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I dipendenti dei call center

Ci risiamo, siamo alle solite, il giochino si ripete. Un noto call center regionale minaccia il licenziamento di centinaia di lavoratori e il teatrino viene puntualmente allestito. Ognuno indossa i propri abiti di scena ed è pronto a recitare la propria parte: i dipendenti, gli imprenditori, i sindacati e i partitici. E il triangolo drammatico (vittima, carnefice, salvatore) può andare in scena ancora una volta.
I dipendenti si ritengono vittime dell’imprenditore cattivo e senza cuore che licenzia incurante del fatto che il dipendente ha fatto il mutuo e deve mantenere la propria famiglia. Ora, se esiste una persona che ha contratto un mutuo (esistono banche che erogano mutui con stipendi di 400 euro al mese?) dopo essere stato assunto in un call center o è un pazzo (perché la storia ha ampiamente dimostrato che i call center sono lavori a termine e non possono garantire un futuro a nessuno) o è in malafede e quindi si è prestato al gioco per poi fare la vittima (tanto poi vengono in soccorso i sindacati o il partitico che mi ha raccomandato).
Gli imprenditori (ho difficoltà a definire tale chi apre un call center) sa che, alla stregua di una clinica, sta aprendo una struttura che, in un territorio dove regna l’ignavia e l’incapacità di far da sé, rappresenta un grosso strumento di contrattazione nei confronti del partitico (perché centinaia di dipendenti sono voti) e di ricatto nei confronti del dipendente (che non ha perché non sa crearle, altre opportunità lavorative). Quindi il suo core business non sono le prestazioni telefoniche (tra l’altro numerose inchieste giornalistiche hanno documentato il trattamento, non solo economico, che viene riservato ai dipendenti di queste strutture) ma il controllo di centinaia di persone, che si prestano prone e sottomesse al giochino.
Per i sindacati ogni minaccia di licenziamento è una manna dal cielo, sono tutte occasioni per correre in soccorso del povero dipendente a favore di telecamera, per giustificare la propria esistenza e prorogare situazioni di precariato che, se dovessero scomparire, minaccerebbero fortemente la loro ragion d’essere. Il sindacalista intercede con il partitico che, dopo aver autorizzato e sostenuto l’apertura del call center (e anche i suoi margini di fatturato, approvando leggi per incentivare le assunzioni), adesso ha un’ulteriore opportunità per rilanciare la propria immagine pubblica, sventandone la chiusura e passando per il salvatore della patria (e quindi meritare la rielezione). Ovviamente tutti gli attori di questo teatrino conoscono alla perfezione queste dinamiche e lavorano per perpetrarle.
Gli unici che sono costretti ad assistere impotenti (e incazzati) a questo teatrino dell’irresponsabilità collettiva sono i lavoratori e gli imprenditori (quelli veri), che ogni giorno (senza sovvenzioni e aiuti da parte di nessuno) devono inventarsi un modo per portare a casa il pane e che vedono impunemente sottratto il frutto del proprio lavoro che va a finanziare, in più rivoli, il teatrino appena descritto. E’ come se ciascuno di noi fosse costretto a pagare il biglietto di uno spettacolo a cui non si sognerebbe mai di assistere.
La colpa di tutto questo non è dei partitici, degli imprenditori o dei sindacati, come la maggior parte delle persone è erroneamente portata a pensare. La colpa è di chi decide ogni giorno di recitare il ruolo di vittima, invece di assumersi le proprie responsabilità, di chi si presta al gioco, di chi ha deciso di rappresentare il carburante di questa (come di altre) macchina infernale. E’ di tutte quelle persone che pensano che la realtà sia oggettiva e non soggettiva, che le proprie disgrazie o fortune dipendano dagli altri e non da se stessi. Sono gli stessi che scendono in piazza a protestare contro entità invisibili, inafferrabili, che rappresentano un ottimo alibi per giustificare la propria ignavia e mediocrità. Di tutti quelli che hanno deciso di essere dipendenti (mentalmente prima che fisicamente) da qualcosa o da qualcuno.
Il teatrino appena descritto non riguarda, purtroppo, solo i call center, e neanche il Sud Italia. Riguarda una grossa fetta della società italiana che, come una palla al piede, rappresenta una zavorra sempre più grande e pesante e nei confronti della quale servirebbero provvedimenti (questi si forti e rigidi) che vadano nella direzione di far uscire dall’infantilismo questa gente, che la costringano a maturare e crescere e assumersi finalmente delle responsabilità.
Io non so quanto manca al collasso (le società collassano improvvisamente dopo che situazioni del genere hanno scavato in profondità per decenni) ma credo non manchi molto.

Massimiliano Capalbo

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