è e più si è funzionali, più si può essere manovrati a piacimento. Se non hai risolto il tuo problema di vivere puoi dichiarare, senza timore di smentite, che risolverai quelli degli altri, a pagamento ovviamente. Non è importante se sei Antonio o Angela, se sei realizzato o meno, l’importante è che la tua immagine sia vendibile e manipolabile, che generi consenso, che tu dia la parvenza di un cambiamento o di una rivoluzione. Poi se diventi premier e scateni una guerra mondiale perché sei incapace di interpretare la comunicazione verbale o non verbale di un tuo omologo non importa.
La maggior parte delle persone di spettacolo, soprattutto se emergenti, vive come i gladiatori nelle arene al tempo dei Romani. Le performance di primo piano celano un restroscena meno piacevole, fatto di obblighi contrattuali e di schiavitù che nessuno ci racconta, di continua competizione, elemento costitutivo della nostra società. La tensione è così alta che poi esplode, come è avvenuto ieri sera nella rabbia distruttiva di Blanco, unico momento di verità di tutta la serata.

Massimiliano Capalbo

Si avvicina il giorno in cui si formula l’augurio più ipocrita dell’anno: il 1 gennaio. “Speriamo sia un anno migliore“, a mio avviso, è l’augurio più falso che si possa esprimere, perché l’esserlo (migliore) dipenderà da ciò che ciascuno di noi ha compiuto fino ad oggi. Se non abbiamo seminato bene non possiamo attenderci nulla di buono, per cui non ha alcun senso attendersi niente di diverso da ciò che si è già ottenuto, se non di peggio. Avrebbe più senso, dunque, domandarsi cosa si è fatto per avere un anno migliore del precedente. Gli anni non sono perturbazioni atmosferiche imprevedibili che ci piovono addosso senza avere alcuna responsabilità e senza riuscire a prevederne la portata. Il futuro è già qui, nel presente, non c’è bisogno di una sfera magica per conoscerlo. Non si tratta di essere ottimisti o pessimisti ma realisti, cioè di osservare la realtà senza pregiudizi, preconcetti, paraocchi, stereotipi, ideologie. Operazione complicatissima in un mondo sempre più chiuso e spaventato.
Nei prossimi anni assisteremo a: l’aggravarsi della siccità; l’aumento delle epidemie; l’incremento del dissestro idrogeologico; la crescita dei conflitti; l’aggravarsi della crisi energetica; il prosieguo del fenomeno migratorio dai paesi cosiddetti “più poveri” a quelli cosiddetti “più ricchi”; l’aumento di atteggiamenti dispotici e autoritari a discapito di quelli democratici; l’incremento dei controlli da parte degli stati sui cittadini; l’aumento delle malattie dovute a: cattivi stili di vita, pessima qualità del cibo e non ultimo ai “vaccini” anticovid; l’incremento della criminalità nelle istituzioni; l’aumento della pervasività delle nuove tecnologie nelle nostre vite e anche nel nostro corpo; l’incremento della violenza, dei suicidi e della depressione nella popolazione; l’aumento della manipolazione delle informazioni per il controllo dell’opinione pubblica. Tutto questo è semplicemente il frutto di quello che abbiamo seminato negli scorsi due secoli e adesso vediamo che la foresta, costituita da questi problemi, diventa sempre più grande. Non può essere diversamente, stiamo raccogliendo quello che abbiamo seminato.
Quello che può cambiare e che non è prevedibile, invece, è come reagiremo a tutto questo. Assisteremo certamente ad un cambio negli stili di vita da parte degli individui più consapevoli, atteggiamento in atto da tempo che continuerà a crescere, ma non possiamo sapere quanto questo possa incidere sul breve periodo e in che modo sui processi globali. Senza contare l’imprevedibile, ovvero il granello di polvere che finisce sempre per insinuarsi nell’ingranaggio principale fino a bloccarlo e a scompigliare le carte, che è sempre la cosa più interessante. L’unica certezza è che se decideremo di affidarci alle istituzioni delegando loro la risoluzione di questi problemi, come abbiamo fatto fino ad oggi, non potranno che aggravarsi. Non c’è nessuno che può salvarci, infatti, se non noi stessi, attraverso scelte (eresie) di vita personali e collettive fuori dagli schemi dominanti.
Pur non negando l’esistenza degli déi, Epicuro predicava che le persone devono assicurarsi il benessere e la felicità mediante i propri sforzi fisici e intellettuali, senza aspettarsi nulla di bene o di male dalla divinità. Ogni individuo è un soggetto in continua evoluzione che può fare della sua vita qualcosa di incredibile nella misura in cui collabora con i propri simili per realizzarne una piacevole e serena. Secondo il filosofo di Samo, sono i singoli a doversi assumere in prima persona il compito della propria felicità, supportati dalla compagnia dei propri simili che già godono della felicità e sono disposti a dar loro una mano senza chiedere nulla in cambio. La felicità dell’individuo non coincide necessariamente con l’interesse politico dello Stato, né i problemi etici trovano giustificazione nel bene comune o nelle questioni politiche: essi richiamano piuttosto ciascuno a uno sforzo personale. Il primo passo verso la felicità consiste nel crescere nella conoscenza di se stessi, per poi imparare a vivere in compagnia degli altri.
E’ l’obiettivo che mi sono posto inaugurando il primo Giardino Epicureo in Italia. Uno spazio di ben-essere e di felicità dove la vita ha senso, nato per sperimentare la possibilità di un’autonomia (autàrkeia) interiore come metodo per trovare il proprio cammino personale verso la felicità. Per ottenerla occorre conquistare una certa libertà e indipendenza, liberarsi dal carcere degli affari e della politica e abbracciare una vita del tutto immune dalla smania di ottenere l’approvazione e il consenso altrui. Il Giardino Epicureo è il mio contributo concreto al miglioramento degli anni a venire in Calabria e non solo, se saranno più felici è perché sono stati preparati prima. E’ per questo che, forte di questa consapevolezza, posso affermare senza alcun ottimismo o pessimismo che il prossimo sarà un anno migliore del precedente.

Massimiliano Capalbo